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della robbia

The glazed sculptures of Luca Della Robbia and his family admired by Leonardo da Vinci and whose technique still baffles experts are featured in a sweeping exhibition devoted to the Renaissance master and his contemporaries.

Over 130 marble and terracotta works by andrea, his nephew Andrea and the latter’s son Giovanni have been gathered at Arezzo’s State Museum of Medieval and Modern Art to place the spotlight on what painter and historian Giorgio Vasari called ” a new and beautiful art”.

The glazed technique invented by Luca della Robbia to protect his creations from the elements prompted Leonardo to say that it ”had made painting eternal”.

Although a talented sculptor, Della Robbia was best known for this glazing which ensured that the colour and precision of his sculptures long outlasted those of his rivals.

The technique was a closely guarded secret, shared only with family members, and continues to astound experts today.

Laboratories in the Louvre have been carrying out diagnostic tests for months aimed at discovering the Della Robbia secret but have so far been unable to reproduce the technique.

”The skill of the Della Robbia family remains unsurpassed,” said Giancarlo Gentilini, one of the show’s curators.

”Luca Della Robbia created a new, practical and truly beautiful form that would shape a century of art”.

The secret was according to legend hidden inside the head of Christ in one of the Della Robbia creations. In fact the Della Robbia terracotta in the Duomo in Barga has been vandalised in the distant past by thieves searching for Luca della Robbia’s elusive secret.

A botched patching up of the Madonna’s right side still shows today where the figure of Christ was smashed during the search.

Another Della Robbia Madonna (this one probably a copy) on Porta Reale as visitors leave Barga Vecchia has the head of Christ once again destroyed – nobody quite sure when in history this sad event happened.

”This is an unconventional show because by looking at Della Robbia’s art it gives us the opportunity to understand the milieu of artisans’ workshops and artists’ studios and see how freely information flowed among them,” said Gentilini.

Gentilini stressed that a number of pieces have been especially restored for the show and that at least 30 others which were previously uncatalogued were discovered by experts helping to prepare it, including the marble sculpture which greets visitors at the door. The exhibit features a number of the Della Robbias’ most important works, as well as pieces chosen to highlight the interaction between Renaissance sculpture, art and architecture.

It starts with Luca Della Robbia’s earliest works, including drawings, plasters and marbles, before moving into his first terracotta pieces, such as his Madonna of the Apple, which Lorenzo de Medici kept in his bedroom.

The show then focuses on the brilliantly coloured pieces of Andrea, including some of his touching portraits of children and noblewomen, before looking at work by Giovanni.

Of particular interest will be a number of restored Della Robbias going on display for the first time, and a beautifully coloured Annunciation missing for centuries.

Designed for a church in the Tuscan town of Barga, this was spirited away not long after its creation and only recently discovered hidden inside a wall during renovation work of a nearby building.

The nature of the Della Robbias’ work means that much of it cannot be moved, so in addition to the central event, organizers have also created five external itineraries.

These will lead interested visitors to over 200 pieces located in churches and public sites around the province, taking in altarpieces, bas-reliefs and other precious works of art.

 


 

 

Tra le varie opere d’arte che sin dall’antichità si conservano a Barga, spiccano per qualità e quantità le terracotte robbiane – pale, medaglioni e statue – le quali ornano, in primis, la chiesa di S.Francesco dell’omonimo convento situato nei pressi dell’ospedale cittadino, fondato nel 1471 dal beato frate Michele da Barga; poi la chiesina di S.Elisabetta, collocata nel complesso dell’antico monastero dell’ordine francescano delle Clarisse di Barga, oggi detto Conservatorio, fondato nel 1456 sempre sulla spinta del Beato testé ricordato. Continuando con le terracotte conservate nel Duomo di Barga, le quali vi giunsero in vari tempi (almeno due delle tre presenti) dai due luoghi francescani ricordati. Infine la piccola opera consevata nel cinquecentesco oratorio di S.Rocco a Tiglio. In tutto sono 10 opere, che salgono ad 11 con la bella pala in terracotta visibile nel Duomo di Barga, la quale, rimasta senza i colori e l’invetriatura, nonostante sia attribuita ad un ignoto plasticatore toscano, per la similitudine dei tratti artistici, da tutti e da sempre la si annovera con le nobili consorelle.
Esiste ancora una statua in terracotta, anch’essa rimasta senza colori e invetriatura, raffigurante S.Antonio Abate, che rotta in due parti e in questa

