Guido (Luca Marinelli), portiere di notte, e Antonia (Federica Victoria Caiozzo), impiegata di autonoleggio, stanno insieme da sei anni in un piccolo appartamento di Acilia, estrema periferia romana. Nonostante la macroscopica differenza (Guido, proveniente da una famiglia colta e alto borghese toscana, è un raffinato e gentile latinista, massimo esperto in martirologia proto cristiana che ha rinunciato alla carriera universitaria per essere libero, col suo mestiere, di leggere e pensare senza preoccupazione alcuna; Antonia, cantautrice di belle speranze mai concretizzatesi, ha rotto i ponti con la famiglia in Sicilia, condotto una vita randagia da pseudo punk e ostenta orgogliosamente la propria ignoranza e la propria irrequietezza), i due si amano tantissimo, esprimendo questo sentimento nei piccoli gesti e nella quotidianità, anche se, dati i rispettivi lavori, l’unico momento di “tutti i santi giorni” in cui possono incontrarsi è la mattina presto, quando lui le porta la colazione a letto con la spiegazione del santo del giorno, e subito dopo fanno l’amore. A interrompere, o meglio stravolgere questo idillio, è la scelta di avere un figlio. La strada si mostra subito in salita, tra esami, ormoni e fecondazione assistita. Messa sotto pressione da una situazione ormai non più gestibile (e dopo l’incontro con un ex fidanzato dalla reputazione dubbia), Antonia crolla e decide di sparire dalla vita di Guido, dandosi per irrintracciabile. È allora che Guido capisce di amarla così tanto da dover mettere da parte la propria pacatezza per riaverla con sé a tutti i costi.
Virzì, assieme all’abituale compagno di sceneggiatura Francesco Bruni, ha tratto il suo ultimo lavoro da un libro, “La generazione” di Simone Lenzi. Non si tratta affatto, a discapito del titolo letterario, di un qualche manifesto sulla generazione dei trentenni con annessi problemi (anche se non mancano gli accenni al lavoro, all’affitto, alle vacanze mai fatte…). Il film di Virzì è molto di più: è una storia d’amore come rarissimamente se ne vedono sugli schermi. Ci sono lui e lei, diversissimi: lui è gentile, timido, insicuro, placidamente contento di un’esistenza che gli permette di coltivare i suoi amati studi senza doversene rovinare il gusto con la competitività accademica; lei è aggressiva, un po’ superba, eternamente insoddisfatta; ma entrambi riescono a ripararsi felici in quell’amore intenso che hanno coltivato per sei anni, senza spettacolarizzazioni, senza eccessi, nutrito solo dal reciproco sostegno e affetto quotidiano. Un amore che risalta ancor di più nella brutta periferia del raccordo anulare (Virzì è famoso per prediligere nello svolgimento delle proprie storie i “non luoghi” che potrebbero accomunarsi in tutta la penisola); non solo brutta ma anche cafona e violenta (si pensi alle vicende dei vicini di casa, tipico sottoprodotto della cultura contemporanea, dove, per di più, lui picchia la moglie incinta). A dare voce e corpo agli innamorati sono due interpreti straordinari, Luca Marinelli (già visto nella Solitudine dei numeri primi) nei panni dello stralunato Guido, e l’esordiente Federica Victoria Caiozzo, in arte Thony, che nella vita è realmente cantautrice ricercata (a sua firma la colonna sonora); riescono a farlo costruendo i personaggi a partire dalle piccole, sfumate caratteristiche quotidiane che costruiscono l’identità personale: la gestualità (minima quella di lui, esagerata – in senso positivo – quella di lei), dal tono di voce (basso e profondo quello di lui, alto e sguaiato lei), dall’abbigliamento (scuro e da “sfigato” per lui, squillante e a tratti cafone lei); nella direzione degli attori Virzì si dimostra infatti anche stavolta un maestro.
Su questo sfondo si innesta il desiderio di un figlio, fortissimo in Antonia; tuttavia le diverse strade provate (il professore bigotta, la ginecologa progressista, la fecondazione assistita) non vanno a toccare i grandi dibattiti sviluppatisi negli ultimi anni in merito, ma sono solo occasione per lo spettatore di gettare uno sguardo in più sul rapporto tra i due protagonisti, conoscerne la storia, apprezzarne ed invidiarne l’amore. Il tutto fatto in punta di piedi; il regista non fa pesare minimamente la propria presenza, donando quasi l’impressione di trovarci davanti a qualcosa di reale, di concreto. Il grande merito di Virzì infatti, non solo in questa pellicola ma in buona parte della sua filmografia, è di ricordarci che la vita offre a ciascuno di noi così tante gioie e bellezze e dolori che da soli bastano a renderla meritevole di essere vissuta. Nessuno, ricorda Virzì, potrà rubarci le nostre emozioni e i nostri ricordi finché avremo l’intelligenza di tenerli nel cuore. Una piccola pillola di ottimismo che dà forza alle nostre giornate.