Ho appena riletto un mio articolo pubblicato qualche tempo fa su www.manidistrega.it e… ho deciso di riproporlo anche qui. Spero vi piaccia.
Il treno corre veloce ed io, quasi fossi un bambino, me ne sto col naso premuto contro il vetro del finestrino. Di tanto in tanto vorrei saltare da un lato all’altro del vagone, ma c’è troppa gente e non si può. Muovo le pupille da una parte all’altra perchè i piccoli orti che crescono lungo la ferrovia tra Pisa e Firenze diventano ancor più piccoli e sfuggenti da uno dei pochi treni capaci di accorciare le distanze nella terra di Toscana. Cerco di carpirne i segreti mentre mi muovo, non solo idealmente, da un orto all’altro. Si, in due giorni ho la fortuna di visitare due orti speciali. E’ di loro che intendo parlarvi.
Poiché le cose normali non fanno per me, inizierò raccontandovi dell’orto che sto andando a visitare, che ancora non conosco mentre premo il naso contro il finestrino, ma che mentre digito ha ormai cambiato il mio modo di guardare gli orti in città. Provate a pensare di starvene tutto il giorno alla finestra e di vedere una vecchia pista di atletica che ha invaso gli spazi di quello che fu un bel giardino. Potete guardarla per ore, ma non vedrete nessuno farvi sport o correre. Al massimo c’è qualcuno che vaga come perso nel nulla. Senza troppo pensare alle ragioni di ciò che vedete, vi rendete man mano conto che la città ha uno spazio inutile in cui arrivano dei raggi di sole. Di certo non baciano la terra, ma se siete sufficientemente pazzi potete immaginarvi che quella pista venga invasa da grandi contenitori di legno, che qualcuno più pazzo di voi li riempia di terra e che con altri folli inizi a piantarvi frutti ed ortaggi. Se nella pazzia vedete del buono, quello che qualcuno potrebbe definire il genio, potreste immedesimarvi in Giacomo Salizzoni, l’architetto che ama gli orti che ha ideato gli Orti diPinti.
Essi hanno occupato, non senza fatica e difficoltà, gli spazi della pista di atletica. In questo strano inverno vi crescono cavoli, erbe aromatiche, porri, piselli e molto altro. E’ tra queste piante, intento a controllare le compostiere della community del compost che incontro Giacomo. “Era il 2012”, mi dice con aria seria, “quando ho pensato di trasformare questa spianata ormai inutile in orto. Era poco più che un’idea che sono andato a raccontare a qualche personaggio chiave, poi è nata una vera e propria community e tra un colpo di fortuna e l’altro, con un po’ di determinazione e l’aiuto di alcuni sponsor, a novembre del 2013 abbiamo inaugurato”. Poche parole che racchiudono un percorso importante e un mezzo miracolo: nel bel mezzo della storica Firenze, in Borgo Pinti, è nato un orto dalla vocazione didattica. Passano pochi minuti e Giacomo riceve un gruppo di ragazze americane che studiano nel capoluogo toscano. Ci vuole davvero poco per capire il senso della community: loro si offrono volontarie per fare qualcosa per l’orto e Giacomo cerca di capire quali competenze hanno per affidare loro dei compiti. E’ una community attiva, una di quelle in cui sei parte del tutto quando fai qualcosa di utile per il tutto e per tutti.
In questo racconto posso congedarmi da un orto cittadino e tornare indietro nel tempo, all’ideale ieri di questo articolo. E’ sul cancello dell’Orto degli Anziani di Viareggio Nuova che incontro Sirio Orselli. E’ un giorno di sole e tepore in un inverno che non lascia mai capire se sia un finto autunno o un accenno di primavera e lui mi accoglie con un sorriso. Sirio è il Presidente del comitato di gestione di un piccolo miracolo: quaranta orti pubblici dati in concessione agli anziani del quartiere. Sorridiamo insieme quando mi dice che il canone che pagano annualmente ammonta a 1.000 Lire convertite in Euro. Mentre vaghiamo tra i singoli appezzamenti emergono storie di persone semplici che hanno fatto questo paese, storie che a volte qui sembrano chiudersi. “L’età media di chi coltiva”, mi spiega, “è sui settantacinque anni. Ogni tanto dobbiamo salutare qualcuno e fare spazio ad un nuovo assegnatario”. Momenti tristi cui segue un benvenuto.
Anche qui c’è una community, anche se nessuno usa questo termine. Le persone che coltivano i vari appezzamenti si autotassano per alcune spese di carattere generale. Poche decine di Euro l’anno, ma servono per comprare qualche pianta con cui abbellire e rendere utile il perimetro degli spazi comuni, per la benzina del tagliaerba, per le piccole manutenzioni. “Oggi c’è un impianto irriguo che porta acqua ad ogni parcella”, mi dice Sirio, “ma prima non c’era: lo abbiamo costruito noi, così come i servizi igienici”. Parliamo per almeno un’ora durante la quale il “lei” diventa “tu” e la richiesta di poter visitare l’orto si trasforma nell’invito a tornare. “Da marzo a fine agosto è uno spettacolo”, incalza Silvio. Io non ho dubbi sul fatto che ritornerò.
Ma che ci fanno gli orti in città? Io ho molte risposte, ma una delle più belle me la regala proprio Sirio: “Quest’orto è una sacca di onestà e chiarezza, una sacca pulita dentro la città”. Ci siamo salutati e io sto rientrando a casa mentre ancora rimugino su questa frase: ci sono zone delle nostre città che cadono in mano all’oblio, all’abbandono, e diventano terra di conquista per l’illegalità, la microcriminalità e molto altro. Quaranta orti sono almeno ottanta occhi che vedono o potrebbero vedere, che vigilano sul ritorno da scuola dei bambini come su quello di un’anziana signora dalla messa. Quaranta orti consolidano una piccola comunità che non lascia spazio a degrado e malintenzionati.
Ora sono qui davanti ad una tastiera che ormai di orti ne sa quanto me, ma parole ed immagini di questi due orti speciali mi scorrono ancora davanti, quasi come se fossi col naso premuto contro il finestrino di un treno immaginario che corre da un orto all’altro per tornare subito indietro. Io mi lascio trasportare in questo nuovo ed immaginario viaggio, perché dagli orti ricevo solo buone sensazioni.
(articolo originariamente apparso su www.manidistrega.it a cura di Emilio Bertoncini – fotografia tratta dalla pagina https://www.facebook.com/CommunityGardens)