Era quasi l’alba di quel maledetto 9 novembre 1971. Un alba livida e maledetta. Il freddo dell’inverno che stava arrivando era pungente. Nel cielo il nero della notte si stava stemperando nel viola del primo mattino. E proprio lì, in cielo, passò, massiccia e compatta, una formazione di aerei da trasporto C-130 dell’Aeronautica militare britannica. A bordo decine di Paracadutisti appena ventenni della brigata Folgore che, partiti da Pisa, erano diretti in Sardegna- zona di lancio di Villa Cidro- per l’esercitazione denominata “Cold Stream” (corrente fredda). Su ogni aereo(che volava a bassa quota per non essere intercettati dai radar), sulla fiancata, un grande numero di gesso, come distinzione e riconoscimento.
Uno di essi, il Gesso 4, non arrivò mai a destinazione: le secche della Meloria lo inghiottirono.
Un fatto tragico che sembra quasi irreale : un aereo pieno di giovani con una vita d’avanti spariti così come per un arcano e macabro destino. Morirono così tutti e 46 i paracadutisti in servizio di leva effettivi alla 6^ compagnia Grifi, oltre ai sei avviatori britannici che si occuparono del trasporto. Morirono inasandosi nella costa livornese della Meloria.
Tra loro un giovane paracadutista Daniele Matelli di Oneta, un paesino arrampicato sulle montagne sopra Borgo a Mozzano. A lui è dedicato il grande cedro piantato cinque anni fa. La pianta l’anno scorso si era ammalato ed è stato poi rimosso.
Ogni anno i paracadutisti dell’Anpdi si recano nel suo paese natale a trovare i familiari e portare fiori oltre che a ricordare tutti gli altri caduti nei pressi della Meloria. Un appuntamento sacro. La cerimonia semplice e sentita si è ripetuta a anche quest’anno, particolare per la Folgore in cui ricorrono i settant’anni della battaglia di El Alamein evento storico che sta alla base del mito della Brigata Paracadutisti “Folgore”. Un fatto storico che è diventato leggenda. Una battaglia persa che è divenuta mito. Simbolo di onore e coraggio parole- per molti- desuete di questi tempi. Impronunciabili sino a qualche anno fa pena l’essere etichettati come “fascistoidi”.
Ma laggiù, nella sperduta città del governatorato di Matruh, affacciata sul mare tra Il Cairo e Alessandria d’Egitto si tenne una della pagine più epiche e gloriose del nostro esercito.
In realtà la battaglia non fu una ma bene due: la prima dal primo luglio al 27 luglio 1942, la seconda dal 23 ottobre al 4 novembre 1942.
La battaglia finale (che provocò la morte di 13mila 500 inglesi, 17mila italiani, 9mila tedeschi) nel deserto egiziano, fu una delle più decisive della seconda guerra mondiale: fermò l’avanzata dell’Asse scrivendo la parola fine alla minaccia italo-tedesca sul canale di Suez, consegnando il dominio assoluto del Mediterraneo agli inglesi. Cancellò dallo scacchiere un intero fronte, in prospettiva aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia destinato a riportare gli alleati in Europa ed avviare la, tanto agognata, Liberazione.
I fatti: nel luglio del 1942 l’Armata corazzata italo-tedesca comandata del feldmaresciallo Erwin Rommel dopo la grande vittoria di Gazala e aver costretto la guarnigione di Tobruk (forte di 33mila uomini) alla capitolazione, riuscì ad addentrarsi in Egitto, con l’obiettivo di troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del canale di Suez, occupando i campi petroliferi del Medio Oriente.
Gli inglesi, però, disponevano di una netta superiorità aerea, di nuovi cannoni anticarro e dei nuovi carri armati Sherman, infatti, la sera del 23 ottobre, nel silenzio della luna piena, quasi mille pezzi di artiglieria britannici spararono contemporaneamente per circa venti minuti. Alla fine del 24 l’offensiva aveva aperto profonde sacche nello schieramento italo-tedesco, ma non era riuscita ad aprire una vera breccia tra gli uomini del mitico comandante Rommel, soprannominato, “Volpe del Deserto” che però, non c’era! Era stato, infatti, ricoverato, alla fine di settembre in ospedale in Germania e sostituito dal generale George Stumme che, però, morì d’infarto ventiquattr’ore dopo l’inizio della battaglia. Mentre Hitler chiedeva a Rommel di riprendere il comando- tra il 27 e il 28 ottobre- le divisioni corazzate tedesche scatenarono una violenta offensiva, invano.
A questo punto scattò, da parte alleata, l’attacco finale: l’operazione “Supercharge”. Iniziò all’una di notte del 2 novembre. Tutti i carri armati italo-tedeschi superstiti attaccarono il saliente britannico su due fronti, ma vennero respinti e iniziò la ritirata.
“Rommel si trovava ormai in piena ritirata, ma vi erano mezzi di trasporto e carburante sufficienti soltanto per una parte delle sue truppe e i tedeschi… si arrogarono la precedenza nell’uso dei mezzi. Parecchie migliaia di uomini appartenenti alle sei divisioni italiane, furono così abbandonate nel deserto… senz’altra prospettiva che quella di essere circondati” annotò Winston Churchill.
