Giro di Cipro – 2° Commedia turco-cipriota (parte 2)
Gli sfigati di Karpass
Il giorno seguente inizia in maniera strana. Per mezz’ora fuori piove a dirotto, nessuno aveva mai visto questo in agosto a Cipro. Potrebbe essere un segnale. Infatti, nuova foratura. Stavolta la bici di Oriano è a terra. Tutto pare essere sempre più grottesco. Proviamo a ripararla con le toppe che abbiamo acquistato ma la colla non è buona. Siamo in difficoltà, non sappiamo più cosa fare. Per la bici di Oriano pare non esserci soluzione. Rischiamo veramente di rimanere a piedi in questa specie di oasi desertica.
Decido di andare a Dipkarpaz, come quelle vedette in avanscoperta, solo più puzzolente e barbone. Monto in sella alla mia bici, per oggi incredibilmente ancora senza guai, lego 4 camere d’aria da riparare sul portapacchi e mi dirigo da solo verso la temibile salita che ci divide con la civiltà. Sono solo 5 km, che comunque non dureranno all’infinito, ma possono essere lunghissimi. Intanto la strada sale, tolto il primo tornante iniziale, è completamente dritta. Sono le 10e30 di mattina e il caldo è già notevole. La supero con la massima discrezione, affinché il nemico non mi scopra. Mi inoltro nel paesino, che dovrebbe aiutarmi, senza dare nell’occhio.
Sulla via che conduce al mercato principale c’è un piccolo market, non mi fermo, pensando che non hanno niente. Sbagliato. Ci arriverò più tardi. In ordine, perdo più di un’ora fra:
- Cambio soldi ad un market e chiedo informazioni per un garage-officina
- Al garage-officina non sanno come aiutarmi, mi indirizzano ad una pompa di benzina
- Alla pompa di benzina il gestore non ha nulla, però mi offre una bottiglietta d’acqua in un bar vicino, poi mi caga lì per andare a salutare certi suoi amici. Aspetto 2 minuti, saluto tutti e me ne vado
- Vado in un secondo mercato a cercare toppe e colla. Prendo due tipi di colla inutile e chiedo a un ragazzo se ha delle toppe. Lui mi lascia un foglietto scritto in turco, dicendo che con quello devo andare da suo padre, che ha un mercato più avanti sulla stessa strada.
- Vado e mi perdo, regolare. Chiedo ad un ragazzo. Non parla. Non parla, non nel senso che non parla inglese, ma non parla proprio. Chiedo ad un signore anziano e non ne sa nulla. Alla fine lo trovo, era lì accanto.
- Il signore che dovrebbe essere il padre del ragazzo di prima legge il foglietto e tira fuori delle strane cose mai viste prima che, a sentir lui, vanno scaldate e poi applicate alla camera d’aria. Sicuramente è inutile, ma ne compro tre. Compro anche tutti i vari tipi di colla del market, anche la super colla attacca anche asini (l’etichetta dice così).
Nota pensosa, mentre metto la roba nel sacchetto: siamo veramente nella merda, così non potrò mai salvare la squadra e concludere il giro dell’isola. E’ un momento molto triste.
- Disperato entro in un terzo mercato aggirandomi con una faccia molto ebete e gocciolante di sudore. Non c’è niente neanche qui.
Nota: siamo finiti in un brullo nulla di nulla. Penso che forse potremmo risolvere i nostri guai anche con quello che ho trovato, anche con i 15 tipi di colla diversa acquistati, ma sicuramente neanche uno adatto per la gomma. Sì dai ce la potremmo fare, ma sono solo scuse. Devo ripresentarmi in albergo al mio capitano con qualcosa di più.
- Altro mercato, lungo la via del ritorno. Nulla. E’ finita, penso.
- Provo all’ultimo mercato sulla strada. Quello che avevo scartato all’inizio. Una ragazza alla cassa, senza crederci troppo, mi dice turn left e troverai un garage.
Nota: non ci credo nemmeno io per la verità.
- Quindi turn left e vado al garage.
