Mi ha fatto grandissimo piacere ricevere dal sindaco Avv.to Tamagnini, l’ invito a portare un contributo a questa giornata dal carattere tutto speciale per Villa Collemandina – come per la Valle – nel momento in cui il Comune torna ufficialmente in possesso di un documento storico di straordinario fascino, quale la settecentesca carta dei confini tra Villa e Castiglione. Ovviamente, oltre al significato espresso, mi pare scontato il piacere per l’ attenzione all’ autore di questa carta e quindi alla memoria dell’ avo Domenico Cecchi.
Quando nel 1712 Domenico Cecchi consegnava ai committenti la carta che stamani stiamo ammirando, viveva tranquillamente in Castiglione, dove da qualche anno aveva messo su famiglia, e nel bene e nel male forse non presagiva il futuro che lo aspettava. La casa abitata parrebbe essere stata, guardando, quella attaccata sul fianco sinistro del Comune di Castiglione.
La moglie: Maria del caporale Piero Giovannoli di Castiglione, era incinta del loro terzo figlio: Pietro Lunardo, il quale nascerà il 30 dicembre di quell’ anno; questi col tempo sarà avviato a seguire le orme del padre, divenendo anch’ egli un valido perito agrimensore che presterà il suo servizio per il Comune di Castiglione.
In quel periodo i Cecchi della mia linea avevano il pallino delle carte in quanto anche il figlio di Pietro Lunardo, Ascanio, eserciterà l’ arte del perito agrimensore e sempre per il Comune di Castiglione.
Gli avi di questa serie dei Cecchi, Lunardo e Domenico, erano dei bravi muratori che a capo di una propria impresa eseguirono lavori in diverse parti della Valle e tragicamente terminarono i loro giorni terreni nel solito modo. Domenico, il nonno del cartografo, trovò la morte nel gennaio 1662 cadendo da un’ impalcatura durante i restauri della chiesa di S. Pietro di Castiglione. Mentre il figlio Lunardo, durante i lavori dell’ ampliamento dell’ Oratorio della Madonna in Castelnuovo per farne una chiesa, il 3 giugno del 1715 “si strappò una liga di ferro e morìâ€.
Quest’ ultima notizia è stata tratta dal suo atto di morte consevato nell’archivio di S. Michele di Castiglione ed è molto interessante per la storia della chiesa della Madonna di Castelnuovo, in quanto, da una mia piccola e superficiale ricerca con l’ aiuto della sacrestana della chiesa, non abbiamo trovato notizie sul periodo, c’ è apparentemente un vuoto di memorie, che potrebbe essere colmato da ciò che ho riferito.
L’ anno della carta, il 1712, ci dice ancora che Domenico Cecchi è impegnato con l’Opera di S. Michele e che per fresca nomina ne è diventato l’ Operaro, un impegno che mantenne fino al 1716.
A questo punto, dato che abbiamo accennato ad un “excursus†familiare, penserei interessante ridire della genesi del cognome Cecchi in Castiglione.
Nel corso del 1500 ad occidente di Castiglione, nel piccolo villaggio di Carpineta, viveva con la sua famiglia un certo Francesco figlio di Morotto, dal popolo appellato “Cecco di Carpinetaâ€. I suoi figli, di cui tre maschi: Antonio, Luca e Mariano, iniziarono ad essere identificati come i figli di “Cecco di Carpineta†e quel “Cecco†si tramutò in Cecchi e così rimase ai discendenti, tre grandi rami genealogici tuttora esistenti, i quali si sono diffusi nella valle, in Italia e nel mondo.
Da Antonio di Cecco di Carpineta, come detto, tramite i maestri muratori Domenico e Lunardo, discende il cartografo Domenico, l’ importante e singolare personaggio che stamattina stiamo ricordando.