Gli ultimi a cedere a El Alamein furono gli italiani: i paracadutisti della Folgore che resistettero per 13 giorni senza arretrare di un metro.
httpv://www.youtube.com/watch?v=K2HUPN5ctFU
Giovanni Peroncini, 92 anni, sottotenente della divisione Folgore “bellissimo giovane raggiante di rughe e capelli bianchi, splendido con la sua divisa coloniale, ancora integra, e con il basco in testa” ricorda:
“Fu l’inferno: ci investirono con le truppe motorizzante e i carri armati, si sentiva un immenso sferragliare. Noi con i nostri mortai abbiamo sparato all’impazzata… poi la mia buca è stata colpita, ho temuto di morire… sono strisciato fuori e ho tirato fuori dalla sabbia, scavando, il servente del mio mortaio… Nella Grande guerra, si faceva il corpo a corpo. Io, nel deserto, il corpo a corpo non l’ho mai fatto. Quelli venivano avanti con i carri armati e io saltavo fuori da quella buca con la bottiglia di benzina”.
Coraggio contro acciaio.
Alla resa- i paracadutisti nostrani- ebbero l’onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario.
La BBC l’11 novembre, a battaglia conclusa, commentò: “i resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane”. Churchill, all’indomani della battaglia, disse: “dobbiamo inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore”.
E dopo settant’anni intorno a quella battaglia c’è- ancora- uno straordinario culto. Ora che ormai i superstiti si contano sul “caricatore di una pistola” quel nome è ancora un simbolo, anzi, lo è ancora di più. Ne è stato tratto un notevole film italiano e sul tema la bibliografia è sterminata.
Nel 1985 Storia Illustrata uscì con allegato alla copertina un dono per i lettori: un sacchettino di sabbia di El Alamein. Andò a ruba a testimonianza dell’attaccamento degli italiani a quella battaglia alla faccia degli intellettuali “trinariciuti” e dei giornalisti radical chic.
“Mi affascinò pensare a quale immensa buca era stata scavata nel deserto per portare in Italia quella sabbia” ricordava Giordano Bruno Guerri in un bel pezzo apparso su il Giornale qualche giorno fa. E proprio in quel deserto d’Iskandria, sulla pietra, sono state scolpite le parole di Rommel: “Se il soldato tedesco ha stupito il mondo il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco”.
E così ogni giorno, come ha scritto in uno splendido articolo per Il Foglio, Pietrangelo Buttafuoco, “il Signore dei Mondi bacia con la sabbia, il vento e il silenzio di ogni alba” dopo aver accarezzato le parole eterne impresse nel Sacrario militare italiano di El Alamein in cui riposano le salme di circa 5200 nostri soldati.
Le scrisse il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Recitano così : “Sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore, fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi. Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dallo stesso nemico, essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria. Viandante arrestati e riverisci. Dio degli Eserciti, accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo che riserbi ai martiri ed agli Eroi”.
E, forse, senza cadere nella retorica lacrimosa, però, era stata anche questa storia mitica, queste parole brillanti a far decidere al giovane Matelli di diventare paracadutista. E di andare incontro fiducioso e tranquillo, sguardo fiero incontro a una Morte cinica che lo attendeva nell’acqua fredda di una fottuta mattina di inizio novembre.
Alla faccia degli intellettuali trinariciuti (tradotto “imbecilli”, “ideologici”, “offuscati”) e dei giornalisti radical-chic, e viva il sacchettino-feticcio con la sabbia di El-Alamein.
Ci sarebbe tanto da commentare, ma vedo che se uno si esprime in termini critici, ma certo non irrispettosi, deve sottostare alla riprovazione della loggia futurista-reazionaria di Barga, la quale si ammanta di bei valori, ma non riesce a spostare l’attenzione dal soggetto che esprime all’oggetto che viene espresso.
Mi limito a dire che il parallelo tra la guerra imperialista dei NAZISTI (!) e la tragedia di tutti quei giovani inabissati davanti la Meloria è inopportuna, e priva di senso.
“Coraggio contro acciaio”? Era semmai l’Asse nazifascista contro gli Alleati, e comunque sempre guerra era, distruzione ed omicidio: commemorarla oggi significa giustificare la guerra di domani e di sempre.
Detto questo mi riprometto di non commentare più su questo bellissimo giornale, almeno fino a quando non riuscirò a trovare du soldi per abbonarmici e contribuire alla sua esistenza, e il cui spazio di commenti è stato, me per primo, fin troppo abusato senza un adeguato corrispettivo di responsabilità e partecipazione concreta alla vita del giornale.
Grazie a Luca, a Maria Elena, e a tutta la redazione.
vista la tua “conoscenza” della storia, imprecisa e frammentaria, farcita di qualche citazione da wikipedia giusto per dare parvenza alle tue teorie pseudostoriche palesemente falsate o inconcludenti, direi che è un’ottima scelta. quanto ad El Alamein e alla guerra in Africa voglio ricordarti che è stato uno dei rarissimi casi in cui non solo nessuno dei due eserciti si è mai macchiato di crimini di guerra, ma l’eroismo dovuto alle dure condizioni del terreno e del clima ha comportato un vero rapporto umano anche tra i nemici. inutile dire che il comandante dei nazisti, come li chiami te (ma in questo caso preferirei chiamarla Afrikakorps, visto che è il nome corretto) era Erwin Rommel, e si sa quale fine ha fatto…
concludo quindi con una citazione propria di Rommel, che, responsabile dello sfondamento di Caporetto, dopo la battaglia di El Alamein così apostrofò la nostra esperienza africana “il soldato tedesco ha stupito il mondo, ma il soldato italiano ha stupito il soldato tedesco”