The Maggio comes to Tiglio at l’agriturismo I Cerretelli. The Gorfigliano company performed the Pia e Nello della Pietra which was written in 1986 by Luigi Casotti, the son of the then capomaggio of the company, Gian Casotti.
The Maggio is a form of epic Italian folk theatre that involves ritual, music, dance, and dramatization. It is traditional to the Emilian-Tuscan Appenine area, and in mapping the areas in which it is performed, ethnomusicologist Tullia Magrini identifies three main regions of Maggio performance: (1) Emilia, around the cities of Modena and Reggio; (2) northwestern Tuscany and the cities of Pisa and Lucca; and (3) the northerly Garfagnana-Lunigiana areas. In her recent CD-ROM on the Maggio, Magrini calls the genre “the most important living tradition of musical theatre in Italy.”
Folklorist Paolo Toschi viewed this tradition as a form of spring ritual dramatizing the agon between the forces of good and evil, between life and death, between summer and winter. In the Maggio, this struggle traditionally is manifested in the battles between Christian heroes and pagan foes, largely through plots and characters derived from the Charlemagne epic cycle. In this regard, it follows the Italian literary tradition derived specifically from I reali di Francia by Andrea da Barberino, which is based on the classics by Boiardo, Ariosto, and Tasso. Maggio history, indeed, demonstrates how deeply the Orlando Furioso by Ludovico Ariosto and the Gerusalemme Liberata by Torquato Tasso penetrated into mountain culture by means of popular editions sold at markets and fairs. Many features of this theatre tradition continue to mark it as essentially medieval. – source
In the nearly seven hundred years since Dante’s Purgatorio first appeared, the story of “La Pia” (Purgatorio V, 130-136), a Sienese woman who died under mysterious circumstances in the Maremma region, has generated much speculation as to her identity and the possible reasons for Dante’s having situated this courteous but cryptic soul amongst the negligenti of antePurgatorio. These seven scant lines, placed at the very end of Canto V of Purgatorio, continue to give rise not only to a plethora of commentaries but also to a significant body of creative works that have expanded, elaborated and explored the fragmentary history of Pia.
DANTE ALIGHIERI (Purgatorio, Canto V, vv. 130-136)
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma».
La Pia is known to Maggio audiences, as indeed she was to Dante scholars until the end of the nineteenth century, by the name of “Pia de’ Tolomei,” and her story unfolds over the course of about three hours.
How have seven lines from Dante managed to expand to fill three hours of Maggio performance? The story is a long but fascinating one.
The appearance of La Pia in the literary annals was in an influential commentary by Ugo Foscolo, first published in the Edinburgh Review (translated from the French by James Mackintosh) in February 1818, – Nello della Pietra had espoused a lady of noble family at Siena, named Madonna Pia. Her beauty was the admiration of Tuscany, and excited in the heart of her husband a jealousy, which, exasperated by false reports and groundless suspicions, at length drove him to the desperate resolution of Othello. It is difficult to decide whether the lady was quite innocent; but so Dante represents her.
Her husband brought her into the Maremma, which then as now, was a district destructive to health. He never told his unfortunate wife the reason of her banishment to so dangerous a country. He did not deign to utter complaint or accusation. He lived with her alone, in cold silence, without answering her question, or listening to her remonstrances. He patiently waited till the pestilential air should destroy the health of this young lady. In a few months she died. Some chroniclers, indeed, tell us, that Nello used the dagger to hasten her death. It is certain that he survived her, plunged in sadness and perpetual silence. Dante had, in this incident, all the materials of an ample and very poetical narrative. But he bestows on it only four verses.
httpv://www.youtube.com/watch?v=jljeqaOoxOg
Maggio scripts typically enact stories of chivalrous romances, classical legends or sentimental lives of the saints. The stories, often taken from literary antecedents, were adapted by contemporary authors (most of whom were still active), to fit the performance conventions of the Maggio, whose standard metre is the four- or five-line eight-syllable stanza, sung with the accompaniment of violin or piano accordion to a conventional melody, the aria del maggio. Two special metres, the arietta (four seven-syllable lines) and the classic ottava (eight eleven-syllable lines), mark moments of particular pathos or narrative intensity.
