Nonostante tutti noi che scriviamo su un giornale online ci sentiamo, proprio per questo, giovani, il più delle volte, come è il caso del sottoscritto, giovani non siamo. Forse sarà per questo che troppo spesso ci dimentichiamo di dare spazio a chi invece giovane è per davvero e soprattutto a chi tra i giovani ha qualcosa da dire, da fare, da proporre.
E’ tanto tempo che ho promesso di scrivere questo articolo e finalmente le mie mani sulla tastiera hanno cominciato a battere i tasti giusti.
Vorrei quindi dedicare questa pagina al gruppo “The Salamanders”, (a me però piace chiamarli i Salamandri e spero vorrete scusare questa licenza poetica che una volta tanto trasforma in italiano una parola in inglese e viceversa…).
In un mondo (stiamo parlando delle band musicali locali) dove imperversa la “cover”, se non addirittura la “tribute”, l’essere cioè in tutto e per tutto come un gruppo o un cantante di successo, questa giovane formazione quasi per intero barghigiana si caratterizza per originalità.
Fortemente influenzati da Ska e Reggae, i Salamandri propongono composizioni originali; pezzi scritti di loro pugno dove si affrontano anche discorsi impegnati e dove a livello musicale prevale una piena contaminazione che si confonde anche nel blues arrivando infine al funk, naturalmente al rock, ma anche facendo l’occhiolino alla Metal ed a quella elettronica.
Un mix di tutto, abilmente shakerato che poi viene applicato e riadattato a composizioni originali.
Non è facile proporre musica propria. Spesso e volentieri si rischia di essere ignorati perché la musica che si fa è sconosciuta. E’ molto più facile fare il compitino facile, facile col brano del momento che non metterci del proprio.
Andate ad ascoltare in proposito le interviste alle band che nello scorso mese di giugno abbiamno realizzato al “Pane e le Rose”, per farvi un’idea di questa questione…
Comunque, proprio per tutto questo i nostri amici Salamandri (via, dai, chiamiamoli per nome…) The Salamanders meriterebbero più spazio e più attenzione dalle nostre parti.
A dire il vero da parte nostra l’attenzione non è mai mancata e continuerà a non mancare, ma speriamo di vederli più spesso e di sentirli proporre i propri pezzi anche nei locali barghigiani.
The Salamanders nascono nel 2009 su un’idea del giovane chitarrista e cantante Noah Tortelli con il sogno di formare una band in grado di eseguire le sue composizioni originali.
Il progetto comincia a prendere forma con l’arrivo di Marco Lugliani alla chitarra e Giuseppe Venturi al basso. Le carenze iniziali, a causa della mancanza di un batterista stabile, vengono superate infine con l’arrivo di Diego Bacci che si unisce alla line-up, aggiungendo nuovo vigore al sound della band.
A seguito della loro prima uscita in occasione di una manifestazione per la Pace, The Salamanders iniziano a suonare in locali della zona, attività che continua tuttora.
The Salamanders sono: Noè Eraclito Tortelli: Voce, Chitarra, Armonica a bocca; Marco Lugliani: chitarra solista; Giuseppe Jos Venturi: Basso; Diego Bacci: Drum & Percussion.
Anch’io sono un fan dei “Salamandri” e non solo perchè ci suona mio fratello ma perchè quando li sento mi fanno tornare un po’ indietro negli anni quando ancora si facevano le band credendo nei propri brani litigando per fare più prove ( e non per farne di meno ), fregandocene dei soldi ( e non ponendoli al primo posto ) ecc. ecc. ecc. Quindi anch’io do un grosso in bocca al lupo a questa band che, a mio modesto parere, è più etichettabile come “punk”, se proprio vogliamo dargli un’etichetta o “mod” se ci riferiamo a certe loro sonorità legate a quello ska e reggae ammicante alla cultura ingliese del periodo Glory Boys.
Quanto al discorso “cover”. C’è cover e cover: non mi stancherò mai di ascoltare Norah Jones che canta “The Nearness of you” o Otis Redding che canta “Try a Little Tenderness”, non smetterò mai di battere il piede su “Feel Like Making Love” fatta da D’Angelo o “Take Me To The River” suonata dai Talking Heads o cantata da Lenny Kravitz. La stessa “Respect” che noi diciamo essere di Aretha Franklin in realtà è una cover ( ascoltatevi la versione di Otis Redding, credo l’originale, dall’album “Otis Blue” ).
Se proprio vogliamo entrare nel merito, la maggior parte delle soul band contemporanee o delle jazz band contemporanee sono “cover bands”.
Naturalmente non esisterebbero “cover” se non ci fossero prima pezzi geniali e artisti geniali che hanno scritto i brani, per cui la capacità di scrivere brani e la voglia di proporli è sicuramente da incentivare e sponsorizzare, soprattutto in un momento come questo dove in Italia c’è veramente di che incazzarsi e di che parlare.
Ah, facciamo un altro distinguo: “cover band” non significa “tribute band” ( lo dico perchè per molti non è la stessa cosa ). La cover band è solitamente un modo veloce per andare a suonare e farsi le ossa. La tribute band è solitamente un modo veloce per mettersi in tasca dei bei soldini.
