CANTI DI CASTELVECCHIO
Giovanni Pascoli
 
21. La capinera

Il tempo si cambia: stasera
vuol l'acqua venire a ruscelli.
L'annunzia la capinera
tra li àlbatri e li avornielli:
tac tac.
Non mettere, o bionda mammina,
ai bimbi i vestiti da fuori.
Restate, che l'acqua è vicina:
udite tra i pini e gli allori:
tac tac.
Anch'essa nel tiepido nido
s'alleva i suoi quattro piccini:
per questo ripete il suo grido,
guardando il suo nido di crini:
tac tac.
Già vede una nuvola a mare:
già, sotto le goccie dirotte,
vedrà tutto il bosco tremare,
covando tra il vento e la notte:
tac tac.



22. Foglie morte

Oh! che già il vento volta
e porta via le pioggie!
Dentro la quercia folta
ruma le foglie roggie
che si staccano, e fru...
partono; un branco ad ogni
soffio che l'avviluppi.
Par che la quercia sogni
ora, gemendo, i gruppi
del novembre che fu.
Volano come uccelli,
morte nel bel sereno:
picchiano nei ramelli
del roseo pesco, pieno
de' suoi cuccoli già.
E il roseo pesco oscilla
pieno di morte foglie:
quale s'appende e prilla,
quale da lui si toglie
con un sibilo, e va.
Ma quelle foglie morte
che il vento, come roccia,
spazza, non già di morte
parlano ai fiori in boccia,
ma sussurrano: - Orsù!
Dentro ogni cocco all'uscio
vedo dei gialli ugnoli:
tu che costì nel guscio
di più covar ti duoli,
che ti pèriti più?
Fuori le alucce pure,
tu che costì sei vivo!
Il vento ruglia... eppure
esso non è cattivo.
Ruglia, brontola: ma...
contende a noi! Ché tutto
vuol che sia mondo l'orto
pei nuovi fiori, e il brutto,
il secco, il vecchio, il morto,
vuol che netti di qua.
Noi c'indugiammo dove
nascemmo, un po', ma era
per ricoprir le nuove
gemme di primavera... -
Così dicono, e fru...
partono, ad un rabbuffo
più stridulo e più forte.
E tra un voletto e un tuffo
vanno le foglie morte,
e non tornano più.


23. Canzone di marzo

Che torbida notte di marzo!
Ma che mattinata tranquilla!
che cielo pulito! che sfarzo
di perle! Ogni stelo, una stilla
che ride: sorriso che brilla
su lunghe parole.
Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo
Guizzavano, udendo l'estate,
le verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le biscie acquaiole.
Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento;
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l'incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.
Nell'aride bresche anco l'api
si sono destate agli schiocchi.
La vite gemeva dai capi,
fremevano i gelsi nei nocchi.
Ai lampi sbattevano gli occhi
le prime viole.
Han fatto, venendo dal mare,
le rondini tristo viaggio.
Ma ora, vedendo tremare
sopr'ogni acquitrino il suo raggio,
cinguettano in loro linguaggio,
ch'è ciò che ci vuole.
Sì, ciò che ci vuole. Le loro
casine, qualcuna si sfalda,
qualcuna è già rotta. Lavoro
ci vuole, ed argilla più salda;
perché ci stia comoda e calda
la garrula prole.



24. Valentino

Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de' tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: in vece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; ché mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d'un mese
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l'uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch'oltre il beccare, il cantare, l'amare,
ci sia qualch'altra felicità


25. Il croco

I
O pallido croco,
nel vaso d'argilla,
ch'è bello, e non l'ami,
coi petali lilla
tu chiudi gli stami
di fuoco:
le miche di fuoco
coi lunghi tuoi petali
chiudi nel cuore
tu leso, o poeta
dei pascoli, fiore
di croco!
Voi l'acqua di polla
ravvivi, o viole,
non chi la sua zolla
rivuole!


II
Ma messo ad un riso
di luce e di cielo,
per subito inganno
ritorna il tuo stelo
colà donde l'hanno
diviso:
tu pallido, e fiso
nel raggio che accora,
nel raggio che piace,
dimentichi ch'ora
sei esule, lacero,
ucciso:
tu apri il tuo cuore,
ch'è chiuso, che duole,
ch'è rotto, che muore,
nel sole!