condizione,  per lungo tempo è stata conservata tra le cose d’arte del Duomo di Barga. Poi, per interessamento del Comune di Barga e della Soprintendenza, qualche anno fa è stata restaurata per porla in mostra al Museo Civico di Barga.
Dato che ci siamo accinti a parlare delle robbiane di Barga, penso sia doveroso ricordare quelle che oggi non sono più tra noi. Iniziamo con lo stemma robbiano della famiglia del podestà Rondinelli, che esposto sotto la trecentesca loggia del palazzo Pretorio, durante la seconda Guerra Mondiale fu trafugato e della sua sorte se ne sono perse le tracce. Continuiamo con altre due pale che erano esposte nella chiesa e convento di S.Francesco, le quali ebbero una sorte un poco diversa, comunque scomparendo da Barga nel corso del 1800. Si tratta di un “Cenacolo” sullo stile di Leonardo da Vinci, che lo storico barghigiano Groppi ci dice fu acquistato da degli antiquari nel 1835, tempo in cui il convento era chiuso perché soppresso in epoca napoleonica, ed oggi visibile nel museo londinese “Victoria ed Albert Museum”. Poi un “Cristo nell’orto dei Getsemani”, oggi esposto al Louvre di Parigi, che il critico Gentilini suppone provenga da Barga, forse, sulla scorta di quanto scrisse il nostro Groppi nella sua: “Guida del Duomo e monumenti principali per uso dei visitatori di Barga”, il quale citando l’opera, vuole fosse stata donata a suo tempo alla famiglia dei Donati che cedette una cava locale d’argilla a Luca della Robbia per uso delle sue fornaci (ma questo argomento, la presenza a Barga dei della Robbia, ne faremo oggetto del capitolo finale del presente lavoro). Infine due piccole statue raffiguranti “l’Arcangelo Gabriele” e  “l’Annunziata”, che poste ad un’altare della chiesa di S.Francesco retto dalla famiglia Mordini, dalla stessa, che ne era proprietaria, furono prelevate quando nel 1866 il convento e la chiesa, dopo la soppressione napoleonica, venne nuovamente affidato ad una piccola famiglia di Cappuccini.
Venendo alle committenze delle terracotte barghigiane – ma penso si sia già capito – l’ispirazione maggiore trasse origine dalla parola di quei seguaci di S.Francesco. Infatti il loro Ordine, laddove era presente ed operante nell’allora Toscana, si era fatto divulgatore e promotore di quell’arte perché affascinato dalla concezione visiva di quelle opere che, orientate tra scultura e pittura, si offrivano al fedele con tanta umiltà da farlo entrare in simbiosi col momento di fede ricordato. Giova ricordare che Andrea della Robbia è identificato come interprete dell’osservanza francescana.
Per quanto attiene invece al mero acquisto, tenendo conto che i francescani avevano il voto della povertà, possiamo dire che buona parte delle opere robbiane di Barga sono da collocarsi in quell’alveo di donazioni votive che i fedeli più facoltosi facevano alle varie chiese o luoghi di culto, magari celati dentro a istituzioni religiose, anche se le stesse non mancarono sicuramente di ricorrere a fondi propri. Ripetendo, comunque, che la presenza in Barga delle terracotte robbiane, la genesi della loro conoscenza, quasi esclusivamente è da considerarsi dovuta ai francescani, sia da parte dei loro predicatori che per le “quaresime”, spesso, venivano ricercati a spese del nostro Comune, come a quelli di Barga raccolti in famiglia nel convento dei Minori Osservanti la Regola di S.Francesco e alle Terziarie di quell’Ordine, le Clarisse del monastero dedicato a S.Elisabetta d’Ungheria.
Per completare questo ultimo assunto non vanno dimenticati quei frati di Barga che in quei tempi entrarono in famiglia nei conventi toscani, specialmente pensando ai contatti con La Verna di fra Gaspero.
Per quanto riguarda invece la datazione delle nostre opere, se troviamo concordi i vari studiosi che se ne sono interessati: fine del 1400 e primi decenni del 1500, parimenti non possiamo dire per gli autori, infatti diverse sono le divergenze. Per non cadere nel ginepraio delle varie attribuzioni che ci offre sull’argomento la diversificata letteratura critica, faremo unicamente riferimento ad uno dei maggiori studiosi viventi di opere robbiane, Giancarlo Gentilini, e alle sue approvazioni. Tra l’altro il Gentilini è un profondo conoscitore delle robbiane di Barga: nel 1983 pubblicò uno suo studio specifico sull’argomento nel libro “Barga Medicea”: “Le ‘terre robbiane’ di Barga”; un primo importante interessamento, poi sviluppato nel corpo di altre significative pubblicazioni successive.
LA ROBBIANA DI TIGLIO
A Tiglio Basso, amena frazione montanina del Comune di Barga, nel piccolo oratorio di S.Rocco si trova l’opera robbiana: “ Madonna col Bambino” 1500-05 c.
Piccola pala centinata ad altorilievo, in terracotta policroma invetriata. Benedetto Buglioni (1459/60-1521)
Prima di mettersi in proprio operante nella bottega di Andrea della Robbia.
L’opera è contornata da una ghirlanda di foglie, fiori e frutta, all’interno, in un accennato paesaggio sovrastato da un cielo azzurro solcato da cirri, si evidenzia una amorevole Madonna in piedi che regge in braccio il Bambino. Questa parte dell’opera poggia su di una mensola, che reca al di sotto un angioletto tra forme floreali.
