Ricorrono oggi 500 anni dalla nascita di Pietro Angeli (1517-1596), detto il Bargeo, umanista, scrittore, professore universitario e uomo d’armi. Il suo paese natale lo ricorda con una giornata ricca di eventi e di autorevoli interventi.
Il 27 settembre 1896 ricorrevano trecento anni dalla morte di Pietro Angeli. In quell’occasione toccò a Giovanni Pascoli, che da poco meno di un anno aveva deciso di venirsi a vivere in Valle del Serchio, commemorare l’illustre barghigiano. Lo fece con un discorso al teatro dei Differenti, prima dell’inaugurazione del busto realizzato dal pisano Giovanni Topi, che inizialmente fu posto in piazza del Comune. Della giornata, oltre che sulla stampa locale, veniva data notizia anche sulle colonne del foglio carrarese “Lo Svegliarino”. Nel breve articolo, in cui si parlava del “modesto monumento” inaugurato “sull’ameno ritrovo estivo sui vaghi monti della Lucchesia”, il cronista elencava le tante attività dell’Angeli: “poeta latino, cavaliere avventuroso, archeologo di gran fama”. Nel suo discorso, che sarà pubblicato su “La vita italiana”, Pascoli aveva definito Angeli “guerriero e poeta” che “peregrinando ardito per il mondo, trasse d’ogni dove inspirazione”.
In effetti, Angeli ebbe una gioventù molto movimentata. A Barga aveva trascorso i primi anni, che erano passati in grande serenità. Una serenità interrotta dalla terribile peste del 1528, in cui morirono la madre e il padre. Lo zio materno, il reverendo Cristofano, che gli aveva insegnato il greco e il latino, lo spinse verso “il mestiere delle armi”. Partecipò alla difesa di Firenze, iniziò qui una lunga parentesi avventurosa degna di un romanzo picaresco.
Nel 1533 va a studiare a Bologna dove passa dagli studi in legge a quelli umanisti. Si innamora perdutamente di una nobildonna più grande di lui, sposata, Fiammetta Soderini. Scrive e rende pubblici dei versi infamanti verso il marito dell’affascinante dama. Lo minacciano ed è costretto a fuggire. Si ferma a Venezia dove entra al servizio di Guglielmo Pellicier, ambasciatore di Francia presso la Serenissima, e poi segue l’inviato del re di Francia, Antonio Polin (che andava a chiedere aiuto ai Turchi contro la Spagna) a Costantinopoli. Ma con Polin iniziano ben presto gli attriti, lo definirà “uomo ingiustissimo e ingratissimo”. Ripartirà, dopo un viaggio in Grecia e nelle prime propaggini dell’Asia, al seguito della flotta ottomana di Khayr al-Dīn Barbarossa. Sbarcato in Liguria, Angeli racconterà di aver ucciso un ufficiale francese colpevole di “aver insultato il buon nome degli Italiani”; finisce vicino a Mondovì, al servizio del marchese Del Vasto, per poi tornare a Barga, dove gli viene conferita la carica di “difensore del Comune di Barga”, a cui seguirà, anni dopo, quella di Capitano. Nel 1546 viene invitato a insegnare latino e greco a Reggio Emilia, dove gli sarà concessa la cittadinanza onoraria.
“Comincia, intorno al nome dell’Angeli- scrive il critico letterario Alberto Asor Rosa-, a formarsi quella fama, che diventerà più tardi grandissima e consacrerà il Bargeo come uno dei più grandi umanisti del secolo”.
