sulla natura hanno portato le scienze naturali ad altissimo grado di perfezione. Certo visitando cotesta Caverna non avemmo la pretenzione di fare peregrine scoperte, ma la curiosità e l'ardente desiderio di vedere le meraviglie di quei cupi recessi ci spinse ad intraprendere il non breve cammino.

     Alle ore 4 precise l'Ingegnere Ferruccio Salvi, l'Avv : Giovanni Magri, Don Carlo Nanni, Francesco Diversi, Giuseppe Guidi, Giuseppe Biagi, detto il Diori, ed io eravamo tutti riuniti alla Locanda di Pietrino attendendo gli ordini del nostro duce Sig. Ferruccio Salvi.

     Esso difatti aveva disposto le cose per modo che non dovesse mancare non dico il necessario, ma ne anche le sorprese, e la prima fu quella di farci comparire all'improvviso una Carrozza.

     Veramente per i neo - alpinisti il lusso di una carrozza non era un buon principio, ma il nostro duce aveva ben compreso che non eravamo né tanti Nembrotti, né tanti arnesi da bosco e da riviera, e sve-gliati dopo poche ore di sonno una carrozza sembrò a tutti una grazia di Dio. Salimmo adunque su questo legno, che pareva una specie di omnibus, un carrozzone di qualche prelato del medio evo ; ma misericordia ! bisognava starci così stretti e così rannicchiati che fu piuttosto un tormento che un comodo. Per giunta lo screpolio dei cristalli, il fracasso delle ruote e di tutto il legno ci assordavano per modo che da Barga al Ponte all'Ania non si poté proferire una mezza parola. Qui per fortuna si doveva scendere.

     Appena appena spuntava l'alba, e dopo di esserci refrigerati con un bicchierino di rinfresco di Modena alla bottega di Pier Giuliano, scendemmo per un viottolo lungo la sponda sinistra dell'Ania e ci avviammo alla Barca , su cui si traversa il Serchio.

     Un fumo biancastro come leggerissima nebbia si elevava dalle limpide acque del Serchio, ed annunziava, secondo i pronostici del nostro Diori, una bella giornata. La barca però se ne stava legata all'opposta riva, né si vedeva anima vivente che la sciogliesse. Ma un fischio acutissimo del nostro duce impaziente di aspettare, seguito da un altro del Diversi, poi la voce terribile del nostro Diori penetrarono nell'umile e modesta capanna del barcaiolo, il quale con altrettanti urlacci dalla parte di là, ci fece intendere che aveva capito. Manco male ! diceva il Diori, e si pose a passeggiare in su e in giù cantarellando. Ci aspettavamo intanto di vedere comparire qualche nero e nerboruto Caronte, e c'era da figurarselo ancora con tanto di broncio, poiché la ressa dei fischi e degli urli fu tale che poteva sapere di indiscretezza. Come Dio volle si vide spuntare dal poggio di Turritecava una piccola figura biancastra che si avvicinava al fiume : non può essere il barcaiolo : pure si avvicina ancora, scende il poggio, salta nella barca, e in men che si dice l'approda alla nostra sponda.

     Era una graziosa fanciulletta sui dodici o tredici anni, che aveva ancora gli occhi tra il sonno.  Pure quel visetto mezzo assonnito, ma vispo, ebbe la fortuna d'ispirare il Diori a cantarci, mentre si tragittava, la canzone seguente :

Brilla il ciel, serena è l'onda,

Suona l'ora dell'amor

Deh ! mi porta all'altra sponda,

Giovanetto remator.

     Sbarcati all'altra riva, il poeta Diori si caricò sulle spalle un fascio di funi del peso di quaranta o cinquanta chilogrammi. Ma che ! per quelle spalle nerborute, titaniche ci voleva altro che quel misero peso per farle piegare ! Egli se ne andava avanti, additando a tutti coll'esempio la strada che dovevamo tenere, ridendosi di noi che ci sgomentavamo quantunque liberi da ogni impaccio. Ci rivedremo a poi, caro Diori, dicevamo noi, ride bene chi ride l'ultimo . Ma la strada che conduce a Cardoso non è poi quell'ira di Dio che mostra d'essere in principio : sale, si capisce ; ma infine per montagna è una strada mulattiera assai ben tenuta e agevole.

     Che ne dici Diori, in confronto alle nostre vie di Renaio, di Montebuono ed anche di Toglio e di Sommocolonia, questa non può dirsi una via regia ? Eppure, vedi, chi sa che qualche regnante non abbia sognata questa strada e...

