Barga, nell’ormai lontano anno 1986, volle tributare un significativo ricordo alla memoria del mai dimenticato proposto di Barga Mons. Lino Lombardi (Ponsacco 1886 – Barga 1965) nell’occasione del suo centenario della nascita. Infatti, si ebbero varie e interessanti iniziative che, ripercorrendo la sua vita barghigiana nella propositura di S. Cristoforo dal 1929 sino alla morte, inevitabilmente riportarono alla luce anche momenti di non comune spessore che per l’epoca in cui si svolsero, il ventennio fascista, erano tenuti sino allora in disparte.
Momenti di Barga, tra l’altro, testimoniati anche nel libro “All’ombra del Duomo di Barga”, pubblicazione curata per l’avvenimento ricordato, in cui furono raccolti articoli e scritti tratti dal diario personale di Mons. Lombardi.
Il centenario lombardiano, per l’affetto mai sopito nei confronti di un parroco che tanto amò Barga e tutti i Barghigiani, sciolse gran parte di quelle riserve.
Ad esempio, potemmo riparlare con sufficiente disinvoltura e ricordare con una mostra storica i colossali restauri, vera e propria ricostruzione del millenario Duomo che ˗ così è scritto su di un suo lato del monumento ˗ durante “l’assedio economico” si portarono a compimento.
I restauri al Duomo, che ebbero inizio nel 1927, resi necessari per l’usura del tempo dell’edificio, come per i danni subiti a seguito del terremoto del 1920, si conclusero nel 1939 e la loro esecuzione rimane una tra le più belle pagine della storia barghigiana del 1900.
Una pagina da leggersi con animo sereno, perché l’antico spirito barghigiano non ha colore politico, così come recita la lapide posta sulla porta del campanile del Duomo, le cui parole, dettate da Giovanni Pascoli, chiariscono e confortano l’assunto: “Al tempo dei tempi, avanti il Mille, i barghigiani campavano rosicchiando castagne e fecero il Duomo. Dicevano: in casa mia, ch’io salti anche da un travicello all’altro, benedetta libertà, ma il Duomo ha da essere grande…”.
Usando le parole di Mons. Lombardi così possiamo sintetizzare l’opera svolta per il ricordato restauro da parte di una personalità di Barga sino allora messa in disparte, il podestà e operaio del Duomo di Barga Morando Stefani: “L’anima di tutto”.
Un personaggio col “polso di condottiero, animo di poeta e d’artista!”. Con queste parole Giovanni Giuseppe Lunardi lo descriveva su “Il Popolo Toscano” del 1932.
Al di là della ricordata descrizione del personaggio lo Stefani fu l’anima anche di tanti altri momenti Barghigiani che ancora oggi si ricordano con un moto di spontanea simpatia perché attengono allo spirito di Barga.
Tra questi Barga Città: quasi un niente di grande valore morale che inorgoglì i barghigiani in patria e all’estero perché fu il capo del Governo Italiano, Benito Mussolini, con motuproprio, a conferire a Barga l’onorificenza durante la visita al Comune che effettuò il 15 maggio 1930 (1).
Un Mussolini da intendersi come rappresentante ufficiale dell’Italia, al pari del Re e forse di più, che dall’alto del ruolo che si era ritagliato o comunque fosse, riconosceva la millenaria e importante storia di Barga, la sua arte, la sua importanza economica per la Nazione con la presenza nel suo Comune di un’efficiente fabbrica quale la SMI (oggi KME). Infine motivo non ultimo, mostrava riconoscenza a questo popolo che aveva saputo accogliere con affetto un suo conterraneo: Giovanni Pascoli.
Ebbene, tutta una somma di riconoscimenti positivi da non potersi relegare assieme alle negatività di quel regime, al cui pensiero non ci possiamo esimere dal rilevare che è pur sempre migliore una cattiva democrazia rispetto ad una blanda dittatura. Un preciso valore la democrazia da difendere sempre quale espressione migliore di una civiltà dinamica e libera.
Morando Stefani, il Podestà di Barga, ma più che altro l’Operaio del Duomo, avuta la notizia che forse Mussolini, dal suo soggiorno lucchese, sarebbe venuto in visita alla casa del Pascoli, allora curata dalla vivente Mariù, non pose tempo di mezzo e si adoperò affinché Barga, il capoluogo, potesse avere tra le sue mura il capo del Governo che dal 1923 era un suo cittadino onorario.
