Cinquant’anni fa usciva nelle sale italiane “Africa addio”, lo scandaloso e scioccante film documentario di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. “Questa è la storia più brutale dell’Africa di oggi!”, “Ogni scena ti guarda dritto negli occhi … e ti sputa!”, erano solo due dei tanti lanci ad effetto usati per promuovere il film. Anche se il lavoro di Jacopetti e Prosperi non aveva bisogno di pubblicità. Ne aveva avuta in abbondanza grazie a un caso mediatico- giudiziale: dopo che alcune delle prime riprese erano state sequestrate per “per strage”, un articolo di Carlo Gregoretti su “l’Espresso” aveva accusato Jacopetti di aver “costruito” molte scene, con uno spietato cinismo volto a fare spettacolo, sino ad ordinare e ritardare, addirittura, l’uccisione di un ribelle. Processato per concorso in triplice omicidio, Jacopetti sarà assolto. Ma da quel momento nascerà la sua “leggenda nera”.
Grazie anche a questa involontaria pubblicità, alla nomea dei precedenti film (“Mondo Cane” e “La Donna del Mondo”), l’opera avrà un successo planetario. Distrutto dalla critica prezzolata, amato dal pubblico, difeso da uno zoccolo duro di appassionati nel corso degli anni; ora, i cinque decenni passati dall’uscita nelle sale ci restituiscono un film-documentario di straordinaria potenza visiva, arricchito e reso ancora più maestoso dalla efficacissima colonna sonora di Riz Ortolani (un grande dimenticato e, spesso, sottovalutato della musica per cinema italiana, che per questa colonna sonora si ispira, addirittura, ai films animati di Walt Disney) e dalla bellissima sigla iniziale animata dei fratelli Pagot. Un’animazione, come ha avuto modo di sottolineare il critico cinematografico Tatti Sanguineti, “geniale, unica e irripetibile”.
Come era nata l’idea del docu-film, lo ricordava Jacopetti alcuni anni prima di morire: “Un giorno, all’inizio degli anni Sessanta, mi arrivò una lettera di un amica dall’Africa che mi diceva che il continente si stava trasformando, tutto stava finendo. Mi colpì così tanto che ebbi subito l’intuizione di “Africa addio”, un film in cui abbiamo colto un momento preciso nel tempo: il cambiamento brusco, brutale e improvviso di un continente. Un addio ai miei sogni giovanili di un Africa d’avventura, d’esotismo, d’evasione, di belve feroci e di cose che non esistevano. Mi è costato fatica e dolore, però, “Africa addio” rimane il film al quale tengo più di tutti perché unisce spettacolo, politica e costume”.
Il film gli era costato, in rischi e sacrifici, veramente tanto: tre anni in giro per tutta l’Africa rincorrendo fatti e attualità. In viaggio su mezzi scassati o su piccoli elicotteri malmessi. Spesso cercando di non farsi notare, nascondendo la macchina da presa all’interno di case o barche. E poi una ferita da arma da fuoco: a un certo punto della pellicola, si vede, infatti, Jacopetti sanguinante. Nulla, però, in confronto al rischio di una fucilazione! Jacopetti e Prosperi, racconteranno in seguito, erano già al muro con davanti il plotone d’esecuzione che aveva caricato i fucili quando arrivò un giovane ufficiale di colore che gridò: “non sono bianchi (nel senso di “inglesi”, ndr), sono italiani!”. Salvi per un soffio.
Ci sarebbe molto da analizzare e da discutere su questa pellicola, per molti, controversa, ma in questo cinquantennale è da segnalare l’uscita di un poderoso, e da ora in poi fondamentale, volumone edito dalla lombarda Mimesis dall’appropriato titolo “Jacopetti files”. Ne sono autori Fabio Francione e Fabrizio Fogliato. Li abbiamo incontarti.
Fabio Francione, vive e lavora a Lodi. Scrive di cinema, teatro, musica per “il Manifesto”, cura la collana Viaggio in Italia delle Edizioni Falsopiano, ha fondato il Lodi Città Film Festival. Tra i suoi ultimi libri, l’uscita in edizione francese de La mia magnifica ossessione di Bernardo Bertolucci (2015), la curatela della nuova edizione di Volgar’eloquio di Pier Paolo Pasolini (2015); Pasolini sconosciuto (n.e. con supplementi, 2015) e Giovanni Testori. Lo scandalo del cuore (2016).
Fabrizio Fogliato, critico e saggista cinematografico. È Coordinatore Didattico e docente di Arti Visive presso il Centro Formativo “Starting Work” di Como. È curatore di rassegne cinematografiche sul territorio lombardo. Ha dedicato libri e studi ad Abel Ferrara, Michael Haneke, Paolo Cavara e Luigi Scattini e sta indagando il cinema sommerso e censurato con i volumi di Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano (2015). Gestisce un blog: fabriziofogliato.wordpress.com
Da cosa è nata l’idea di questo libro?
