Esce oggi il libro “Baciami francese” di Sandro Bartolini sulle avventuri giovanili di Carlo Monni il comico-poeta surreale che amava Dante morto il 19 maggio nella sua Firenze dove si sono tenuti, due giorni dopo, i funerali. Tra la tanta gente accorsa a dare l’ultimo saluto anche Roberto Benigni, lo “scienziato” della comicità come lui lo aveva definito, che ha detto con gli occhi velati di lacrime: “Era un grande attore, lo ha dimostrato con le cose che ha fatto. A me ha insegnato tantissimo”.
Il libro di Bartolini, come scoprirete nell’intervista, non è un istant book, quei libri del momento che tanto vanno di moda oggi, ma bensì un libro nato in anni di chiacchierate, risate e ricordi. Un libro profondamente legato a Lucca: lucchese, infatti, la casa editrice che pubblica il volume: Maria Pacini Fazzi e lucchese l’autore: Sandro Bartolini.
Bartolini, come e quando è nata l’idea del libro?
“Ho conosciuto Monni nel novembre 2007, in occasione di un suo spettacolo, tenuto nel teatro di Ponte a Moriano. Sentivo una naturale vicinanza, gli regalai una copia del mio romanzo “Villaggio Mare Blu”. Successivamente maturai l’idea di proporgli un testo, da rappresentare in teatro. La lontana origine di “Baciami Francese” fu proprio lì, in quel primo incontro”.
Di cosa si parla all’interno del libro?
“Tra realtà e finzione, narra di gioventù, di fremiti amorosi, di umani sensi, di un giovane Monni che va incontro alla vita, a passo svelto, come il suo solito. Sono riportate anche delle ricette culinarie che ho sperimentato sulla mia pelle, stoicamente, a casa di Carlo, in via dell’Inferno, a Firenze”.
Come è stato realizzato?
“Il libro l’ho scritto io, Carlo ha contribuito con la sua fisicità, col suo essere, con le sue storie. Nella vita cercava la semplicità, l’essenza delle cose, questo, a mio parere, era la sua forza. Un giorno passeggiando lungo l’Arno, gli lessi un passo del racconto, di quando aveva conosciuto Sergio Endrigo, un ultimo dell’anno, al Sayonara di Campi Bisenzio. Mi ascoltò in silenzio, assorto, poi nel mezzo ad un vialetto del Parco delle Cascine, principiò a recitare la scena, come se fosse sul palcoscenico”.
Quando uscirà il libro?
“Il libro è uscito dalla tipografia giovedì 23 maggio e presto sarà in libreria. In aprile tutto era definito, il testo e la copertina, formato in tutte le sue parti, come un bimbo nella pancia della mamma, ed ora è venuto al mondo”.
Come l’ha colta la notizia della dipartita del Monni?
“Mi ha colto male, è come se mi avessero morso su un fianco o una bestia feroce mi fosse saltata sul groppone. Il 15 aprile l’ho incontrato per l’ultima volta, alle Cascine, per presentargli la copertina del libro. Ci siamo messi a sedere accanto, spalla a spalla, su uno scalino, in faccia all’Arno, giornata fresca, di sole e vento. Era contento delle fotografie, scelte dalla casa editrice. Quel giorno abbiamo parlato del libro, di come promuoverlo, dove presentarlo. Abbiamo camminato parecchio, lui vestito sportivo, maglietta e bleu jeans, con una borsetta di tela a tracolla, scalzo, coi sandali in mano, su e giù per i prati delle Cascine”.
Proponiamo qui, in esclusiva, per gentile concessione di Francesca Fazzi un brano del libro:
Era ancora vivo nonno Lorenzo, quando lessi Delitto e castigo. Fu come se avessi scoperto un tesoro, quando nel mobile del salotto, tra gli almanacchi del PCI, trovai quella brutta e vecchia edizione, non avevo niente altro da leggere. Mi stesi sul letto, con la testata in ferro, smaltata d’arancione, andai avanti tutta la notte, stava male il nonno, dopo qualche giorno lo ricoverarono. Quando arrivai all’ospedale, il Torregalli di Scandicci, col cuore in agitazione, era già partito.
Vidi il letto lindo e rifatto, la camera vuota, controllai il numero, forse avevo sbagliato stanza, rimasi lì piantato come un malinconico ciuco, orecchie lunghe, occhi tristi, mi guardai intorno smarrito. Domandai all’infermiera, si spaventò nel dovermi parlare. Dall’ospedale a casa piansi disperato, pisciando lacrime, muggivo pietoso, come un vitellino da latte che ha perso la via della stalla, io, Carlo Monni, mi disperai come non l’avevo mai fatto, guidavo la Dyane e singhiozzavo, le lacrime mi inondavano, piangevo. All’improvviso mi sentii meglio, in pace con me stesso, come se mi fossi liberato da un peso.
Capii d’avergli voluto bene, a Lorenzo Monni, mio nonno, imprecatore incallito di divinità e santi, vecchio brigante che cantava in ottavina. Corsi su per le scale, trovai la cucina piena di gente, intorno al focolare, mi chiamarono ma non guardai nessuno, lo vidi disteso, in camera, vestito in completo grigio, principe di Galles, con la cravatta. Le mie sorelle Paolina e Alessandra, brutte femminacce, mi abbracciarono. Le scacciai dalla stanza, volevo parlare da solo con lui. Prima lo rimproverai, mi arrabbiai, smoccolai, gli dissi che mi poteva aspettare, almeno l’avrei salutato per l’ultima volta, poi gli snocciolai quello che mi stava più a cuore.
Gli sussurrai che mi sentivo felice della sua vita, che si era comportato con onore fino alla fine. Una settimana prima l’avevo pregato, a mani giunte, d’alzarsi dal letto e aiutato a passeggiare per le stanze, strascicava i piedi sull’impiantito di mattoni, proprio come un vecchio, lo tenevo su, con un braccio sotto l’ascella. “Eh sì, Lorenzo Monni, decrepito trombatore di vedove, m’hai dato retta sino in fondo!” In quella camera parlavo solo io, penso però che il vecchio mi stesse ascoltando.