LE OPERE RACCOLTE NELLA CHIESA DI S.FRANCESCO
Entrando nella chiesa, sulla destra, si trova la pala della: “Nativita” o il “Presepio” 1500 c. Pala centinata ad altorilievo, in terracotta policroma  invetriata. Luca della Robbia “il giovane” (1475-1548) Formatosi nella bottega del padre Andrea.
L’opera è contornata solamente da tredici testine di angioletti, che in parte si ripetono all’interno con altri angeli musicanti. Al centro si vede la Sacra Famiglia con in alto una colomba che irradia il Bambino e sullo sfondo il bue e l’asino. Ai lati due figure: S.Girolamo che si batte il petto col sasso ed ha tra le gambe un leone, e il beato Michele Turignoli da Barga, fondatore del convento, misticamente proteso ed orante verso il Bambino.
Nel centro della predella in basso, il Cristo nel sepolcro con al lati la Madonna e S.Giovanni. Più a lato S.Bernardino e S.Antonio da Padova. All’esterno i donatori, un uomo e una donna, che si vuole siano gli sposi ser Jacopo Angeli ed Ermellina Turignoli, parenti del beato Michele da Barga e genitori dell’umanista Pietro Angeli.
Sul lato sinistro della chiesa, di fronte alla pala della “Natività”, si trova il:“San Francesco stimmatizzato” 1511 c. Pala centinata ad altorilevo, in terracotta policroma invetriata.  Girolamo della Robbia (1488-1566) Formatosi nella bottega del padre Andrea.
L’opera è contornata da una ghirlanda di foglie e frutta che si completa, più internamente, con tredici testine angioletti. Nel paesaggio proprio di dove avvenne la stimmatizzazione, si vede S.Francesco inginocchiato e rivolto verso il Cristo che aleggia in alto donandogli le sue sofferenze. Vicino a S.Francesco l’atterrito compagno.
Nel centro della predella la Madonna col Bambino in braccio. Ai suoi lati due angeli oranti. Più esternamente, da una parte due donne, dall’altra due uomini, raffigurabili negli ignoti donatori dell’opera.
Sul fondo della chiesa, nel coro, si trova: “L’assunzione della Madonna” o “Madonna della cintola” 1490 c. Pala centinata ad altorilievo, in terracotta policroma invetriata. Andrea della Robbia (1435-1525) e sua bottega.
L’opera è contornata da una ghirlanda di foglie e frutta nascenti da due vasi posti alla base per congiungersi in alto nel monogramma del Cristo. Al centro dell’opera la Madonna che sale in cielo, contornanta da sette testine di angioletti. Più esternamente, posati su novolette, altri otto angeli musicanti raffigurati nella loro interezza. In basso il sepolcro che ospitava il corpo della Madonna attorniato da S.Tommaso, che riceve il dono della cintola, da S.Francesco, S.Antonio e S.Bonaventura.
Nel centro della predella un tabernacolo con ai lati due angeli volanti. Ai lati due due santi francescani.
Sempre nel coro della chiesa, ai lati della pala de’ “L’Assunzione della Madonna”, si trovano due statue di santi a grandezza quasi naturale poggianti su mensole: “S.Andrea e S.Antonio Abate” 1490-95 c. Statue in terracotta policroma invetriata. Bottega di Andrea della Robbia (1435-1525) S.Antonio Abate e detto anche S.Antonio del Tau, per la croce dell’ordine ospitaliero di Altopascio dipinta sul mantello.
LE TERRACOTTE DEL MONASTERO DI S.ELISABETTA
Sul fondo della piccola chiesa del monastero di S.Elisabetta, dal 1700, per volere granducale, trasformato in Conservatorio, si trova la pala:
“La Madonna della cintola” 1515 c. Pala centinata ad altorilievo, in terracotta policroma invetriata.
Benedetto Buglioni (1459/60- 1521)  Prima di mettersi in proprio operante nella bottega di Andrea della Robbia.
L’opera è contornata da una ghirlanda di foglie, fiori e frutta, recante il alto, alla congiunzione, il monogramma del Cristo. Il contorno si completa all’interno con tutta una serie di ventitre testine di angioletti. Il soggetto dell’opera è simile all’Assunzione della chiesa del S.Francesco. Cambiano solo alcuni Santi intorno al sepolcro vuoto della Madonna salente verso il cielo e la disposizione degli angeli che l’accompagnano, qui sono sei nell’atto del volo; mentra ai suoi piedi si ripete un angioletto simile a quelli del contorno.
Sotto alla Madonna, intorno al sepolcro che la ospitava, da un lato si trovano: S.Giovanni, S.Elisabetta d’Ungheria e S.Tommaso nell’atto di ricevere la cintola della Madonna. Dall’altro lato: S.Francesco, S.Antonio Abate e l’Arcangelo Michele.
Nella predella il Cristo risorto, con ai lati S.Girolamo e S.Egiziaca. Più esternamente S.Chiara e la presunta immagine del Beato Michele da Barga, fondatore del monastero delle Clarisse.
Sulla porta che dall’aula della chiesa  conduce in sacrestia si trova un medaglione raffigurante la: “Madonna col Bambino” 1500-05 c. Medaglione ad altorilievo, terracotta policroma invetriata. Giovanni della Robbia (1469-1529/30) Operante nella bottega del padre Andrea.
L’opera è contornata da una ghirlanda a tutto tondo di foglie e frutta. Al centro, a mezzo busto, la Madonna che reca in braccio il Bambino.