Fabio Francione: “L’idea viene da lontano. Almeno una decina di anni fa è stata pensata e avrebbe riguardato esclusivamente i film di Jacopetti (e Cavara e Prosperi) da proporsi come retrospettiva integrale all’interno del Lodi Città Film Festival. Mi resi subito conto che i tempi non erano maturi e accantonai tutto. Poi uscirono di seguito le monografie di Loparco su Jacopetti, di Fogliato su Cavara e dello stesso Cavara, la sceneggiatura de L’occhio Selvaggio a cura di Pezzotta e quel progetto che aveva già la forma del libro, cominciò a camminare come retrospettiva”.
Fabrizio Fogliato: “Oltre a quanto detto da Fabio credo sia opportuno aggiungere che “Jacopetti Files” è frutto di una ricerca decennale condotta da noi due in sincronia. Come se il libro fosse già presente – come progetto – nella nostra testa e necessitasse soltanto di trovare la giusta forma e dimensione”.
Leggendolo e sfogliandolo si capisce, sin dalle prime pagine, che il vostro non è un libro su Jacopetti, sbaglio?
Fabio Francione: “No, non sbagli. Il nostro lavoro è il tentativo di biografare un genere: il mondo movie, inventato da Jacopetti con “Mondo Cane” nel 1962 e portato a conclusione da Prosperi con “Wild Beast” nel 1984. Con Fogliato abbiamo scelto diciotto film e al loro interno si possono comprendere tutti i movimenti, i litigi, le diaspore, ma anche le consonanze tra uomini diversi tra loro ma convinti di fare buon cinema. Con loro abbiamo scoperto anche il cinema dei fratelli Castiglioni che però del mondo movie prendono solo l’aspetto economico-commerciale, il produttore è lo stesso dei film di Jacopetti, cioè Rizzoli, ma la loro ricerca è indirizzata verso l’etnoantropologia e non la spettacolarizzazione, anche della crudeltà degli uomini”.
Fabrizio Fogliato: “Assolutamente no! E’ il ritratto di un’esperienza unica e irripetibile nata a seguito di tutta una serie di coincidenze riuscendo a riunire temporaneamente attorno ad un progetto un manipolo di “avventurieri” d’altri tempi: spregiudicati, irriverenti e maledettamente coerenti che hanno dato vita a qualcosa (“Mondo Cane”) di cui anche nel più dimenticato villaggio del pianeta hanno sentito parlare. Poi la diaspora, artisticamente, ha restituito ad ognuno il posto che meritava”.
Ricordando che per chi vuole una biografia c’è l’altrettanto validissimo, “Gualtiero Jacopetti. Graffi sul mondo” di Stefano Loparco, ci potete spiegare come avete strutturato il libro?
Fabio Francione: “Abbiamo prima suddiviso i film in files, poi abbiamo reperito tutto il materiale edito pubblicato al tempo dell’uscita di ogni film, siamo andati ad intervistare i sopravvissuti al periodo e abbiamo inserito materiale scritto appositamente per il libro e recuperato alcuni articoli che ad esempio io avevo pubblicato sul quotidiano per cui scrivo, il manifesto”.
Fabrizio Fogliato: “Abbiamo agito come dei sarti: un’opera di taglio e cucito che – nella sua concezione – trae ispirazione dal “Cut-Up and Fold-In” di William S. Borroughs”.
All’estero il cinema di Jacopetti è apprezzato e unanimemente conosciuto. In Italia è ormai quasi dimenticato, come mai?
Fabio Francione: “In Italia, Jacopetti non è dimenticato. Un gruppo di affezionati (pure troppo) ha cercato di far uscire il giornalista-regista dalle secche ideologiche in cui si era impantanato, anche da vivo. Nel libro abbiamo cercato invece di ricontestualizzare l’epoca rendendo protagonisti i film e il cinema, non gli uomini che un loro grado di spregiudicatezza l’avevano e non poco”.
Fabrizio Fogliato: “Perché questo è il paese dei Guelfi e Ghibellini. E’ un fatto puramente ideologico. All’estero si guardano tutta una serie di altre cose e lo dimostra il fatto che gran parte del cinema che si produce dal 1965 in poi, in tutto il mondo, è debitore dell’esperienza di “Mondo cane”. Guardi qualunque film e il mondo movie spunta all’improvviso e tu non puoi che rimanere esterrefatto di fronte a ciò che quel film rappresenta: l’innovazione linguistica che, nel tempo, ha generato persino Youtube”.
Qual’è, secondo voi, il film più importante di Jacopetti?
Fabio Francione: “Senza alcun dubbio “Africa Addio”. Come detto ed è scritto in apertura dell’introduzione, Africa Addio è il capolavoro della ditta Jacopetti Prosperi. A mio avviso, 50 anni dopo le accuse di razzismo, il processo che ne è seguito (ci sono documenti inediti nel libro e non mi ci soffermo), si comprende come quest’opera dialoghi con poeti, giornalisti, scrittori del calibro di Pasolini, Corradi, Moravia. Ma ci sono voluti 50 anni per capirlo, quando gli steccati ideologici che ne impedivano la visione e la messa in relazione con altre opere non erano ancora caduti”.
Fabrizio Fogliato: “Concordo. Voglio però sottolineare la modernità – provocatoria, sgradevole, astuta e infingarda – di “Addio Zio Tom”, per quanto mi riguarda vera summa teorica dell’arte jacopettiana”.