Domenica sera, alle 17.30, sotto la volta dei Menchi, grazie all’associazione culturale CentoLumi (che sta muovendo i suoi primi ma sicuri passi), sarà presentato “La storia prima di te. Il club segreto dei Buffalo” edito da Memori. “Un romanzo toccante che fa luce sul poco dibattuto capitolo degli alleati americani di pelle nera”, lo ha definito il prestigioso Il Venerdì di Repubblica. Un libro tra storia e romanzo, scelto come testo per il corso avanzato di italiano all’Università di Basilea in Svizzera. Alla presentazione di domenica sarà presente l’autrice Ilaria Lonigro, giovane giornalista collaboratrice, tra l’altro, de Il Fatto Quotidiano che, oltre a una spiccata sensibilità verso certi temi sociali e storici, ha una grande capacità narrativa che si evince, al di là del soggetto avvincente e commovente del romanzo, da alcune particolari descrizioni su cose minimali. L’abbiamo incontrata per capire come e perché è nato questo libro.
Lonigro, da quale esigenza è nata l’idea di scrive un libro sulla divisione Buffalo?
“Dovevo liberarmi di una storia che si era aggrappata a me con gli artigli e non si scrollava più. Volevo immaginare quanto fosse difficile e intensa, come è difficile e intensa ogni cosa in tempo di guerra, una storia d’amore tra due ragazzi, una bianca e l’altro nero, non un nero qualsiasi, ma un soldato dell’esercito americano, alle prese col nazismo e fiaccato dal razzismo interno. Ho cercato di dar voce ai soldati neri della 92a divisione e del 366° reggimento, che a lungo non hanno avuto un riconoscimento dal governo americano e dalla Storia”.
Quanto c’è di vero e di romanzato nel suo libro?
“Tutto ciò che ho scritto è o potrebbe essere accaduto, ho cercato di essere verosimile anche nelle invenzioni di fantasia. Qualche esempio dei fatti veri? Gli afroamericani vennero mandati a combattere in prima linea contro i nazisti a volte persino senza le munizioni, preparati male, equipaggiati peggio e sottodimensionati rispetto alle divisioni bianche. Furono accolti dal generale con la promessa, non esattamente incoraggiante, che molti di loro sarebbero andati a morire. Ho cercato di ricreare un’ambientazione fedele alla realtà, quindi le abitudini del tempo, gli abiti, il modo di pensare, dubbi e pregiudizi compresi, sono tutti “veri”. Vero pure che è esistito una specie di club segreto di soldati afroamericani, anche se l’ho saputo solo dopo che ho scritto il libro”.
Da chi era composto? Di cosa si occupava?
“Si chiamavano i Prometheans e il loro simbolo era la fiamma della conoscenza. Era un gruppo di veterani neri che si è sciolto per motivi anagrafici 5 anni fa. Erano stati soldati scelti dall’esercito per il loro QI alto, nel 1943 furono mandati a studiare ingegneria in un programma speciale del governo, un esperimento per vedere se anche i neri fossero all’altezza di certi compiti. Ma dopo appena un anno, il programma fu sciolto e furono mandati al fronte, in Italia, nella fanteria, carne da macello: ciò di cui il Paese aveva bisogno in quel momento. Dopo la guerra formarono un gruppo, dedicato a Prometeo, per portare la conoscenza sempre più avanti nella comunità nera, con borse di studio e programmi per i bambini”.
Dove e quando nasce la sua passione per questi temi?
“Conobbi una signora, e come lei poi ne ho incontrate altre, che aveva avuto un figlio da un soldato afroamericano e sicuramente la sua storia mi ha incuriosito e spinto a volerne sapere di più. La vera svolta l’ho avuta quando ho visto il bellissimo documentario “Inside Buffalo” di Fred Kuwornu: ho capito che nella liberazione della Versilia si celava una storia internazionale fatta di ingiustizie e diritti civili non riconosciuti: sto parlando naturalmente dei soldati afroamericani che combattevano per darci la libertà mentre loro a casa propria non ce l’avevano. La liberazione nella liberazione”.
Ci sono state molte storie d’amore tra donne italiane e soldati afro americani?
“Tantissime, pensa che, secondo quanto racconta il Colonnello Vittorio Lino Biondi, esisteva pure un club, a Viareggio, tenuto dall’esercito americano, per formare le italiane, promesse spose, agli usi e costumi a stelle e strisce”.
ce n’è una che l’ha colpita in particolare?
“Quella di una coppia che, dopo il matrimonio a Torre del Lago, da dove proveniva lei, si trasferì a Bamberg, in Germania, in una ex villa delle SS che gli americani occuparono a guerra finita. E in quel luogo, che fino a pochi anni prima era un buco nero di orrori, gli americani e le loro mogli facevano feste meravigliose, ho visto le foto. Ma, come per molte italiane, il matrimonio naufragò quando il soldato partì per la Corea”.
Durante le ricerche per il libro cosa Le è rimasto dentro?
“Le croci al cimitero dei Falciani e l’età media dei ragazzi sotto: 22 anni. Il modo di parlare degli anziani, la storia dei luoghi: adesso quando passo davanti a certe ville abbandonate, pinete, campi, ex brefotrofi, non riesco a fare a meno di immaginarmeli com’erano. Conosco la loro vita nascosta, invisibile agli occhi, ma non a quelli di chi leggerà La Storia prima di te…”.
WITH ONE TIED HAND (CON UNA MANO LEGATA)
Go to Florence
If you will.
See the crosses
Upon the hill.
Notice the murals
On the wall.
Buffaloes in arrows
Represent us all.
Walk the green grass,
Crosses, row on row.
Young black men
Killed attacking the foe.
It is God who looks
Upon this field.
Blessed men who fought
And would not yield.
Jim Crow was there
Blocking their way.
Causing them grief
Day after day.
These men fought evil
That enveloped the land.
They battled for freedom
With one tied hand.
Ivan Houston, 2014
Vai a Firenze
Se vuoi.
Guarda le croci
Sopra la collina.
Nota i disegni
Sul muro.
I Bufali nelle frecce
Ci rappresentano tutti.
Cammina nell’erba verde,
Croci, fila dopo fila.
Giovani uomini neri
Uccisi mentre attaccavano il nemico.
E’ Dio che veglia
su questo campo.
Uomini benedetti che hanno combattuto
E non si sarebbero arresi.
Jim Crow (nota: il nome delle leggi razziali negli Usa) era lì
A bloccar loro la strada.
Causando loro dolore
Giorno dopo giorno.
Questi uomini hanno combattuto il male
Che avvolgeva la terra.
Hanno lottato per la libertà
Con una mano legata.