Stylised sword fighting, performed in the Garfagnana with miniature wooden swords and shields, is an integral part of any Maggio script, and reminds one of the moresca and other popular depictions of the battles of Moors and Christians with which the genre certainly shares antecedents, and which related to pre-Christian Mayday rituals symbolising the victory of the new growing season over the old.
(fonte Centro Tradizioni Popolari)
La Compagnia Maggianti di Gorfigliano, è una delle più antiche compagnie in attività ancora presenti in Garfagnana. Si caratterizza per l’unicità dei testi proposti, scritti spesso da Luigi Casotti detto il Luigi dal Bozzo di Gorfigliano (autore anche di molti maggi per bambini), che permettono di poter rappresentare il Canto del Maggio tutto l’anno. Anche il maggio proposto a Tiglio è suo.
Durante la Pasqua viene rappresentata La Passione di Cristo , nel periodo natalizio il maggio La Natività e la Strage degli Innocenti .
Nel periodo estivo i maggianti di Gorfigliano partecipano alla Rassegna Nazionale di Teatro Popolare evento promosso dal Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca.
nel corso della XXVIII rassegna è stata proposta la rappresentazione per la prima volta dei Promessi Sposi .
Nel corso degli anni sono stati rappresentati: La Guerra di Troia, Edipo Re, La Sacra Rappresentazione della Natività e della Strage degli Innocenti, Il Conte Biancamano, La Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo, Marco Visconti, L’arme e gli amori, Genoveffa di Bramante, I Paladini di Francia, La Pia de’ Tolomei, , Costantino, Eronte, Turmes l’Etrusco, Pia e Nello della Pietra, Costanza di Castiglia, Il Templare di Venezia, Rinaldo Appassionato .
Componenti della compagnia: Giuseppe Brugiati, Andrea Bertei, Cristina Bertei, Salvatore Cabonargi, Luigi Coletti, Adriano Canini, Ottavio Casotti, Maura Furia, Mariano Giannetti, Gianfranco Menchi, Ferdinando Mori, Alda Nobili, Eugenio Paladini.
Giuseppe Rossi – violinista; Roberto Cabornargi – fisarmonica; Erminio Monelli – campione (suggeritore), Ivano Casotti – campione (suggeritore)
Per eventuali contatti: Giuseppe Brugiati
Tel 0583.299670
0583.610323
maggianti.gorfigliano@virgilio.it
Il maggio drammatico
Il maggio è un lungo spettacolo in versi, interamente cantato e per lo più accompagnato da strumenti musicali: un tempo questi erano esclusivamente il violino e il violone (una sorta di violoncello), mentre oggi accanto al violino, o in sostituzione di esso, divenuto ormai assai raro nel mondo popolare, troviamo sempre più spesso la fisarmonica e la chitarra.
Lo spettacolo conserva tracce di antichi rituali agrari che celebravano il ritorno della primavera con canti e danze di tema agonistico e guerresco. Le testimonianze del maggio in forme pienamente drammatiche sono piuttosto recenti: allo stato attuale della ricerca non si va oltre i primissimi anni del XVIII secolo.
I più antichi copioni tuttavia, e le più antiche notizie che abbiamo sull’argomento, testimoniano uno spettacolo relativamente breve, tanto da poter essere rappresentato più volte in uno stesso giorno, e tutto impostato sul motivo guerresco della lotta fra due popoli o due regni, sempre fra loro contrapposti nella personificazione del Bene e del Male, con l’immancabile vittoria dei buoni e il conseguente annientamento dei malvagi.
Il testo, sempre in versi, viene ovunque interamente cantato ed è un dramma pieno di avvenimenti da tragedia, ma per lo più con un finale lieto. Le trame possono essere le più varie, anche se la vicenda ruota di norma intorno a imprese guerresche che vedono contrapposti due eserciti rivali. Uno dei due eserciti è cristiano o comunque costituito da guerrieri coraggiosi e leali, destinati alla vittoria finale; l’altra invece è costituito da “infedeli” malvagi (mussulmani o genericamente pagani) che si comportano slealmente e che saranno annientati o, nel migliore dei casi, costretti ad una conversione di massa.