L’ importanza, le fortune e parte della singolarità del Cecchi è data dai risultati della sua professione di perito agrimensore (oggi geometra) e di architetto, consistenti in lavori di pregevole fattura che rasentano la grafica artistica: Estimi e Terrilogi unici al sua tempo per maestria e bellezza. Carte corografiche della Garfagnana, mappe di confini (tra cui quella che stiamo ammirando), carte della fortezza di Castiglione, ecc. Tutto un insieme di ottimi e ingegnosi lavori che ce lo consegnano e lo collocano tra i migliori figli della sua Castiglione e della Valle.
L’ altra parte della singolarità del personaggio ci viene dalla conoscenza della sua vita, tormentata da gravi disavventure che lo consiglieranno ad allontanarsi dalla Vicaria di Castiglione in un forzato esilio, in quanto, così come egli stesso ci racconta nelle sue memorie, fu vittima di vessazioni persecutorie.
I dispiaceri ebbero inizio col suo primo Terrilogio, precisamente quello dell’ Opera di S. Michele di Castiglione del 1713, nel momento in cui dovette mettere nero su bianco la situazione dei confini e dei “Livelli†dei beni censiti. Nel suo sia pur corretto agire ottenne un duplice e contrastante risultato: l’ Opera che tornava padrona indiscussa dei suoi beni e di converso la dichiarazione di avversità di coloro che in mancanza di precisi ricordi agivano da sfruttatori. In altre parole si fece un ottima reputazione di bravo perito ma anche dei nemici giurati.
Simili beghe le ritrovò nel comporre l’ Estimo dei beni del Comune nel 1714.
L’ inasprimento di quelle vicende si ebbe proprio in quel 1714, quando l’ allora sergente Domenico Cecchi fu chiamato a fare parte del Parlamento della Vicaria Lucchese di Castiglione, tempo in cui si stava trattando di vendere i beni della comunità per ripianare un debito seicentesco contratto col governo centrale di Lucca. Profondo conoscitore di ogni “segreto†di quei beni, da uomo volitivo qual’ era, si scontrò col commissario Niccolini perché aveva scoperto che si stavano tramando delle truffe in danno del tanto amato Castello e degli abitanti della Vicaria: svendita dei migliori beni: terre e selve, al prezzo voluto dalla maggioranza dei consiglieri perché gli stessi erano interessati all’ acquisto.
Il Niccolini gli proibì la pubblica “ringhieraâ€, cioè di parlare in Consiglio sull’ argomento ed anzi, per le accuse di truffa in danno della comunità , gli si aprirono le porte del carcere. Poi…poi il Governo Lucchese dovette sancire che mai più si ardisca togliere la parola ad un consigliere di Castiglione, ma ormai la civile armonia, apparentemente sanata, si era rotta.
I fatti successivi, sino all’ esilio del 1728 per non finire i suoi giorni in carcere, ne sono la testimonianza: il Cecchi era diventato scomodo e la sua presenza in Castiglione turbava il “quieto vivere della Repubblicaâ€. Infatti, allorché crebbe la sua reputazione di ottimo e libero professionista, libero anche nel senso del raggiungimento del risultato auspicato dal committente, e perché richiesto inizia a varcare i confini della Vicaria Lucchese per esercitare la sua arte nello Stato Estense, il gioco dei suoi nemici si agevola. Fu accusato di aver fatto delle carte a favore di Modena e vennero fuori allora, dice il Cecchi, testimoni “menzogneri†che deposero contro di lui anche per altre accuse.
C’ è una lettera molto significativa del clima che c’ era intorno al Cecchi durante l’ esilio e di quanto potesse rendere una spiata dei movimenti che egli effettuava nello Stato Estense. Succintamente un castiglionese riferisce a Lucca che ha visto il Cecchi muoversi in una certa direzione, poi in finale di lettera presenta il suo conto per tanta notizia, cioè che si faccia attenzione a quel suo particolare interesse, ecc.
Per una maggiore conoscenza di queste vicende suggeriamo una lettura del libro che si è stampato nel 2007: “Domenico Cecchi da Castiglione – cartografo e agrimensore del sec. XVIIIâ€, in cui si può leggere il pro e il contro nei suoi confronti e nel C.D. allegato riscoprire i suoi lavori e le “Informazioni†che fu costretto a scrivere per cercare di redimere il suo stato di esiliato, oltre alle lettere dell’ epoca che parlano di lui.