LE ROBBIANE DEL DUOMO DI BARGA

Nel Duomo di Barga, sul fondo a destra, si trova la cappella del Sacramento, dove si conservano due opere robbiane di modeste dimensioni, mentre al centro dell’altare si può vedere una grande pala, quella di cui parlavamo all’inizio, che rimasta allo stato di cotto e nonostante sia di una mano  sconosciuta, da sempre gode l’attenzione di tutti, tanto da essere ormai assurta ad una “robbiana minore”.
Entrando nella cappella, sul muro di sinistra, si trova il: “Tabernacolo del Sacramento” 1495 c. Piccola pala ad altorilievo, terracotta policroma invetriata. Bottega (Giovanni) di Andrea della Robbia (1435-1535)
La piccola pala raffigura un ciborio, al cui interno, si vedono due angeli che aprono una tenda a scoprire la porticina degli olii santi. Sui fianchi della scena, poggianti sulla stessa mensola che regge il tabernacolo, due figure reggicandelabro nei sembianti di due donne o due Angeli: una a destra e l’altra a sinistra. In alto, nella centinatura del ciborio, due angioletti orano un puttino benedicente che si erge su di un calice: ovviamente il Cristo fanciullo.
Sotto alla mensola si vede la testina di un angioletto tra due cornucopie, alla cui estremità fuoriescono delle foglie e frutta.
Sul muro di destra della cappella si vede: “ Madonna che adora il Bambino” 1490 c. Piccola pala centinata ad altorilievo, terracotta policroma invetriata. Bottega di Andrea della Robbia (1435-1525) e Manifattura Cantagalli, 1934.
L’opera è contornata da una ghirlanda di foglie, fiori e frutta, che si completa, tra la mensola su cui poggia la piccola pala e l’immagine un poco più alta dell’Adorazione, con tre testine di angioletti. (Manifattura Cantagalli).
All’interno, a forma di ulteriore piccola pala centinata completamente racchiusa da una incorniciatura bianca, si trova l’immagine della Madonna che adora il Bambino. In alto, nella profondità di un cielo azzurro, appaiono i mezzi busti di quattro angeli oranti.
Sotto la mensola è la testa di un Angioletto tra due cornucopie, al cui termine fuoriescono delle foglie e frutti. (Manifattura Cantagalli).
Le aggiunte della manifattura Cantagalli di Firenze furono eseguite nel 1934, al tempo in cui il Duomo fu chiuso per i restauri (1927-1939).
La storia ci dice che la parte dell’opera strettamente robbiana un tempo era in essere all’esterno del muro di cinta del convento di S.Francesco, poi, col fine di sottrarla ad eventuali furti e danneggiamenti, nel 1879 si decise di smurarla per portarla in un luogo più sicuro, cioè nel Duomo di Barga. Quando la chiesa entrò nella fase dei ricordati restauri, tra i diversi lavori di abbellimento, si pensò di rendere più visibile anche la piccola pala in oggetto, aggiungendovi delle decorazioni in stile robbiano (la ghirlanda esterna che si completa in basso con le tre testine di angioletto e la mensola col sottostante angioletto tra due cornucopie) eseguite dalla ditta Cantagalli di Firenze; una tra le maggiori manifatture del tempo dedite al cosiddetto “Revival Rrobbiano”.
Sul fondo della cappella, sopra l’altare, si erge la pala di cui parlavamo all’inizio: quella rimasta allo stato di cotto e non attribuibile all’ambito robbiano. Comunque, per le similitudini con quell’arte, da sempre rientra nel discorso.
La Madonna tra i Santi Rocco e Sebastiano” 1527 c. Pala ad altorilievo, terracotta senza colori e invetriatura. Plasticatore Toscano del XVI sec.
Quest’opera, proveniente dal convento di S.Francesco, fu portata nel Duomo nel 1936.
La pala in oggetto, rispetto alle altre, oltre al fatto che sia rimasta allo stato di cotto ha pure una forma differente. Infatti non ha la centinatura in alto, ma si presenta come un rettangolo poggiato sull’altare dalla parte del lato minore; una vera e propria “tavola”. Il soggetto è svolto in una parte centrale compresa tra due grandi fasce, come due predelle. Nella predella in basso s’intuisce che c’erano diverse immagini di Santi, dei quali ne sono rimasti visibili solo due. Gli assenti furono trafugati quando la tavola era esposta nel chiostro esterno del convento di S.Francesco.
La fascia in alto si presenta liscia, come se non vi fosse mai stato raffigurato niente.
Il soggetto della tavola è compreso tra le due fascie e delimitato al lati da due lesene, al cui interno sono scolpite delle foglie secondo lo stile robbiano. Al centro dell’opera si vede la Madonna in trono mutila del Bambino che teneva in braccio, il quale fu asportato da mano ignota nel corso del 1800, quando l’opera era esposta nel chiostro esterno del convento di S.Francesco. Alla sua destra vediamo S.Rocco e sulla sinistra S.Sebastiano. Al tutto fa da sfondo un paesaggio collinare che reca in alto un castello.
La presunta storia di questa pala, seppure un po’ lunga a raccontarsi, merita di essere ridetta e per farlo proveremo ad essere succinti. (Per maggiori chiarimenti si veda il testo del sottoscritto: “Storia del culto di S.Rocco a Barga” 2008).
Intanto facciamo notare che la datazione dell’opera al 1527, dopo quanto diremo, potremmo spostarla al 1528 e con buona probabilità che sia giusta. Tra l’altro sarebbe l’unica pala di Barga ad avere una data precisa circa la sua costruzione, sia pur restando ignoto l’autore.
La storia di Barga ci dice che nel 1527 “In calen di maggio….si scoperse la peste in Bargha in casa di Bernardino Spetiale a Porta Reale”. Così il pievano di Barga Jacopo Manni annotò l’evento nel suo diario, dal 1971 edito a cura di don Lorenzo Angelini nel libro: “Il memoriale di Jacopo Manni da Soraggio pievano di Barga- 1487-1530”. Andando avanti a leggere la stessa memoria vediamo che: “…per questo li homini di Mancianella (n.d.r.- altro nome di Porta Reale) per devotione si propuoseno di fare una capella di S.Rocho inel fosso di Porta Reale…”.
Da un’altra delibera del Comune di Barga dell’8 dicembre 1528 vediamo che: Ser Jacopo di ser Piero, insieme con moltissimi uomini di Mancianella farà istanza al Consiglio che si degni di fare un’elemosina per la tavola della Vergine, di S.Rocco e di S.Sebastiano, da essi fatta per la loro devozione”. Che pensiamo sia quella che ora è nel Duomo.
Ma per capire il nostro assunto intanto ci formuliamo una domanda: gli uomini di Mancianella, o Porta Reale, dove posero la tavola, che si dice già fatta nella delibera dell’8 dicembre 1528? Si può ipotizzare che fu fatta per la cappella che gli stessi uomini di Porta Reale avevano fatto nel 1527 “inel fosso”, cioè nel fossato che era fuori dalla loro porta; ma possiamo pensare ancora che l’avessero fatta per porla in un’altra cappella che in quel 1528, anno in cui si rinnivò la peste, si fece di fronte alla chiesa di S.Francesco (tenendo conto che l’area del convento era efferente a Porta Reale) per consentire ai fedeli di assistere alla Messa al di fuori dell’ambiente chiuso della stessa chiesa. Se fosse valida la seconda ipotesi si chiarirebbe l’iter della tavola che ora è nel Duomo: fatta costruire nel 1528 dagli uomini di Porta Reale, collocata nella cappella costruita di fronte al convento di S.Francesco e lì rimasta sino a quando la cappella cessò di esistere, per poi essere murata nel chiostro del convento stesso, finendo nel 1936 nel Duomo onde sottrarla alle ingiurie del tempo e degli uomini.