Lungi da me fare il moralista ma la differenza mi sembra abbastanza netta.
Vai Salamandriiiiiii!
” Ah, facciamo un altro distinguo: “cover band” non significa “tribute band” ( lo dico perchè per molti non è la stessa cosa ). ”
Ovviamente intendevo “per molti E’ la stessa cosa”
Forza Salamandri!!! 😀
Caro Simo, spero dal mio articolo non si capisse il contrario di quello che volevo dire perché hai ragione: c’è una bella differenza tra cover e tribute band. E c’è differenza anche tra cover e cover. Senza dubbio.
Ci si potrebbe stare un giorno poi a discutere sulla genuinità o la validità di fare un certo tipo di lavoro. Di realizzare pezzi propri, fare cover o vivere rappresentando per tutto ed in tutto un artista.
Le interviste che abbiamo realizzato questa estate a Gallicano e poi a Barga con diverse band affrontano da opposti punti di vista l’argomento e sono secondo me interessanti. E’ anche vero che qui in Italia è difficile se non impossibile vivere della propria musica per la stragrande maggioranza degli artisti. Non me la sento quindi di criticare più di tanto anche chi vive di “tribute” perché questo permette di fare cassa e magari di poter continuare a fare musica.
Non condanno quindi gli artisti, ma l’intero sistema italiano, dove manca una cultura musicale di base che invece in altri paesi è incoraggiata ad esempio da un sistema scolastico in cui la musica occupa posti di rilievo. Questo permetterebbe (non tanto in chi la musica la fa, ma in chi la musica la ascolta) di saper meglio apprezzare, analizzare e capire il lavoro degli altri, ma anche di allargare i propri orizzonti e gusti musicali, che spesso oggi si fermano al solo ascolto di qualche canzonetta commerciale.
Caro Luca, il tuo articolo è chiarissimo e la mia non era assolutamente una critica ne’ al tuo articolo che anzi, quando l’ho visto e l’ho letto, mi sono detto “Finalmente (omissis)!” ne’ alla band che io sponsorizzo sempre un sacco. La mia è stata solo una digressione che ha preso spunto dal tuo articolo.
Come ben sai a me piace scrivere brani originali ma anche suonare cover.
Quello che a me non interessa è votarmi completamente ad un singolo artista cercando di imitarne la voce, l’abbigliamento, le pose sul palco ecc. ecc., e non perchè qualche soldo in più mi farebbe schifo, semplicemente perchè credo che chi suona e compone abbia la possibilità e la fortuna di poter esprimere e condividere con gli altri le proprie emozioni attraverso un linguaggio universale che, nel caso degli “impersonator”, diventa inevitabilmente il linguaggio di qualcun altro.
Per il resto sposo al 100% il tuo commento. E’ difficile far sentire le proprie cose ma questo non deve scoraggiare i musicisti che vogliono esprimersi. Oggi, anche se ovviamente con risultati non eccelsi, abbiamo la tecnologia che può permettere a chiunque ( per fortuna o purtroppo poi sarà da discutere ) di registrare in casa un demo, di farne un mp3 e di provare a distribuirlo, con costi sostenibili, nel panorama digitale mondiale.
Certo, non è la stessa cosa e non ha la solita poesia che potrebbe avere la realizzazione di un album, ma è comunque qualcosa che vale la pena di tentare.
Stammi bene direttore.
Simo.
Innanzitutto vorrei dire un BRAVI ai The Salamanders. Poi vorrei dire che suonare in una Tribute non è assolutamente vero che “è solitamente un modo veloce per mettersi in tasca dei bei soldini”. Io ho suonato fino a poco tempo fa con la Tribute di Vasco Rossi, I BAMBINI DELL’ASILO. E ti garantisco che lì nessuno suona per soldi, ma solo per passione. Tutti per la passione per la musica, qualcuno anche per l’amore per la musica di Vasco. Spesse volte abbiamo suonato gratis come nel Parco Kennedy a Barga, o in altri posti. Spesso per una cena e una birra. Sempre e solo per passione. Poi è naturale che le spese ci sono. Gli strumenti, lo spostarci in giro per le serate, per le prove. Ma nessuno ne ha mai fatto un problema di soldi. Soggettivamente si può o meno appoggiare o mena questa scelta, ma garantisco che non è una questione di soldi facili.
Ciao Alessio,
probabilmente per voi sarà così e non lo metto assolutamente in dubbio.
D’altronde non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Diciamo allora che, per quanto riguarda la mia esperienza personale, quelle volte che mi è stato proposto di entrare a far parte o formare una tribute band i motivi erano soprattutto economici o in termini di numero di serate o a limite come un pretesto per mettere i soldi da parte per un progetto originale ( che di solito non prende mai corpo visto che si spendono la maggior parte delle energie e delle serate e dei soldi a preparare e proporre uno show che sia il più simile possibile all’originale).
Che ti devo dire, forse la mia esperienza personale mi ha fatto maturare una cattiva impressione per quanto riguarda il progetto “tribute”. Se così non è: tanto meglio 😉
Ciao,
Simo.