Michele Simonetti, 28 anni. Com’è nata l’idea dello studio d’arte La Latteria?
L’arte è sempre stata una grande passione per me e per tutta la mia famiglia, fin da piccolo sono sempre stato circondato da libri e quadri, antiquariato e artigianato. I miei nonni sono stati uno scultore ed un designer di arredamento affermati, Elio Simonetti e Carlo Spicciani, e queste origini credo abbiano influenzato le mie scelte creative in maniera positiva. Negli ultimi dieci anni ho sempre lavorato come grafico, ed ho ritenuto fosse giunto il momento di mettere le conoscenze tecniche acquisite nel tempo al servizio dell’ispirazione, creando qualcosa di completamente personale. Avevamo bisogno di una location, un luogo dove esprimersi in libertà facendoci conoscere, una piccola finestra sul mondo, ed ecco che è nata La Latteria.
Sei lucchese e hai scelto la tua città per quest’attività. Cosa ti ha spinto verso la conservazione e la riqualificazione di locali storici come quelli di un’antica latteria?
Ritengo fondamentale il nuovo, il contemporaneo, l’attuale. Guardare al futuro, avanti, è la missione di ogni artista o di chi perlomeno ci prova, ma non si possono mai dimenticare le origini, le tradizioni e la propria cultura, che sono basamenti solidi su cui costruire la propria formazione. Rimanere sul territorio non è soltanto “comodo”, è piuttosto una sfida con se stessi, un’esperienza voluta al fine di lanciare un messaggio fondamentale, cioè che nel nostro Paese dobbiamo ancora vivere d’arte, vivendo nell’arte. E’ qui che siamo nati ed è qui che innoveremo.
Importante per la tua formazione artistica è stato il rapporto con tuo padre, con cui tutt’ora collabori condividendo questo studio d’arte. Ci racconti la tua esperienza di “figlio d’arte”?
Collaboriamo perché lui è in pensione e dipinge perché si annoia! Naturalmente sto scherzando, la verità è che grazie a lui sono cresciuto non solo come figlio ma anche come amante dell’arte, grazie al suo enorme bagaglio culturale in tal senso e alla sua invidiabile modernità di pensiero. Vivere una vita tra colori, tinte, pigmenti, libri d’arte e antiquariato, venendo a conoscere la storia architettonica di ogni palazzo che vedi, è fondamentale per aiutarti a capire il lato creativo di ciò che ti circonda. Sono anche sempre stato incoraggiato all’arte, una vera fortuna, in un mondo di genitori che spronano i propri figli soltanto verso mondi facili, televisivi o bancari. La collaborazione professionale invece viaggia su due piani apparentemente molto diversi ma in realtà decisamente simili: io che propongo soluzioni completamente digitali, lui che procede sui binari della pittura tradizionale, con acrilici, tele e tutto il resto. Ma il messaggio è il medesimo, contemporaneo e ideale, concetto prima dell’immagine. E spesso mi ritrovo ad essere più classico io di lui!
Quali sono le tue principali fonti d’ispirazione per le tue realizzazioni grafiche?
Dovrei dire Warhol, perché probabilmente è il padre della grafica al servizio dell’arte. Ma non c’è solo lui, ci sono un’infinità di sfumature, periodi, correnti che mi influenzano. Certo, cerco sempre di risultare più originale e personale possibile, ma in tutte le arti, specialmente poi nella grafica, pura riproduzione di un’epoca, una vera e propria fotografia delle tendenze del momento che rappresentiamo, che è figlia della pubblicità e viceversa, è inevitabile che affiorino le influenze. Sono incredibilmente affascinato dal ventesimo secolo, un secolo breve, caotico, nefasto e durissimo, ma anche creativo, velocissimo, dinamico e idealista. Un secolo dove è successo tutto e tutto si è dimenticato così in fretta da dover sempre ricominciare da capo, decennio dopo decennio. Il secolo del Liberty, del Deco e della Pop Art, il secolo della Guerra vera, della Guerra fredda e dei 192 conflitti ancora in corso in giro per le zone più devastate della Terra.
Ecco la mia ispirazione, questo pianeta che gira ad una velocità folle senza nessuno al volante.
Raccontaci una tua esperienza passata che ha a che fare con il mondo del teatro.
Ho un ricordo lucidissimo di una rappresentazione teatrale di Amleto, qualche anno fa, forse troppi, abbastanza da non averlo apprezzato a dovere. A pensarci adesso era straordinario: la trama era la stessa ed anche si sviluppava in egual maniera, soltanto che il periodo ed il luogo in cui avveniva la trasposizione erano gli anni 60 in Bolivia. Amleto, un Che Guevara principe sovrano di un regno di rivoluzionari nascosti nella giungla, a far fronte all’oppressore così come ai fantasmi del passato e del presente dei personaggi di Shakespeare.
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