Ora è tempo di dare qualche altra notizia biografica sul personaggio e intanto possiamo dire che Domenico, secondo genito ma primo figlio maschio di M° Lunardo di Domenico Cecchi e di Giovanna Morganti, fu battezzato in S. Michele di Castiglione il 1° ottobre 1678. All’ epoca tra la nascita e il battesimo poteva correre la differenza di un giorno.
Per quanto riguarda la sua professione si ritiene che imparasse l’ arte dal compaesano G. B. Pieri, altro cartografo castiglionese che per vivere faceva il cerusico.
Comunque ci sono indizi che ci portano a credere che avesse compiuto degli studi di un certo livello. Quanto asserito si evince dal frontespizio del libro “Lucimetro†( tratta della misurazione della luce), edito in Padova nella stamperia di quel Seminario nel 1707, infatti il Cecchi si firma “Geometra e Architettoâ€.
Il libro fu dedicato al celebre scienziato di Trassilico Antonio Vallisneri, allora professore in Padova, e questa attenzione del Cecchi ci induce a pensare che tra i due garfagnini ci sia stato un certo tipo di rapporto, forse avvenuto proprio in quella città ; rapporto che parrebbe confermarsi, oltre che per la dedica, con l’ edizione del libro del Vallisneri “Esperienze e Osservazioni†del 1726, infatti i due libri furono licenziati dalla solita stamperia e sono, in tutto, simili nella veste tipografica.
Domenico, dopo una presunta vita di frate, nel 1707-08, sui trent’ anni si sposa con Maria Giovannoli e con lei ebbe sei figli.
Da questo momento inizia a vivere con passione la vita del suo Castello. Nel 1712, anno della carta, è Operaio di S. Michele e procedette ad abbellire la chiesa col concorso dell’ allora rettore Giuseppe Guazzelli, realizzando la balaustra in pietra tuttora esistente. Nel 1713 compila il Terrilogio dell’ Opera della stessa chiesa.
Nel 1714 entra nel Parlamento di Castiglione ed hanno inizio quelle disavventure testé ricordate.
Della sua professione, per sommi capi, diremo che nel 1718 disegna una prima carta corografica della Garfagnana che lo fa apprezzare per capacità e competenza. Nel 1725 si cimenta nelle belle e suggestive carte del progetto di ristrutturazione e armamento della fortezza di Castiglione.
Nel 1727 è Camerlengo del Comune e al termine del suo mandato si avrà l’ inizio di quel calvario che lo porterà all’ esilio. Qualcuno non aveva saldato il Comune del dovuto e al Cecchi rimase il debito e congelato il suo credito. Poi nel 1728, come egli ci dice, fu ad arte accusato di aver fatto delle carte a favore di Modena, la posizione si aggrava, e l’ unica strada fu l’ esilio.
Nel 1728 arriva a Castelnuovo, dove trovò la morte nel 1715 il padre Lunardo, ed è accolto con grande rispetto e qui consegue la patente di perito agrimensore per la Garfagnana e, sempre in questo anno, realizza in loco il bel Terrilogio dei beni del Monastero di S. Bernardino.
Dopo Castelnuovo giunge a Barga ospite nella canonica del proposto e vicario foraneo Carl’ Antonio Manfredini, il quale lo aveva contattato per due Terrilogi: uno quello della Propositura e l’ altro del Capitolo dei Canonici del Duomo, rispettivamente datati 1728 e 1729. A Barga vi rimase quasi due anni.
Intanto la sua posizione si va facendo sempre più critica ed allora accetta un incarico lontano dalla Garfagnana e si trasferisce a Modena. Prosegue la sua professione e gli viene affidato l’ incarico di Tenente alle porte e poi di Alfiere. In questi anni esegue la sua seconda carta corografica della Garfagnana, 1733, e altri lavori.