LA TERRACOTTA DEL MUSEO CIVICO
“S.Antonio Abate” Statua in terracotta, senza colori e invetriatura. Plasticatore Toscano del XVI sec. Quest’opera, proveniente dal tesoro del Duomo di Barga, oggi Museo Civico di Barga.
La statua da tempo era conservata tra le cose dismesse del Duomo di Barga, a causa della sua rottura, negli “avelli” – Groppi, “Guida del Duomo…” 1906. Nel 1916 esposta nel battistero del Duomo: “Il Duomo di Barga e le Terre Robbiane” Alfredo Della Pace, 1916.
Niente sappiamo della sua storia e di come accadde che si ruppe in due pezzi. Comunque ci sono delle tracce, rinvenute dal sottoscritto, che andrebbero seguite. Infatti nei documenti comunali, siamo ai primi anni del 1700, si ricorda che nei pressi di Porta Macchiaia era esposta alla pubblica venerazione, all’aperto, una statua di S.Antonio, che penserei fatta in terracotta, non certamente in legno. Potrebbe essere che durante le successive e terribili scosse telluriche che si verificarono nella Valle del Serchio tra il 1740 e il 1745, le quali causarono gravi danni a Barga: al Duomo e altre costruzioni, anche la statua del S.Antonio abbia subito uno sbandamento sul suo piedistallo per poi cadere e rompersi in due parti. Non restaurata e non oggetto da buttarsi, forse si pensò di riporla in qualche luogo idoneo, per esempio negli “avelli” poi, comunque rotta, nel battistero del Duomo.
Ma esiste un’altra storia sulla provenienza della statua, si badi bene però che è basata “sul si dice”, la quale fu scritta sempre dal proposto di Barga Alfredo Della Pace nel libro che pubblicò nel 1916 e poc’anzi ricordato: “Nel battistero è posato sopra un pilastro di legno una statua non invetriata, rotta in due punti che dicesi trovata in uno scavo eseguito nella località appellata ‘La Fornacetta’. Essa rappresenta un monaco forse S.Benedetto, perché indossa sulla lunga veste un mantello che stringe piegato al petto…”. S.Benedetto o S.Antonio, così come ora si ritiene?
La citazione del luogo in cui, presumibilmente, fu ritrovata la statua: “La Fornacetta”, cin introduce al prossimo ed ultimo capitolo.