All’interno di una trama generica come quella appena ricordata, vengono però inseriti disparati motivi. Qualsiasi vicenda infatti può diventare motivo di un maggio, e le fonti da cui si attinge sono le più varie: dalla Bibbia ai poemi omerici, dalla tragedia greca al teatro di Shakespeare e di Metastasio, dai grandi poemi epici del rinascimento (l’Orlando furioso e la Gerusalemme liberata sono fonte di decine di copioni) alle vite dei santi, dalle storie di eroine popolari come Pia de’ Tolomei e Genoveffa di Brabante alle trame degli sceneggiati televisivi, fino ad eventi storici contemporanei, come la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza o il Caso Moro.
Il metro di composizione è dovunque la quartina di ottonari a rima incrociata (ABBA), ma la melodia su cui si canta varia da una compagnia all’altra, anche se sono assai simili fra loro quelle di Buti e di Pieve di Compito e quelle di Partigliano e del vicino Valdottavo. Metri secondari possono comparire qua e là nel testo: sono le ariette (quartine di settenari con l’ultimo ossitono: ABBX, talvolta quintina con il primo verso sciolto) che vengono cantate nei momenti di particolare intensità drammatica
La Moresca
In area garfagnina e alto versiliese, ancora alla metà del Novecento, la rappresentazione del Maggio si concludeva con la Moresca. “Regina delle danze armate in Italia”, come la definisce Bianca Maria Galanti, è generalmente fatta risalire, nella sua forma di combattimento fra Mori e Cristiani, al IX secolo ed è diffusa in una vasta area europea che va dalla Spagna all’Inghilterra. La si conosce come danza a solo e come danza a gruppi, ma comunemente con Moresca si è soliti designare un’azione collettiva in cui i danzatori si dispongono frontalmente e dove non sempre è presente la contrapposizione religiosa. Secondo Paolo Toschi, in territorio italiano essa non sarebbe attestata prima della metà del XV secolo; fa fede a tal proposito l’essere ricordata, per ben due volte, nel Morgante del Pulci la cui composizione avvenne fra il 1460 e il 1470. Tra i protagonisti di questa danza armata vi erano figure di buffoni e demoni che, ornati di sonagli e armati di spade o di bastoni (nonché di ancor più espliciti simboli fallici), eseguivano movimenti acrobatici. La disposizione in cerchio,il buffone spesso vestito da donna al centro a comandarne le figure,la presenza del mondo infero, sono tutti elementi condivisi dalle manifestazioni rituali legate alla fertilità della terra. Ed è nella moresca inglese, la Morris Dance (da cui per alcuni studiosi più opportunamente deriverebbe il termine Moresca), che tutto ciò acquista carattere di maggior evidenza, dato che il tema della lotta fra turchi e cristiani rimane sostanzialmente estraneo alla cultura locale. Il motivo agonistico, con ogni probabilità legato ad antichi culti agrari e la successiva storicizzazione, connessa con il periodo della dominazione araba dell’Europa meridionale, sono gli elementi che ancora oggi possiamo rintracciare nell’azione coreutica che dalla città e dalle corti si è trasferita e sopravvive ormai soltanto nel mondo popolare. La Moresca ha resistito fino agli anni Ottanta come appendice alla rappresentazione del Maggio in due località della Provincia di Lucca: Vagli Sopra e Vàllico di Sopra, dove viene utilizzata dagli attori, nell’occasione anche ballerini, per incentivare la questua. Negli spettacoli delle due compagnie garfagnine, i partecipanti si dispongono in cerchio ed eseguono, con le spade, alcune figure che vengono comandate da uno dei maggianti che occupa il centro del cerchio stesso, la melodia è eseguita dal violino. In un opuscolo curato da Gastone Venturelli (1980) è riportato il breve testo che accompagna la Moresca della Compagnia di Vagli Sopra. Prima di eseguirla, infatti, tre maggianti a turno lanciano, cantando, inviti al pubblico affinché si mostri generoso. Primo cantore Donne deh non vi rincresca Un cinquin per la moresca Secondo cantore Che nessuno abbia da dire Date pure dieci lire Terzo cantore Se qualcun non è contento Ne può dare fino a cento Le figure della moresca vaglina sono: Moresca: le spade si incrociano cozzando Puntata: ogni danzatore punta la spada, impugnata con entrambe le mani,contro colui o colei che ha a fianco. A terra: la spada viene battuta di punta,con una certa violenza,contro il terreno In alto: è il movimento simmetrico e contrario a quello precedente, conla punta della spada rivolta all’insù Strusciata: la spada,leggermente inclinata su un lato,viene letteralmente sul terreno,avendo cura di farne sentire il rumore provocato Parata: la spada batte contro la mano aperta del danzatore che si ha a fianco.