Essenzialmente il pensiero dello Stefani era rivolto al Duomo e ai suoi restauri, il cui proseguimento dipendeva anche da autorevoli adesioni atte a sbloccare quei finanziamenti utili per il completamento dei lavori.
Mons. Lombardi nel suo diario, scrivendo di quell’avvenimento che pose sotto il titolo Barga Città, annotava che lo Stefani il 13 maggio “… è andato a Pisa; ha parlato col Cardinal Maffi e questi ha scritto un biglietto al Duce: So che prossimamente visiterà Barga della mia Diocesi; tra le mura di quell’antico Duomo invoco per V.E. ogni benedizione”.
Più sotto ancora il Lombardi: “Però il contegno delle Gerarchie Lucchesi, cominciando dell’On. Scorza non è incoraggiante. Il giorno 14 son venuti in diversi e hanno misurato i passi che vi sono tra la porta Reale e il Duomo… temono di stancare il Duce, perciò propendono a non fare entrare nel castello il Duce. Una sosta sul Fosso e via”.
Mussolini invece, dopo la SMI e casa Pascoli, visitò anche Barga, che fidente s’era rifatta il trucco e messa a festa.
Mussolini, nel tratto di strada tra piazza Angelio e il Comune, volgendosi verso lo Stefani gli disse, (sempre dal diario del Lombardi): “Interessante questa città – Non città, Eccellenza, quantunque ne avessimo il desiderio – E perché non l’avete chiesto? – Aspettavamo la visita di V.E. – Ebbene, stasera, sarà fatto il decreto”.
Tutti rimasero stupiti e di conseguenza possiamo immaginarci con quale trepidazione e con quanta speranza i maggiorenti barghigiani salissero la “scalaccia” che porta al Duomo, allora mezzo diroccato per i lavori di restauro. Sapevano che lì era ad attenderli l’impegno maggiore e la disponibilità mostrata da Mussolini faceva ben sperare circa un suo diretto interessamento.
All’interno del Duomo Mussolini, rivolgendosi al proposto Lombardi, chiese informazioni sulle spese per i restauri. La risposta fu demandata all’Operaio del Duomo Morando Stefani, il quale, dopo una descrizione dei vari contributi dati da privati e altro, soggiunse che nei meandri del ministero era sperduta una richiesta di finanziamento che già aveva percorso il suo iter burocratico. Mussolini, col suo modo da noi imparato nei filmati televisivi, rispose: “Quali meandri! Provvederemo a sollecitarla!”.
Quale cosa poteva essere più ambita per poter rendersi conto che Barga era veramente città? Sì, perché era il Duomo, che risorgendo avrebbe dato la percezione della rinascita di Barga e di questo lo Stefani, da Sindaco prima, poi da Podestà, ma principalmente da Operaio del Duomo, era consapevole essere il suo dovere di buono e autentico barghigiano, e se anche i suoi modi non sempre furono ispirati alla cordialità, quella fu la sua ambizione.
A conferma di quanto detto ci sorregge ancora il Lombardi, che nel diario annotò, al termine della nota su “Barga Città”, quanto lo Stefani ebbe a dirgli la sera stessa di quel 15 maggio a proposito di quella onorificenza per Barga. Infatti, ricordandogli la visita che il Granduca di Toscana Leopoldo I fece a Barga nel 1781 e del silenzio dei maggiorenti barghigiani al suo disappunto perché non fosse città, gli disse: “Questo errore io davvero non l’ho commesso”.
Ma qualcosa ancora mancava perché Barga potesse mostrare alla Valle la sua riconosciuta dignità storica ed economica.
Cosicché, il 20 maggio, lo Stefani assieme al Proposto Lombardi si recarono a Pisa a conferire con l’Arcivescovo Card. Maffi circa la visita del Duce, la nomina di Barga a città e sicuramente anche del Duomo.
Niente di eccezionale, forse anche un atto dovuto, sennonché lo Stefani pose di fronte al Cardinale la convenienza che anche ecclesiasticamente ci fosse un riconoscimento per Barga.