SULLA PRESUNTA PRESENZA A BARGA DI FORNACI ROBBIANE

Nella Valle del Serchio, in un circolo spaziale abbastanza definito, esistono diverse opere robbiane:  Brancoli, Anchiano, Borgo a Mozzano, Gallicano, Cascio, Castelnuovo Garfagnana, Pieve Fosciana, per venire a Barga.
Questa particolarità è pensabile abbia da sempre incuriosito un po’ tutti, dando poi lo spago a diverse persone di pensare ad una probabile fornace robbiana stanziata nella zona.
Su questa falsariga, per la presenza nella terra fiorentina di Barga di un gran numero di quelle opere, quindi zona doppiamente sospetta perché i della Robbia erano fiorentini, gli emeriti intendenti di cose storiche presero ad indagare la sua storia, con la fondata speranza che saltassero fuori dei documenti comprovanti quella credenza, tra l’altro così fortemente radicata nel popolo.
“Voce di popolo voce di Dio”? Ci piace pensarlo anche noi. Infatti quel sospetto, finora negato dai documenti, vogliamo resti tale. Nel senso che future indagini storiche potrebbero rivelare che sia stato vero. Quindi, per non dire e non dare definitive sentenze, che non spettano a qualsiasi storico avveduto e sensato, diremo che per ora, quanto asserito in pubblicazioni di un certo rispetto circa la presenza della fornace robbiana a Barga, è destinato ad essere smentito dai documenti conosciuti, che mai riferiscono il sia pur minimo accenno sull’argomento, come del resto nessun documento può smentire la credenza e dunque resta intatta quell’idea popolare.
Forse il primo a riferire e ad alimentare la storia popolare di una fornace robbiana a Barga, fu Emanuele Repetti nel suo “Dizionario geografico fisico e storico della Toscana”, precisamente nel volume V° del 1845 in cui parla di Barga: “L’amore per le belle arti distinse di buon’ora i Barghigiani…..lo dicono tanti oggetti pregevolissimi di scultura di terra detta della Robbia…. il capolavoro in questo genere è nel quadro dell’altar maggiore al Conservatorio delle Clarisse.
Un argomento plausibile, che questo genere di plastica si lavorasse in Barga, ce lo fornisce un quadro incompleto murato in una parete del chiostro del soppresso convento di S.Francesco, il quale non ebbe che una sola cottura, e conseguentemente restò privo della successiva vernice invetriata.”
Abbiamo visto che si parla di un argomento plausibile, quindi avanti di darlo per sicuro occorrerebbero delle prove. Ovviamente, e comunque, in Barga quell’autorevole scritto non passò inosservato, e seppur basandosi sul “si dice”, lo storico canonico Pietro Magri nel libro “Il Duomo di Barga” edito nel 1886, non solo rilancia l’argomento, ma addirittura arriva a dire che Andrea della Robbia sia stato presente in Barga. Infatti nella descrizione delle opere d’arte conservate all’interno del monumento così si esprime: “Nella cappella a destra dell’altare maggiore trovasi una graziosa edicola per la custodia degli Olii Santi, di terra invetriata attribuita a Luca della Robbia. Ma questa come pure altre terrecotte di Barga, è attribuita dai critici competenti nell’arte di Andrea e alla sua scuola. Mentre non esiste alcuna prova che Luca abbia mai lavorato a Barga, si dice che Andrea vi abbia risieduto per diversi anni e da confronti fatti le opere suindicate, differiscono in molti particolari essenziali dello stile ben conosciuto di Luca”.
A distanza di venti anni Pietro Groppi, nel libro: “Guida al Duomo…” del 1906, riprende il discorso rilanciato dal cugino Pietro Magri circa la presunta presenza a Barga di una fornace robbiana e vedremo che, come in tutti i tempi, anche allora non mancavano le polemiche storiche, nel caso tra parenti. Infatti il Groppi, sia pur rilanciando l’idea che ci fu in Barga una fornace robbiana, tende a confutare quanto scritto dal cugino circa il conduttore, perché lui la vuole di Luca, il primo dei Della Robbia ad invetriare le terracotte, zio di Andrea, perché è lui l’autore “dell’edicola per la custodia degli Olii Santi” che è nel Duomo di Barga.