La rappresentazione
Il luogo scenico è di norma un prato ombroso o una radura nei castagneti vicini al paese, ma può essere anche una piazza all’interno del paese stesso, una grande aia contadina e anche, in mancanza di un luogo più idoneo, una pista da ballo, pur che sia all’aperto e consenta al pubblico di sistemarsi tutto intorno allo spazio scenico. Pochi arredi sulla scena, ma sempre indispensabili due tavoli con alcune sedie che vengono sistemati all’interno del circolo e che rappresentano le due corti rivali: quella dei cristiani e quella dei perfidi infedeli. Assai spesso si ha anche una sorta di piccolo capanno conico, improvvisato con rami fronzuti di castagno, che può voler significare ambienti diversi a seconda delle esigenze del copione: può infatti significare la prigione, oppure la capanna di un pastore, ma anche una caverna o un ricovero selvaggio dentro il bosco. Raramente si hanno altri arredi, che sono sempre comunque simbolici e provvisori. Nello spazio scenico gli attori cantori (che in Garfagnana e in Lunigiana vengono detti maggianti e in Emilia maggiarini) arrivano in processione dal vicino paese. Ognuno indossa il proprio variopinto costume e prende posto all’interno del corteo processionale secondo rigide regole gerarchiche. Ad aprire la processione è il Paggio per lo più un adolescente (maschio o femmina ai nostri giorni poco importa, ma in passato sempre rigorosamente un fanciullo) che indossa una corta tunica, ha una corona di fiori sul capo e spesso un ramoscello o un mazzo di fiori in mano. A fianco del Paggio procede, sempre suonando un’ apposita marcetta, il violinista, accompagnato dagli altri eventuali suonatori di chitarra e di fisarmonica. Seguono i personaggi della corte cristiana in ordine gerarchico: prima il Re e la Regina, poi i principi e i dignitari, quindi i semplici guerrieri e i personaggi che non fanno parte del mondo eroico vale a dire il pastore, l’eremita, il mercante. Finiti i cristiani, seguono gli infedeli, anch’essi rispettando il medesimo ordine gerarchico. Un solo personaggio, il Buffone, può procedere senza alcuna regola: può passare dal gruppo dei buoni a quello dei malvagi, può uscire dalla processione per far capriole sul prato o salire su di un albero, può permettersi di disturbare gli attori e soprattutto di tormentare il diavolo, quando il copione ne prevede la presenza. Arrivati sul luogo scenico, i maggianti percorrono lo spazio circolare intorno al quale si è sistemato il pubblico; sono le tonde: tre giri consecutivi all’ esterno dello spazio destinato all’azione drammatica. In questo modo il pubblico viene allontanato e si fissa il confine della scena. Compiute le tonde al passo di una marcia cadenzata e con tutte le spade sguainate, gli attori ripongono le spade nei foderi e si dirigono ai loro posti, cioè sulle sedie sistemate intorno ai due tavoli di cui si è detto: da una parte i cristiani e dall’altra gli infedeli. A questo punto il Paggio si porta al centro della scena e comincia a cantare. La prima stanza è abitualmente una lode alla primavera in genere o al mese di maggio e al risveglio della natura; ne seguono alcune altre dove viene sinteticamente riassunta la vicenda epica che verrà rappresentata.
