Il 24 ottobre ricorrevano dieci anni dalla morte di Bruno Lauzi. Un anniversario passato per lo più sotto silenzio. Solo un pugno di articoli su qualche giornale. Radio, televisione e web, invece, niente. Ma, alla fine, non c’è da meravigliarsi: Bruno Lauzi era un signore troppo fuori dal coro, per essere ricordato in questi anni ipocriti e frettolosi. E poi, aveva una colpa imperdonabile, ieri come oggi: quella di non essere allineato politicamente.
Invitato a cantare a una Festa dell’Unità aveva posto una sola condizione: spiegare le sue ragioni e parlare dei prigionieri politici nei gulag, chiedendone la liberazione. I Trinariciuti dissero no. E Lauzi, da persona coerente qual’era, non andò a cantare. “Il carattere è il demone dell’uomo” diceva Eraclito, e Lauzi lo sapeva bene com’era il suo: “sono polemico, dispettoso, un terribile bastian contrario”.
Era sempre stato un liberale. Liberale era il padre, cristiano anti fascista che si era sposato con una donna ebrea ad Asmara. Liberale era il primo giornale a cui collaborò, “L’Altolombardo”, diretto da un altro grande dimenticato come Piero Chiara. Era il 1956, e si era da poco trasferito a Varese, dopo aver vissuto a Genova, dove era stato compagno di banco di Luigi Tenco, con cui aveva iniziato a scrivere canzoni.
Da Varese, Lauzi andava a Milano in treno (non prenderà mai la patente) per andare a studiare alla Scuola Interpreti. Iniziò, in quegli anni, a tradurre Brassens e Aznavour. E, sempre a Milano, si avvicinerà all’ambiente del Derby, il locale notturno vicino a San Siro, che ospitava le prime esibizioni di gente come Enzo Jannacci, Cocchi e Renato, Giorgio Faletti, per dirne solo alcuni
Impegnato in alcune tourneé, una della quali con Mina, amico dall’avvocato Paolo Conte (che lo definirà “il mio ambasciatore”) e di Lucio Battisti, collaboratore di Mogol, scriverà successi come “E penso a Te”, “L’Aquila”, “Amore caro, amore bello”, “Onda su Onda”, “Genova per noi”, “Una giornata al mare”, “Ritornerai”. Con “Almeno tu nell’universo”, cantata in maniera indelebile da Mia Martini, vincerà, nel 1989, il premio della critica al Festival di Sanremo.
Consapevole che, come diceva lui, “vivere è un mestiere da cinici”, affrontò con coraggio e ironia il “Mister Parkinson” che lo portò, in breve tempo, alla morte.Noi, nel nostro piccolo, vogliamo ricordarlo grazie ad alcune note locali, infatti, Lauzi era venuto a suonare in Valle, al Ciocco. Abramo Rossi, uno dei pionieri delle tv locali valligiane, ci ha detto: “Lauzi era una persona riservata ma che sul palco si trasformava. Era un gigante della musica che non è stato valorizzato come chi, oltre alla musica, si occupava anche di tessere di partito. L’ho conosciuto una sera grazie a Sergio Bernardini, dopo uno spettacolo a Viareggio. Arrivai che avevano già mangiato e per non disturbarlo non gli feci l’intervista, un peccato, col senno di poi. Però, mi è rimasto dentro il ricordo di un “piccolo grande” uomo”.
Il musicista Claudio Tardelli, invece, era presenta la sera del concerto al Ciocco: “venne ad esibirsi per una convention, in quartetto. Quella sera l’albergo era pieno ma erano tutti clienti venuti da fuori. Del posto eravamo solo io e il barman. Io facevo il mio modesto piano bar, lui entrava in scena quasi a mezzanotte, e per tutta la prima serata mi ascoltò tranquillamente sprofondato in un sofà. Conversammo amabilmente durante la mia pausa, ricordo una persona molto intelligente, colta e schiva. Rifiutò gentilmente le offerte di chi passava e, riconoscendolo, lo invitava al bancone del bar a bere. Poi, salì sul palco. Seguii attentamente la performance di questo originale artista, che oltre a cantare le canzoni, condusse la serata con maestria cercando di interagire con il pubblico che purtroppo, in quel caso non era il suo… erano un branco di venditori mezzo avvinazzati che, vista l’ora, non lo capirono. Ci furono anche dei fischi, immeritati. Quella sera gli idioti abbondavano”. Però, quando cantò “Il poeta”, scese uno strano silenzio, tutti lo ascoltarono come rapiti, a qualcuno, in fondo alla sala, nelle luci soffuse, sembro di vedere più di un volto rigato da una lacrima.
httpv://www.youtube.com/watch?v=UWQL0MrjSh4
Alla sera al caffè con gli amici
si parlava di donne e motori
si diceva “son gioie e dolori”
lui piangeva e parlava di teSe si andava in provincia a ballare
si cercava di aver le più belle
lui, lui restava a contare le stelle
sospirava e parlava di teAlle carte era un vero campione
lo chiamavano “il ras del quartiere”
ma una sera giocando a scopone
perse un punto parlando di teEd infine una notte si uccise
per la gran confusione mentale
fu un peccato perché era speciale
proprio come parlava di teOra dicono, fosse un poeta
e che sapesse parlare d’amore
Cosa importa se in fondo uno muore
e non può più parlare di te