Una fama confermata anche da alcuni suoi autorevoli contemporanei, come ci ha spiegato il “nostro” Pier Giuliano Cecchi: “il tipografo umanista Paolo Manuzio lo definì “A nessuno inferiore per ingegno, eloquenza e dottrina”. E il filologo fiorentino Pietro Vettori di lui disse: “Gran Poeta, non minor oratore, e di elegante scienza fornito”. A questi, possiamo aggiungere il Pascoli che, nel suo discorso del 1896, legò e modernizzò la sua memoria a quel filone d’italianità che già si mosse ai tempi dell’Angeli che già parlava di “italica terra”. Inoltre, per quando riguarda il rapporto con Barga va ricordato che, nel corso degli anni, si occupò dell’allora Monastero di Sant’Elisabetta, dell’Ospedale di Santa Croce, della Bandita Granducale delle trote in Corsonna e di altri affari di particolare interesse per il suo paese natale, come l’efficienza della scuola pubblica”.
Nel 1549 il duca di Firenze Cosimo lo vuole come docente di lettere a Pisa. Gli anziani di Reggio cercano di trattenerlo, ma Angeli, a malincuore, lascia la città emiliana per il prestigioso incarico. A cui si aggiungerà, successivamente, anche quello di insegnante di Etica e Politica aristotelica, sempre a Pisa.
I Medici tengo sempre più in maggiore considerazione il “Bargeo”, tanto da incaricarlo di rappresentarli in varie e importanti onoranze e solennità. E il cardinale Ferdinando de Medici lo vuole come guida ai suoi studi. Incomincia in quel periodo a collaborare alla revisione voluta da Torquato Tasso della “Gerusalemme Liberata”. Angeli era autore di un’opera molto simile a quella dello scrittore di origini partenopee, “Syrias”. Per decenni, in alcuni ambienti letterari e accademici, si è discusso quanto i rapporti tra i due poeti abbiano influenzato le rispettive opere.
“Un problema- chiarisce Asor Rosa nelle sue note per l’Enciclopedia Treccani- oggi risolto. Le due opere sono indipendenti: le affinità di argomento nascono da un clima spirituale comune e le eventuali coincidenze si possono far risalire a fonti utilizzate da ambedue i poeti. Un’ipotesi suggestiva è quella avanzata dal Manacorda, secondo il quale l’Angeli concepì originalmente la “Siriade”, ma quando riprese e rifuse il proprio poema, dopo aver accettato di rivedere la “Gerusalemme liberata”, dovette trarre da questa non pochi spunti di episodi e figure; come viceversa il Tasso, completamente spontaneo e indipendente nella Liberata, non disdegnò forse, attendendo alla “Gerusalemme conquistata”, l’influsso della “Siriade”, moraleggiante, sentenziosa, e, molto più di quanto non fosse la Liberata, fedele allo storico svolgersi degli avvenimenti”.
Certo, ben altra sorte toccò all’opera del Tasso, ancora oggi studiata nelle scuole. L’opera di Angeli, invece, è, ormai da tempo, rara e raffinata lettura per studiosi ed esegeti. Già a fine Ottocento, il grande Pietro Groppi, pioniere del giornalismo in Valle del Serchio, sempre poco ricordato, doveva constatare che “sebbene ad alcuni sembri incredibile, è purtroppo vero, e mi dispiace dover dire, che in Barga non si trovino più opere di Angelio né tampoco si pensi a ricercarle e leggerle attentamente”.
Groppi propose ai notabili barghigiani l’erezione di un monumento “del nostro illustre Poeta”. Per tutta risposta ebbe un sonoro rifiuto: “Se Egli meritava un monumento glielo avrebbero fatto i nostri maggiori, noi non lo conosciamo”. Ma il giornalista non si perse d’animo e su “L’Eco del Serchio” e “in fogli separati”, ripercorse la vita e l’opera dell’Angelio, “lasciando ad altri migliori di me il difficile compito di fare un lavoro di maggior importanza”.
In realtà, il Groppi, come suo solito, fece un ottimo lavoro, serio e appassionato. Sarebbe contento, quindi, il buon Groppi di vedere che, oggi, a 500 anni dalla sua nascita, Barga, per merito di pochi, comunque, non si è dimenticata di ricordare “un uomo grande che ha illustrato la nostra patria”.