     Puh ! questa è grossa !... (interruppe Diori) I regnanti saranno venuti a vedere la bella città di Cardoso... ! Oh si veramente !...

     La città di Cardoso, come tu la chiami, avrà tutti i suoi pregi ed io non voglio negargliene alcuno, ma, caro Diori, le mie parole ormai sono uscite ed io non mi sento punto di ritirarle. Ho detto che qualche regnante chi sa che non abbia sognato questa strada, non precisamente per levarsi il gusto di venire a passeggiarci e neppure forse forse per venire a vedere le rarità di Cardoso, ma per queste parti c'era qualche cosa di più importante che tu ignori, come c'erano tante altre cose nel barghigiano che ora non si considerano più da nessuno. Vedi, questo suolo che noi calpestiamo è stato un tempo abitato da un popolo eroico, che sebbene ridotto a un pugno di pochi, per difendere la sua libertà e la sua indipendenza, osò opporsi a quella nazione che aveva conquistato il mondo intero. Forse i piccoli castelli di Cardoso, di Valico, delle Fabbriche o tanti altri chi sa che non fossero i primi baluardi contro questa nazione invadente, e chi sa che qui non sia stato il teatro di grandi battaglie. La storia non lo dice, ma lo fa supporre. Essa ci fa sapere le grandi difficoltà, che dovettero superare i Romani per vincere i Liguri Apuani quando li dovettero assaltare nei loro stessi abituri per sito e per natura inespugnabili. Tu oggi credi accompagnarci ad una passeggiata romantica, ma forse potresti vedere nella Tana del Monte di Gragno uno di quei siti inespugnabili che abitarono i Liguri. Certamente io non oserei di affermarlo con sicurezza ; poiché le cose istoriche, per affermarle, hanno bisogno di documenti e questi mancano. Ma se in tanta distanza di tempo è lecito formare una congettura, capirai che non è del tutto fuor di ragione il supporre che cotesta Grotta potesse esser benissimo un rifugio per quei Liguri Apuani che venendo dai monti della Versilia e seguendo il corso della Turritecava scendendo nella val di Serchio, e congiuntisi agli altri Liguri marcia-vano verso Lucca e Pisa. Lo dice abbastanza il nome di Valico, rimasto poi al paese omonimo vicinissimo alla grotta.     

     Ma, lasciando i Liguri, vedo che ignori l'importanza che ha avuto il Monte di Gragno anche dal medio evo ai giorni nostri. Ed io per dimostrartela non avrei bisogno di ricorrere a gravi argomentazioni, poiché la fanno vedere chiaramente le arrabbiate questioni tra i Barghigiani e quei di Cardoso, Bolo-gnana e Gallicano, strappandosi a vicenda il possesso di questo monte. La mostrano le premure dei Granduchi di Toscana e della Repubblica di Lucca, per conservare vicendevolmente i loro diritti. La mostrano le sentenze dei più celebri giureconsulti, come un Avv : Colonna, il Duca di Savoia e il suo presidente Tesauro, le sentenze dei Papi Pio V e Leone X, il Decreto dell'Imperatore Massimiliano I. La mostrano infine le enormi spese sostenute dai go-verni per queste liti. Ti basti questa sola che è la più recente. Si trattava di allargare di poche braccia un piccolo tratto di strada nel Monte di Gragno verso Bolognana ; per questa ragione si attaccò una lite nel 1749 che durò la bellezza di 23 anni, cioè fino al 1772, e sai tu quanto costò alla Repubblica di Lucca ? Nientemeno che la bagattella di Scudi 67,341 5. 9 ossia Lire Italiane 377,109. 60.

     Gesummaria !... esclamò il Diori, a mettere in vendita tutto il monte non costa tanto !

     Certamente chi sommasse tutte le spese sciupate in liti e questioni, non una ma tre volte si comprerebbe. Ma con questo volevo farti intendere che non importava loro di spendere pur di mantenere intatto il possesso del monte, e questo vuol dire che aveva per essi una grande importanza. Ma poi questo monte ha in se stesso qualche cosa di attraente, di misterioso. I governi se lo sono disputato per la sua posizione, in quei tempi realmente strategica, e i popoli ne han fatto quasi un emporio mitologico, che ha dato luogo a mille credenze e a mille favole. Per giunta si andò a cacciar qua anche un santo, che... Come un Santo ?

Next page