Da lì a poco il Proposto di Barga, con altri tre sacerdoti della Diocesi di Pisa, poté fregiarsi del titolo di Monsignore, quale Prelato Domestico di Sua Santità “Durante Munere”, cioè il titolo era dato alla propositura e se ne fregiava il suo rettore.
Saputo della nomina, era la sera del 22 luglio 1930, tutte le campane delle chiese di Barga suonarono a festa e il Comune fu illuminato.
Una foto ingiallita dal tempo ci mostra il Proposto Lombardi, in mezzo a tanta gente, in posa sul primo rialzo dei “pratetti” del Fosso con il mantello purpureo, allora prerogativa dei monsignori. Poco distante Morando Stefani, che pare assorto ad altre geniali intuizioni in favore di Barga. In basso la data 27 luglio 1930, poco sopra di essa: Barga Città.
Nel 1932 arrivò al Comune di Barga il Decreto della nomina di Barga a Città firmato dal Re Vittorio Emanuele III e Mussolini.
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(1) – Nel testo, a proposito della nomina di Barga Città, abbiamo detto: “… quasi un niente di grande valore morale che inorgoglì i barghigiani in patria e all’estero, perché fu il capo del Governo Italiano”…
Chi è un poco addentro alla storia di Barga pensiamo abbia già capito il senso dell’asserzione, comunque, per una maggiore comprensione a tutti, procediamo a renderla più chiara.
Barga all’epoca che fu elevata a Città si trovava nel pieno di una situazione di declassamento sociale ˗ con echi e reali aspetti che durano ancora oggi ˗ il cui culmine era stato la soppressione del Mandamento che risaliva ai primi anni dopo il 1920. Una negatività che affondava le radici alla prima metà del sec. XIX, esattamente al 1847, quando il Ducato di Lucca fu incorporato nel Granducato di Toscana, e la fiorentina Barga entrò a far parte del Compartimento di Lucca annessa ad uno dei tre Distretti componenti lo stesso Compartimento. Infatti, Barga subì la perdita di tutti quei consistenti privilegi goduti sino allora quale enclave dello stesso Granducato insinuata nei possedimenti lucchesi e modenesi: sgravi fiscali, canone del Monte di Gragno, tratta di Lucca, estensione del territorio comunale al di là dell’Alpe sino alle Tagliole, con la tutt’altro che indifferente perdita del suo stato di Vicaria del Granducato, che equivaleva a dire graduale perdita di quegli uffici concessi da Firenze per la sua particolarità di enclave che, per la loro completezza, da secoli la omologavano ad una sorta di piccolo stato.
Da quel 1847 i confini del Granducato di Toscana compresero tutto il lucchese sino alla Garfagnana Estense. Sulla sponda sinistra del Serchio il limite fu il Comune di Barga, mentre per la destra del fiume Borgo a Mozzano. Da allora ebbe inizio per Barga un inevitabile stato di malessere sociale, acuito dalla non concessa dirigenza del Distretto Lucchese che comprendeva, oltre a Barga, Borgo a Mozzano, Bagno a Corsena, Pescaglia e Coreglia. Infatti, nonostante Barga avesse fatto il suo appello al trono granducale, adducendo essere il suo Comune la piazza più importante da Lucca sino a Modena e in antico capoluogo di tutta la Garfagnana ˗ leggi al tempo di Federico Barbarossa e poi di Gregorio IX, sec. XII e XIII ˗ per capoluogo fu scelto Borgo a Mozzano. Vedi “Come la politica del sec. XIX tracciò l’attuale Unione dei Comuni della Valle del Serchio” – L’Archivio del Barghigiano 2011, Barga.
In cambio di tutta questa somma negativa occorreva qualcosa di positivo per Barga, un messaggio di speranza. Cosa? Forse non lo sapevano neanche i maggiorenti Barghigiani; poi, all’improvviso ravvisato nella nomina di Barga a Città; quel significativo riconoscimento che, almeno moralmente, poneva il Comune al di sopra di tutti i comuni della Valle e al tempo stesso nobilitava la millenaria storia della Terra, appunto, abbiamo detto: quasi un niente di grande valore morale, a cui aggiungiamo, e di speranza.
la documentazione fotografica è tratta bargarchivio di Cristian Tognarelli