Proponiamo di seguito la traduzione dell’articolo scritto da Kerry Bell e pubblicato su giornaledibarganews alcune settimane fa. Una storia raccolta direttamente dalla voce del protagonista che Kerry restituisce ai lettori con grazia e profondità, portando a conoscenza dei barghigiani un espisodio e una persona rimasti inediti per lunghi anni.
Secondo un proverbio molto popolare nel mondo anglosassone, ci vogliono nove sarti per fare un uomo. E, come ci ha detto un uomo, ci vuole un buon sarto per portare 9 uomini alla salvezza guidandoli, nei giorni successivi a un Natale del tempo di guerra, in un pericoloso viaggio a piedi attraverso le montagne.
A parlare dei “nove” è un uomo alto e snello con il profilo elegante e nobile di un’aquila, che riposa nel dolce sole di metà aprile. Sta su una panchina immersa in un parco dominato da alte conifere e circondato da facciate di mattoncini e colori ocra.
I soffici capelli bianchi si allungano arricciandosi sul colletto inamidato mentre le maniche della giacca calzano le lunghe braccia come se fossero state cucite da un sarto. Ed è così, dato che quest’uomo è il Sarto di Barga.
Nato nel 1928 in un casale di pietra in località Fraia sulla montagna di Barga, ha avuto un’infanzia spensierata, anche se caratterizzata dalle difficoltà tipiche della vita di campagna. Egli ricorda ancora quanto erano freddi gli inverni, fino all’arrivo della guerra. E dice che amava così tanto la sua terra che per essa rifiutò l’opportunità di emigrare a Glasgow.
Adesso torna alla sua campagna, presso la fattoria di Grifoglia, ogni ultima domenica di maggio, giorno in cui viene celebrata una messa nella cappellina che lui stesso contribuì a costruire dopo la guerra.
Tra tutte le fattorie che si nascondono tra le pieghe della montagna barghigiana, due furono utilizzate come avamposto dalle forze americane durante la seconda guerra mondiale. La prima postazione era alla Ferriera di Scarpello, in una valletta che unisce i territori di Barga e Coreglia; l’altro avamposto era invece sulla collina vicina, proprio nella tenuta di Grifoglia.
Nei giorni delle guerra le notizie si diffondevano per passaparola e arrivò il momento che quello che si diceva era che i tedeschi si trovassero a Bebbio, una località posta leggermente più in alto confronto agli avamposti americani.
Quel ragazzino che sarebbe poi diventato sarto, la cui casa era proprio sotto Bebbio e ad appena un chilometro da Grifoglia, apprese dei tedeschi così vicini e, con il padre – che aveva vissuto a Glasgow e che quindi parlava un buon inglese – riferì la notizia agli alleati che si trovavano a Grifoglia e alla Ferriera.
Così gli americani decisero di levare le tende e di rientrare al quartier generale di Camaiore.
Iniziarono quindi una marcia protetti dalla notte e dai fitti castagni attraversando la Ferriera, passando per il Crocialetto e giungendo infine a Coreglia.
Uno dei vantaggi su cui il drappello poteva contare era la fitta rete di sentieri che da millenni univa un casolare all’altro. Ma c’era anche un grosso svantaggio: nessuno dei proprietari di quelle fattorie voleva ospitare civili e soldati in fuga, temendo le ritorsioni dei tedeschi come tragicamente avvenne a sant’Anna di Stazzema.
Ma tant’è. Riposarono a Coreglia e poi proseguirono verso Bagni di Lucca e Borgo a Mozzano dove le forze alleate avevano rialzato le sponde del Serchio e fortificato l’elegante ponte del Diavolo.
Cercarono e trovarono un guado per attraversare il fiume e poi ci vollero ancora due giorni di viaggio per spostarsi verso ovest e passare i contrafforti delle Alpi Apuane, attraversando di notte la Valfreddana in direzione di Camaiore.
Qui incontrarono il generale delle forze americane Mark Clark, incaricato di formare le truppe durante la campagna d’Italia. Un incontro che il nostro Sarto ricorda ancora con grande emozione e che segna la conclusione della storia dei “nove”.
Finita la guerra il nostro trovò impiego come apprendista nella sartoria dello zio, un uomo rimasto mutilato ad una gamba; la sua bottega si trovava in una buona posizione a Barga e a quel tempo dava lavoro a diverse persone.
Quando al giovane futuro sarto fu data l’opportunità di studiare, felice accettò di iscriversi alla succursale lucchese dell’istituto Sarto-Tecnico di Milano. Qui imparò l’arte di creare cartamodelli e le tecniche del taglio e del cucito. Poi tornò alla bottega dello zio e continuò il suo lavoro.
All’epoca non esisteva l’abbigliamento ready-made e quindi c’era un gran lavoro per i ben otto sarti di Barga e, anche se la concorrenza era intensa, il Sarto si affermò presto grazie alle competenze, al senso artistico e all’impegno che lo animavano.
Mentre gli altri andavano a occhio e secondo esperienza, lui poteva contare sulle capacità sviluppate durante gli studi, disegnando da solo i modelli che proponeva ai numerosi clienti.
Quando suo zio venne a mancare, poi, rilevò la bottega e la trasferì in una zona più centrale della cittadina, dove è tutt’ora aperta.
Oggi, entrando nel suo negozio pieno zeppo di abiti ready made per uomo e donna, si notano tre macchine da cucire al centro della stanza; è ciò che rimane del laboratorio di sartoria di un tempo, oltre al solido banco da lavoro costruito con una ribalta pieghevole per raggiungere la lunghezza di tre metri, necessaria per tagliare, con forbici enormi, un intero abito senza doverlo spostare.
Dotato di una raffinata conoscenza delle nozioni di taglio, modellamento e cucito, nella vita ha ricevuto elogi e riconoscimenti per la qualità del suo lavoro. Ma è al contempo un uomo tanto modesto da chiedere di non rendere noto il suo nome, ripetendo che tutto quello che ha raccontato non è per vanteria, ma solo per raccontare questa storia.
Nel tempo gli altri sarti hanno abbandonato il loro lavoro a causa della concorrenza, dell’arrivo sul mercato degli abiti già confezionati o per l’età avanzata. Ma questo sarto ha perseverato, ed ancora, a volte, lo si può vedere impegnato alla macchina da cucire. Ovviamente quando non è a godersi il sole sulla panchine nel parco davanti al negozio, a ricordare quella volta che ci volle un buon sarto per salvare nove uomini durante la guerra; quella guerra la cui fine abbiamo ricordato pochi giorni fa e della quale, il Sarto di Barga, è uno dei tanti eroi non celebrati.