Andreuccetti è un alpino e, nel 2013, assieme a centinaia di altre “penne nere”, in occasione del ventesimo anniversario della costruzione dell’Asilo “Sorriso”, si è recato in Russia, a Rossosch, là dove era ubicato il comando del contingente alpino, durante il secondo conflitto mondiale.
Vi proponiamo un toccante racconto di quei giorni.
Fra le stoppie e sulla terra arida, si cerca qualcosa, con un po’ di fortuna chissà, si spera ritrovare un nome, una medaglia, perché quelle terre bruciate dal sole d’estate e dalla neve in inverno, sono ancora incontaminate. E nella terra i ricordi della guerra sono palpabili, scaglie di ferro sono disseminate qua e là, basta avere un po’ di pazienza e cercare. Affiorano in superficie ai margini dei camminamenti e delle trincee che sono ancora ben visibili.
Dopo Waluikj, la tomba della divisione Cuneense, ancora chilometri di strada attraverso la steppa ed i campi di girasole fino ad arrivare a Nikolajewka, piccola località rurale in mezzo ad un avvallamento nella pianura ed oggi chiamata Livenka.
In questa sperduta località fu la Divisione Tridentina a fregiarsi di gloria, perché ancora in grado di battersi effettuò l’ultimo assalto e poté permettere a tutti i resti delle altre divisioni, comprese quelle di fanteria, di uscire dall’accerchiamento ed aprirsi una strada verso la libertà. Una libertà che i superstiti della nostra grande armata dovettero conquistare percorrendo altri trecento chilometri in mezzo alla neve fino ad arrivare ai confini della Polonia. A Nikolajewka è ancora possibile ritrovare il sottopasso ferroviario colpito da gragnole di proiettili e teatro dell’ultimo assalto. Si vede il campanile del paese dove era posizionata una mitragliatrice russa che falciava i poveri alpini disarmati e la stazione dove erano piazzati i carri armati che furono attaccati con le sole bombe a mano e le baionette.
Particolarmente commovente è la cerimonia che si svolge davanti al cippo eretto ai margini di un campo di girasoli e che ricorda i soldati italiani caduti. Alla recita della preghiera dell’alpino ed al suono del silenzio, ai numerosi presenti luccicano gli occhi e si forma un groppo alla gola.
Sono trascorsi oramai più di settant’anni dai tragici avvenimenti di quell’inverno del 1943 eppure ci sono ancora testimoni in grado di raccontare episodi legati alla guerra e vissuti personalmente.
Ho avuto la fortuna anch’io di raccogliere una preziosa testimonianza.
Mentre sto rientrando dal tunnel ferroviario, per recarmi al pullman scorgo una vecchia seduta sopra una panchina di legno posta davanti alla propria casa. Quella donna può aver vissuto la guerra e mi avvicino.
“Siamo italiani in visita a Nikolajewka” le dico e subito il volto rugoso di quella vecchia si illumina. “Da! Italianski!” esclama. E subito intona una canzone e si mette a cantare in un italiano duro ma comprensibile. “Mamma son tanto felice, perché ritorno da te! E questo cuore mi dice, che più bel giorno non c’è!”.
Rimango esterrefatto e la commozione mi vince. Quella vecchia molto probabilmente ha avuto rapporti con i nostri soldati che hanno lasciato tracce in quelle terre lontane. Provo a farle un’altra domanda.
“Cosa ricorda della guerra?”, “Da! Marko! Marko! Italianski chorosho!”. Quella frase richiama alla mia mente il racconto di un reduce che parlava un po’ di russo e mi sembra di ricordare che la parola “chorocho”significhi “bravo”.
Purtroppo la donna che conosce soltanto la canzone “Mamma” e poche parole d’italiano, non è in grado di sostenete una conversazione con me. Devo invece farle delle domande, mi devo far capire, desidero sapere cosa ricorda della guerra. La guida che conosce bene il russo mi è di aiuto.
L’italiano bravo al quale si riferisce la donna era un alpino ventenne di nome Marco. Durante l’assalto a Nikolajewka era rimasto ferito ed era quasi congelato e lei lo aveva ospitato in casa. Lui gli aveva dato qualche biscotto che aveva ancora con sé. La ragazza lo aveva fatto riscaldare e dormire due notti in casa sua e lui in cambio gli aveva ammassato la legna nella catasta dell’orto.
L’anziana donna racconta con uno sguardo assorto ma lucido e dice che durante il passaggio del fronte tutto intorno al paese si contavano numerosi i morti ed i feriti e quando i russi se ne furono andati altre famiglie ospitarono soldati italiani. Coloro che sono riusciti a tornare in Italia lo hanno potuto fare grazie anche a queste donne russe coraggiose.
Si capisce che era nata una simpatia fra quella giovane appena diciottenne ed il nostro soldato. La ragazza che era sola in casa con la madre ammalata aveva, però, timore che arrivassero i partigiani russi, più pericolosi dei soldati, che l’avrebbero accusata di aver dato ospitalità a un nemico.
Marco per non creare problemi se ne andò dopo aver salutato ed abbracciato la ragazza di nome Irina.
Nel 1993 Marco era ritornato in Russia per l’inaugurazione dell’asilo di Rossosh e nonostante gli oltre cinquanta anni trascorsi dagli eventi bellici era stato in grado di ritrovare e di rivedere quella donna.
Dopo essersi nuovamente salutati, Marco aveva promesso di tornare, ma il destino non gliel’aveva concesso ed il vecchio reduce era morto in Italia senza poter rivedere Irina. La triste notizia era stata portata alla donna da un amico durante la celebrazione del decennale dell’asilo nel 2003.
Irina, che ricorda ancora i trascorsi della guerra, è molto gentile con me e la guida. Ci fa entrare in casa e ci permette di visitare l’interno dell’isba, oltre che farsi immortalare in alcune fotografie.
La salutiamo e la ringraziamo donandole una piccola somma di rubli. Mentre usciamo da casa sua si mette nuovamente a cantare la canzone “Mamma”. Me ne vado senza volgermi indietro perché ho vergogna nel farmi vedere con gli occhi lucidi.
Continuo a pensare a quell’incontro e mi ritrovo nuovamente sul vecchio treno che percorre nella notte le distese sconfinate della Russia. Il mio mesto pellegrinaggio è ormai giunto al termine, fuori, un vento gelido annuncia l’approssimarsi dell’inverno, di un altro inverno che andrà a ricoprire ancora una volta di neve i resti dei nostri caduti.
– Roberto Andreuccetti –