Per dare corpo alla sua affermazione cita persino una data e un contratto, però….però non dette le coordinate di dove fosse giacente e visibile quel documento, cosicché anche qui siamo al si vuole, anche se, per il vero cita “Bongi”, forse l’ottocentesco Salvatore Bongi, direttore dell’Archivio di Stato di Lucca e autore di un dottissimo inventario in quattro volumi dell’archivio stesso, nel quale tante e tali sono le informazioni storiche in genere, che può darsi ce ne sia una che contenga quanto scrive il Groppi. Ma vediamo cosa raccontò il Groppi a proposito della fornace robbiana: “In questa cappella vi è un grazioso Ciborio per la custodia degli olii Santi lavoro creduto di Luca stesso, avendo in Barga fuori di Porta Macchiaia luogo detto Terrarossa di Canteo-Gragnano. Le fornaci erano due, una dove oggi è la casa Togneri, circa 60 passi dalla Porta Macchiaia, la seconda dietro casa Baldi.
Si vuole che Luca avesse questa cava da certo D. Donati lucchese e che in compenso regalasse a questa famiglia un quadro rappresentante il Redentore orante nell’orto dei Gessemani con alcuni discepoli addormentati (Bongi)”.
Sulla scia di queste affermazioni, Repetti prima, poi Magri e Groppi, si è sviluppata una certa letteratura sull’argomento fornace robbiana a Barga, dando il via alla ricerca di documenti, anche nei luoghi, che potessero dire il vero.
Qualcuno addirittura disse di averlo trovato, addirittura nell’archivio del Comune di Barga, e lo citò in un articolo: “Le terrecotte Robbiane del gruppo Lucchese-Lunigianese”, pubblicato su di un numero del “Giornale Storico della Lunigiana” del 1962.
Nei fatti aveva trovato nel nostro archivio una delibera del 1528, tempo di peste, con la quale il Consiglio di Barga decise di edificare una cappella sull’Aringo, tra la Pieve e il palazzo del Pretorio, dove vi doveva essere un’opera  “invetriata in tavola” da farsi. La lettura erronea di una parte di quel documento fece dire al suo autore, Marchi, che era vero che in Barga fu operante una fornace robbiana. Il passo incriminato nella sua erronea lettura dice: “acciocché vi sia lavoro allo popolo fiorentino nella comunittà di Barga o de patti”.
Ma vediamo cosa dice nel vero la delibera, in cui abbiamo sottolineato la frase letta male dal Marchi: “6 ottobre 1528 – Derno pienissima auctorità à Consoli che si faccia quanto più presto fare si potrà una cappella infra la chiesa della Pieve e il palazzo del Rettore, lungo il muro dell’orto, dove sia una pietà in collo alla Gloriosa Vergine Maria con Sancto Francesco, Sancto Domenico, Sancta Maria Maddalena, Sancta Brigida, Sancto Cristofano protettore et advocato di Barga, Sancto Sebastiano, Sancto Rocho et sia invetriata in tavola et che si comincii infra otto dì et che il camarario della Comunità paghi a stantiamento de Consoli soscripto dal Commissario et che vi sia l’arme del popolo fiorentino et della Comunità di Barga a de Zatti e tutto ad honore et laude di Dio et mantenimento di detto popolo fiorentino et pace della Terra di Barga et a onore et affctione del presente Commissario…”. Zatti era il Commissario di Barga.
Tale stravolgimento del reale contenuto del documento fu evidenziato un po’ da tutti gli storici e tra questi anche da don Lorenzo Angelini in una nota del libro: “Il memoriale di Jacopo Manni da Soraggio pievano di Barga…”, il quale, seppur argomento relativamente attinente a quel testo, colse l’occasione per confutare l’affermazione del Marchi e più che altro l’idea generale di una fornace robbiana a Barga. Per farlo, oltre a riportare la giusta lettura del passo letto erroneamente, soggiunse che non si poteva comunque dire che alla Fornacetta, come dal nome, vi fosse stata una fornace robbiana secondo quanto narra la tradizione, perché in una delibera del Comune di Barga del 31 gennaio 1733 si può leggere che un tal Stafano di Jacopo Stefanetti della Fornacetta di Barga, avendo ad estimo una fornace di pignatte fuori di porta Macchiaia, questa non essendo più esercitata da quando morì suo padre, chiede di essere esonerato dalla dovuta tassa. Conclude don Angelini: “Quindi ‘fornacetta’ di pignatte e non di opere robbiane”. Tesi ripresa e avvalorata anche da Giancarlo Gentilini nel suo studio in “Barga Medicea” del 1983.
Mai dire mai! Confutare un’idea, sia pur fantasiosa e legata al 1400 o primi del 1500, con un documento di circa 250 dopo, quanto meno ci fa riflettere che l’uso della prudenza dovrebbe essere d’obbligo, perché in un così lungo lasso di tempo, nel silenzio dei documenti, possono essere accadute tantissime cose.
Semmai, quanto meno, resterebbe da indagare a quando quel sobborgo di Barga, posto nelle immediate vicinanze di Porta Macchiaia, inizia ad essere identificato col nome Fornacetta: nel 1700, oppure molto prima? Nell’attesa di un responso continua l’idea popolare della fornace robbiana a Barga.