Preparazione dello spettacolo
La preparazione del Maggio richiede un notevole impegno e quasi sempre alcuni mesi di prove. Costituita la compagnia, si procede alla scelta del testo da rappresentare, spesso su proposta del capomaggio. Il capomaggio è un regista sui generis, quasi sempre un anziano con esperienza da maggiante e comunque una persona che la compagnia giudica esperta e a cui riconosce doti organizzative.Egli non soltanto si occupa della preparazione dello spettacolo come un normale regista, ma è anche una sorta di impresario che decide come e dove lo spettacolo debbaessere rappresentato, quali richieste accettare e a quali condizioni. Talvolta è anche il suggeritore della compagnia, figura indispensabile senza cui è inconcepibile cantare un Maggio.Egli è sempre in scena, con il copione in mano segue passo passo ciascun maggiante, suggerisce i versi che dovrà cantare e dà indicazione sugli spostamenti da fare sulla scena. Scelta l’opera da rappresentare, si passa all’assegnazione dei ruoli, tenendo in considerazione l’età, le capacità espressive, le doti canore. Un tempo i ruoli femminili erano interpretati da attori maschi, oggi non è più così. I ruoli considerati secondari, quelli cioè dei non eroi -eremita, pastore, frate, mercante-, sono generalmente affidati a maggianti anziani anche bravissimi nel canto e nella gestualità, che però non reggerebbero, per potenza di voce e per abilità fisica, i faticosi ruoli dei guerrieri continuamente impegnati nelle battaglie. Ci sono poi altri ruoli,come quelli del diavolo, della belva, del Buffone che vengono sempre impersonati, anno dopo anno, dagli stessi attori, veri specialisti riconosciuti come tali dall’intera compagnia.
I costumi
I costumi dei maggianti sono per la maggior parte di foggia guerresca: quasi tutti i personaggi infatti sono impegnati in duelli e in battaglie, compresi i re e talora anche le regine e le principesse. Ciascuna compagnia possiede tutti i costumi necessari per la rappresentazione e sono sempre gli stessi, quale sia l’epoca e l’ambientazione dei fatti rappresentati. Antichi ed ereditati dagli avi, o recenti e preparati dalle madri e dalle mogli sul modello di quelli, sono sempre ricchi di colori, di lustrini, di decorazioni. Si tratta di veri e propri costumi di base folclorica, senza alcun riferimento ad un’epoca storica precisa. L’abbigliamento tipico maschile del maggiante garfagnino consiste di un manto ampio, talora lungo fino alle caviglie, di un corpetto adorno di nastri variopinti e di lustrini, di un paio di pantaloni (che possono essere lunghi, o arrivare ai polpacci), e di un gonnellino corto che viene indossato sopra i pantaloni. Il corpetto è talora sostituito da una sorta di corazza luccicante e di tessere di latta. I colori dei costumi maschili sono sempre vivacissimi e presso alcune compagnie conservano un certo valore simbolico: l’azzurro, il verde e il bianco sono i colori dei buoni, mentre giallo, nero e rosso connotano i malvagi. Il costume femminile , quando non si tratta di donne guerriere – in quel caso il loro abito è del tutto uguale a quello degli uomini – è sempre un abito lungo, per lo più in tinta unita e sul modello di un abito da sera di foggia ottocentesca. Quasi sconosciuto è il trucco, solo quando indispensabile si ricorre a qualche barba finta applicata in modo visibilmente posticcio. Quasi mai, invece, si adoperano espedienti per invecchiare o ringiovanire gli attori, anche quando hanno età inconciliabili con quella del personaggio che interpretano. Re e Regine portano in capo la corona e i simboli della croce e della mezzaluna, a seconda se cristiani o saraceni. I guerrieri cristiani hanno in capo elmi di legno o di latta, dipinti e riccamente adornati di nastri, nappe e piume variopinte. Gli altri guerrieri portano quasi sempre una sorta di turbante alla turca. Tutti combattono con corte spade di legno dalla punta tinta di rosso e con piccoli scudi, sempre di legno, a forma di rombo o di cuore. Mercanti, eremiti, pastori e altri personaggi non nobili e non guerrieri, vestono panni quotidiani, meglio se un po’ antiquati. I bambini invece possono indossare un costume del tutto analogo a quello degli adulti o portare normali abiti quotidiani senza alcun segno che li connoti. L’abbigliamento di angeli e diavoli è ispirato all’iconografia cristiana dei santini e delle pale d’altare. Singolare invece è il costume del Buffone, che varia da una compagni all’altra, ma che spesso altro non è che un costume da guerriero reso ridicolo da toppe, rammendi e dall’aggiunta di decorazioni inconsuete e grottesche. Il Buffone – che non ha nel maggio una parte codificata e che è l’unico a potersi esprimere anche senza il canto – ha la funzione di commentare le imprese guerresche degli eroi ridicolizzandole. Ma la sua presenza diventa preziosa nel caso che qualche piccolo incidente pregiudichi il normale scorrere dello spettacolo: in quel caso il Buffone interviene si impegna a distrarre il pubblico con salti, piroette e magari con battute argute e scurrili.