Turn left ma del garage neanche l’ombra. C’è solo un campo di terra nera, con pozze d’olio e benzina qua e là; una Mercedes scassata; una Nissan nello stesso stato; un surrogato koreano di una jeep americana; motori interi sparsi qua e là come funghi; pezzi unti d’ogni tipo; gomme; una vecchia poltrona, sotto un alberello che stenta a fare ombra, che dovrebbe fungere da ufficio; una baracca dove un ragazzo in pantaloni lunghi e ciabatte tira dentro dei pezzi usati. Ecco il garage, all’aperto. Un tipo basso e tutto sporco di grasso è intorno al motore di un vecchio Land Rover, mi vede e mi chiede di cosa ho bisogno. Gli faccio vedere le camere d’aria e subito capisce. Si attacca al telefonino e chiama chissà chi. Inizia a parlare, poi me lo passa, capisco solo che fra 15-20 minuti sarà lì col suo furgone. Wooow. Non ci credo ancora un altro salvataggio a domicilio alla scadere fra lo stato di disperazione a quello di angoscia pura. Nel frattempo aspetto e non capisco nulla, con il meccanico che continua a parlarmi in turco, l’unica lingua che sa.
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Bighellono per il garage a cielo aperto e pare di camminare su un tappeto di gomma. La terra di questo piazzale deve essere pregna d’ogni cosa. Poi il signore basso e lercio di grasso, che deve essere il boss, di questo posto, mi sposta la bici che avevo lasciato dietro il suo furgone. A gesti mi fa segno di montare. Perché? Non arriva qui il gommista? Non faccio in tempo a rispondermi che mi trovo seduto accanto a lui sul furgone che facciamo il giro di Dipkarpaz come due vecchi amici. Andiamo a ritirare un pezzo in un magazzino di ricambi, spiegando a tutti che io sono un suo amico italiano. Poi ci fermiamo per un caffè, turco ovviamente.
Al bar, nel centro del paesino, che non è altro che uno stanzone con sedie e tavoli e un piccolo fornello per fare i caffè. Nel frattempo ci raggiunge il gommista, caffè anche per lui, e via di nuovo verso il garage a cielo aperto.
Mi faccio cambiare tutte le toppe e lui che costantemente mi dice who? who? A sottolineare il lavoro di merda fatto con le toppe precedenti da noialtri con colle di infima qualità. Faccio il vago, sarebbe troppo lunga da spiegargliela. Rattoppa tutto e compro anche delle toppe, e poi il super regalo, quello con cui mi posso presentare a braccia alzate dal mio capitano in albergo. Un maxi-barattolo di colla giapponese Maruni ideale per le toppe di camera d’aria. Per tutto il viaggio verrà trattato come una reliquia, riposto in una speciale teca, e sarà oggetto di preghiera sia la mattina alla partenza che alla sera all’arrivo.
Pago e riparto. Saluto il ragazzo e il signore basso e nero, che ora si trova a sedere sul cofano della vecchia Land Rover con i piedi dentro il motore. Mi da la mano ma non stringe, è veramente lercia.
Lanciato a tutta velocità lungo la discesa, le camere d’aria piene di toppe legate sul portapacchi si stanno infilando nella ruota, meglio non rischiare. Smonto tutto e me le metto a tracolla, che neanche Bartali ne ha avute tante al collo. Dentro la maglietta 85 tipi diversi di colla per lo più inutili, più lui, il barattolone Maruni con tanto di pennello per spalmare. Fantastico!
Arrivo in albergo che sono circa le due del pomeriggio, dopo circa 3 o 4 ore di assenza. Mollo la bici e salgo le scale quattro a quattro. Busso, il capitano apre la porta e mi vede avvolto da tutte le camere d’aria. E’ felice. Tiro fuori da dietro la schiena il maxi-barattolo Maruni. C’è commozione. Faccio vedere il dettaglio del tappo che si svita e ne esce un pennello. Una lacrima scende ad entrambi. La squadra è salva.
Mentre ci prepariamo racconto per intero questo secondo episodio della commedia turco-cipriota, e penso che sempre nei momenti difficili conosciamo persone gentili e interessanti. Ma come mai?
Poi carichi ripartiamo lungo le strade della penisola di Karpass, per arrivare a Golden Beach, dove ci sistemeremo in un campeggio e finalmente ce la godremo per qualche giorno di riposo fra dune e mare, in attesa del tappone che ci porterà alla capitale, Nicosia.
Però non è finita. Lungo la strada in lontananza intravediamo un furgone bianco, accanto ad un trattore fermo. Sembra quello dell’uomo nero del garage. Non sembra, è lui. Sono tutti d’intorno al motore, anche il giovane aiutante. Eheheheh!!, salutiamo passando. Dopo alcuni chilometri quando mi fermo a bordo strada a fare una foto a degli asinelli, sento in lontananza un rombo, non faccio in tempo a girarmi che mi supera a tutta velocità il trattore. E’ un buon meccanico il nostro uomo.