I Della Robbia. Il dialogo tra le arti nel Rinascimento in mostra ad Arezzo
dal 21/02/2009 09:00 al 07/06/2009 19:00
Parlare dei Della Robbia significa parlare di Rinascimento. L’operosa attività di questa grande famiglia di artisti, in tutta la sua multiforme e corale vicenda, copre infatti un arco di tempo che dai primi decenni del Quattrocento si spinge ben oltre la seconda metà del Cinquecento: più di cento anni che segnano in modo indelebile tutta la moderna cultura occidentale.
La mostra che si apre il 21 febbraio 2009 ad Arezzo, presso la sede del Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna, sarà dunque l’occasione per ripercorrere intrecci, relazioni, contesti e soprattutto per evidenziare quel dialogo serrato tra le Arti che connotò questo cruciale periodo artistico, qualificando in modo esemplare la peculiarità espressiva e tecnica dell’arte robbiana
Il percorso espositivo previsto per la manifestazione aretina, che conta circa 140 opere e che proporrà tra l’altro alcuni eccezionali inediti (tra questi risulta ascrivibile tra i capolavori della plastica robbiana di fine Quattrocento un’Annunciazione policroma con decorazioni in oro, opera di Andrea e Luca della Robbia “il giovane”, composta da due statue ad altorilievo, un tempo in una cappella nella Chiesa di San Francesco a Barga) risulta dunque scandito da nuclei tematici e tipologici, tali da esemplificare gli aspetti, i significati, le implicazioni artistiche e storiche più peculiari dell’arte ‘robbiana’

Scritto da Pier Giuliano Cecchi

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