Esattamente un anno fa prendevano il via le celebrazioni per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia. Durante tutto l’anno appena trascorso abbiamo seguito i vari eventi che si sono susseguiti per questa importante ricorrenza oltre a raccontarvi dei protagonisti che fecero l’Italia. Non i grandi padri della Patria, quelli che ci guardano severi dalle immagini dei libri di scuola. Ma i personaggi “piccoli”, quegli uomini della nostra Valle che magari nella storia nazionale non sono ricordati ma che hanno sicuramente un posto di rilievo nella nostra storia locale.
Abbiamo intenzione di continuare a raccontarvi le loro storie perché lo riteniamo importante per rinfocolare il credo della “Religione della Patria”. Nello scorso anno molti sono stati i convegni e le commemorazioni in ricordo dell’Unità del Paese tra questi anche il monologo, sul palco del noto teatro Ariston, di un menestrello toscano, tale Roberto Benigni, che con la sua “Esegesi dell’Inno di Mameli” emozionò e commosse gli italiani. Alla fine del suo intervento cantò l’inno con la sua voce un po’ stonata senza musica e così- come scriveva Marina Corradi sull’Avvenire in quei giorni- “quella marcia che cantavamo a scuola o allo stadio senza capire bene le parole d’improvviso è sembrata una preghiera. Una sommessa preghiera per l’Italia”. Il canto solitario e notturno di un soldato ragazzo alla vigilia di un epica battaglia.
Vogliamo immaginare che quel ragazzo fosse il nostro Regolo Gaddi, un ottimo studente, con tutti i numeri per una brillante carriera ma, come accadde a molti giovani della sua età, in quegli anni l’ardente passione patriottica gli fece lasciare la sua Castelnuovo di Garfagnana, in cui era nato nel 1849, per seguire Garibaldi.
I suoi genitori erano fermamente contrari alla scelta del figlio di lasciare gli studi per seguire “quei carbonari” proprio per questo Regolo dovette far uso di uno stratagemma: come tutte le sera dopo cena si ritirò nelle sua stanza. Quando la mattina la madre lo andò a svegliare trovò un manichino e la finestra aperta. Sul letto un biglietto “Vado con Garibaldi, viva l’Italia! Perdonatemi”. Regolo era ormai lontano e dopo pochi giorni arruolato nella legione garibaldina per la guerra contro l’Austria. Era il 1866. Combatté valorosamente nella gloriosa battaglia di Bezzecca e nei successivi scontri fino ad arrivare alle porte di Trento per essere però fermati dall’inaspettato armistizio chiesto dall’Austria.
Tornò allora nella sua città natia dove riprese gli studi. Non mancò mai a nessuna delle manifestazioni commemorative successive a cui partecipava con la sua divisa sgargiante. Nel 1884, durante la terribile pestilenza che colpi la Garfagnana, si prodigò, incurante del pericolo del contagio, per cercare di alleviare i dolori delle famiglie colpite. Questa sua opera gli valse la Medaglia d’argento al valor civile. Ricoprì importanti incarichi pubblici e si impegnò sempre per la sua terra tanto da essere acceso propugnatore della ferrovia Lucca- Aulla per la quale lottò anche contro un ministro che cercava di boicottarne la costituzione. Morì nel 1916 dopo aver sostenuto l’entrata in guerra dell’Italia per vedere finalmente ritornare “le nostre terre nei giusti confini” per coronare quel suo sogno giovanile per cui era scappato di casa andando a combattere lontano.
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