26. Fanciullo mendico

Ho nel cuore la mesta parola
d'un bimbo ch'all'uscio mi viene.
Una lagrima sparsi, una sola,
per tante sue povere pene;
e pur quella pensai che vanisse
negl'ispidi riccioli ignota:
egli alzò le pupille sue fisse,
sentendosi molle la gota.
E io, quasi chiedendo perdono,
gli tersi la stilla smarrita,
con un bacio, e ponevo il mio dono
tra quelle sue povere dita.
Ed allora ne intesi nel cuore
la voce che ancora vi sta:
Non li voglio: non voglio, signore,
che scemi le vostra pietà.
E quand'egli già fuor del cancello
riprese il solingo sentiero,
io sentii, che, il suo grave fardello,
godeva a portarselo intiero:
e chiamava sua madre, che sorta
pareva da nebbie lontane,
a vederlo; poi ch'erano, morta
lei, morta! ma lui senza pane.



27. La vite
Or che il cucco forse è vicino,
mentre i peschi mettono il fiore,
cammino, e mi pende all'uncino
la spada dell'agricoltore.
Il pennato porto, ché odo
già la prima voce del cucco...
cu... cu... io rispondo a suo modo:
mi dice ch'io cucchi, e sì, cucco.
Sì, ti cucco, vite, ché sento
già nel sole stridere l'api:
ti taglio ogni vecchio sarmento,
ti lascio tre occhi e due capi.
O che piangi, vite gentile,
perché al vento stai nuda nata?
Se anch'io tra i fioretti d'aprile
sembravo una vite tagliata!
Piangi quello che ti si toglie?
Ma ti cucco, taglio ed accollo,
perché, quando cadon le foglie,
tu abbia un tuo qualche grispollo!
O mia vite... no, o mia vita,
così torta meglio riscoppi!
E poi... com'è buono, alle dita,
l'odore di gemme di pioppi!
E parlare, ritto su loro,
col venuto di là dal mare,
chiedendogli, in mezzo al lavoro,
quant'anni si deve campare!


28. Il sonnellino
Guardai, di tra l'ombra, già nera,
del sonno, smarrendo qualcosa
lì dentro: nell'aria non era
che un cirro di rosa.
E il cirro dal limpido azzurro
splendeva sui grigi castelli,
levando per tutto un sussurro
d'uccelli;
che sopra le tegole rosse
del tetto e su l'acque del rio
cantavano, e non che non fosse
silenzio ed oblìo:
cantavano come non sanno
cantare che i sogni nel cuore,
che cantano forte e non fanno
rumore.

E io mi rivolsi nel blando
mio sonno, in un sonno di rosa,
cercando cercando cercando
quel vecchio qualcosa;
e forse lo vidi e lo presi,
guidato da un canto d'uccelli,
non so per che ignoti paesi
più belli...
che pure ravviso, e mi volgo,
più belli, a guardarli più buono...
Ma tutto mi toglie la folgore...
O subito tuono!
ch'hai fatto succedere a un'alba
piaciuta tra il sonno, passata
nel sonno, una stridula e scialba
giornata!



29. La bicicletta

I
Mi parve d'udir nella siepe
la sveglia d'un querulo implume.
Un attimo... Intesi lo strepere
cupo del fiume.
Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule mèssi.
Un battito... Vidi un filare
di neri cipressi.
Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.
Un palpito... M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin... dlin...

II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.
Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.
Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sé.
dlin... dlin...

III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!
Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo... Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va...
dlin... dlin...



30. Il ritorno delle bestie

Non sul pioppo picchia il pennato
più, né l'eco più gli risponde.
L'erta sale un uomo celato
dal carico folto di fronde.
E il martello d'un legnaiuolo,
più lontano, più non rimbomba.
Passa il grido d'un bimbo solo:
Turella! Bianchina! Colomba!
Porta in collo l'erba ch'ha fatta,
nella sua crinella di salcio.
Le sue bestie al greppo, alla fratta,
s'indugiano, al cesto ed al tralcio.
Ei che vede sopra ogni tetto
già la nuvola celestina,
le minaccia col suo falcetto:
Colomba! Turella! Bianchina!
C'è un falcetto lucido ancora
su la Pania, al fior del sereno,
dentro l'aria dolce ch'odora
d'un tiepido odore di fieno.
C'è silenzio lassù, dov'erra
quel falcetto con qualche stella.
Solo il bimbo strilla da terra:


 
 
 
 
 
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