“Quando partivano la mattina, attraversavano il paese, lungo il selciato di antiche strade. Al di là dell’arco si perdevano nella montagna silenziosa, un lungo cammino nel grigiore indefinito dell’alba. I viottoli nascosti li portavano su, tra gli aghi di abete che frusciavano al vento. Al limite del bosco c’era una piazzola in cui tutti facevano sosta, passo obbligato per chi saliva le selve più alte”. Inizia così, con una descrizione lirica degna di un romanzo di Beppe Fenoglio, il cortometraggio “Una cosa che vale” realizzato nel 1958.
Dimenticato per molti anni, è stato “riesumato” da Mario Rocchi il noto critico d’arte lucchese che, allora giovanissimo, fu tra gli ideatori di questo breve ma prezioso film. È il racconto di un “mondo piccolo” fatto di uomini dai volti di pietra e dai loro muli costretti a sopravvivere in una montagna bella e ostile, altera matrigna. Una micro comunità di ultimi in cui l’incessante passare di giorni, tutti uguali, fatti di sudore e fatica, viene interrotto dalla tragica morte del “figlio della Berta”, ucciso da un calcio di mulo, mentre stava portando alla bocca un pezzo di pane nero. Da questa morte prematura e straziante nascerà un gesto di grande compassione…
A dirigerlo Orlando Giusfredini, diplomato da poco come regista al Centro Sperimentale di Cinematografia e scomparso poi, purtroppo, prematuramente. Rocchi e Giusfredini erano amici, entrambi appassionati di cinema. Un giorno come tanti a entrambi venne l’idea di realizzare un cortometraggio.
httpv://www.youtube.com/watch?v=ncJFqyUyvd0
Rocchi propose un documentario sui cavatori di marmo ma Giusfredini volle adattare un racconto con cui il futuro critico aveva vinto il Premio Letterario “Garfagnana”: “Una cosa che vale”.
Fu un lavoro appassionato e fraterno.
Oggi ricorda Rocchi: “Orlando prese contatto con un operatore di Roma che si era diplomato al Centro insieme a lui, un certo Fusco che possedeva una Arriflex che tutti si ricordano come cinepresa usata dalla Nouvelle Vague francese e in particolare da Godard”.
Seguì la ricerca dei luoghi e degli attori e delle comparse. Poi, il primo ciak! Il film fu girato in pochi giorni a Pariana nel comune di Villa Basilica, sullo sfondo le Pizzorne. I protagonisti furono tutti boscaioli del luogo.
Innovativa e moderna (ancor oggi!) la colonna sonora composta dal mitico Quartetto Lucca e registrata nella cantina del Circolo del Jazz in piazza San Giovanni con le balle alle pareti per attutire echi e rumori. I titoli di testa furono impreziositi da alcuni disegni di un Antonio Possenti alle prime armi.
Il film fu montato a Roma alla Microstampa dove Riccardo Cucciolla, famoso attore e doppiatore, prestò la sua straordinaria voce a questo piccolo film che, dopo oltre cinquant’anni, non ha perso la sua fresca bellezza.
Dopo tanti anni, riflette Rocchi con un misto di felicità e dolce malinconia: “Era stata un’esperienza proficua per noi dal punto di vista culturale ed eravamo soddisfatti in attesa di altre possibilità che, per varie ragioni, non sono venute. Il corto girò per alcune sale e poi, però, si eclisso sino a quando un figlio del mio amico scomparso, si decise di farne fare una costosa copia in cassetta che poi io stesso ho trasformato in dvd. Posseggo, ancora, una copia di lavorazione e il nastro della registrazione del commento”.
Sarà bene che sia la copia che il nastro ma soprattutto il filmato siano conservati magari da qualche lungimirante ente pubblico e di tanto in tanto proiettati. (Perché, ad esempio, non metterlo all’interno del festival dedicato a Gualtiero Jacopetti o all’annunciato Garfagnana Film Festival?). Sarebbe una cosa lungimirante e importante per la qualità del corto (che in alcune immagini ricorda certe atmosfere di Ingmar Bergman), per la straordinaria partecipazione di ragazzi che poi sono divenuti famosi (Rocchi, il Quartetto e Possenti) e per la testimonianza visiva di un mondo che con il boom economico e l’abbandono delle montagne è andato perso.
Insomma, un piccolo gioiellino da conservare e custodire. Gelosamente.
Nazareno Giusti