La sua famiglia è sempre in Castiglione e vive momenti gravosi, tanto da essere indotta, onde sostentarsi, a lasciare temporaneamente quel Castello per raggiungere l’esiliato.
Ma il desiderio più grande del Cecchi, nonostante avesse una buona posizione economica, era quello di poter fare ritorno, con tutti i suoi diritti, al tanto amato paese, anche per poter salvare i suoi beni confiscati. Inizia a tessere tutta una serie di contatti e inoltra più richieste di grazia, ma queste non trovarono mai il giusto ascolto. La prima fu del 1736 e per mostrare tutta la sua buona volontà lascia anche i sospettabili incarichi di Modena, così come gli si prospettò per rivedere il suo caso. Ma i tramatori contro l’ ebbero vinta ed ebbe solo un salvacondotto.
Intanto è tornato in Garfagnana, forse alla Pieve, e riprende il suo assiduo lavoro nei Terrilogi. Nel 1736 ne compila uno per la chiesa di S. Michele di Valico di Sopra, 1737 per l’ Opera di S. Pietro di Castelnuovo e per Cerretoli. Torna anche a Barga nel 1741 per il Terrilogio dei beni dei frati di S. Agostino, in cui realizza il bellissimo prospetto del loro monastero oggi disfatto. Poi è la volta dei due lavori di Pontecosi, 1742-43: chiesa e opera e dei simili per Sambuca e Villetta del 1743. Negli ultimi lavori il suo stile è ancora più raffinato, tanto da potersi definire in tutti i sensi artistico. Continua intanto colle sue richieste di grazia, fino all’ ultimo tentativo del 1741, quando in una “Informazioneâ€, seguita da altre due, dettava tutte le prove delle sue vessazioni e della sua innocenza.
Vive alla Pieve, in terra Estense, ed ogni mattina si guarda da poco distante la sua Castiglione per poi riprendere il filo della sua grande e straordinaria passione, fino alla sera del 15 ottobre 1745, quando il suo cuore cessò all’ improvviso di battere. Aveva 67 anni e fu sepolto la mattina seguente nell’ oratorio di S. Giuseppe, vicino alla pieve di S. Giovanni.
Termino questo mio intervento col fare i miei modestissimi complimenti a tutti coloro che si sono impegnati nel reperire questa importante mappa, complimenti che pongo nelle mani del sindaco Tamagnini, che nuovamente ringrazio per avermi concesso l’onore di parlare dell’ avo Domenico.
Ma non posso dimenticare il caro sindaco Francesco Giuntini che da buon amministratore e soprattutto da buon castiglionese ha capito che bisognava rendere alla sua Terra e alla Valle la memoria di Domenico Cecchi e c’ è riuscito egregiamente.
Per il Cecchi è scaturita una sorta di sana gara culturale, si fa per dire, a chi poteva portare notizie sul cartografo. Un impegno che ha prodotto tante novità e che ha visto il concorso di tante belle figure culturali, molto meno il sottoscritto, tra cui il maestro Mariano Verdigi, il Prof. Luigi Lucchesi, da sempre estimatore dell’ opera del Cecchi, Sauro Guazzelli, ecc. Volutamente per ultimo lascio Samuele Cecchi, il grande ispiratore della rivalutazione di Domenico Cecchi.
Scendendo sul piano personale, di Samuele devo dire, che è grazie alla sua disponibilità se oggi sono qui a parlare dell’ avo Domenico e desidero ripetere la storia del nostro primo incontro. Sul luogo di lavoro incontravo spesso l’ amico Mario Cecchi, nipote di Samuele, che sapevo nativo di Castiglione. Scherzando gli ripetevo: va a finire che siamo parenti perché il mio nonno, un Cecchi, era di Castiglione. Un giorno mi disse che un suo zio aveva ricostruito tutta la discendenza dei Cecchi di Castiglione. Bene! ti scrivo il nome del mio nonno e tu faglielo vedere. Passava il tempo ma la risposta non veniva, finché un giorno mi mise di fronte un foglio con su scritti una filza di nomi: ecco i tuoi antenati, però ha detto lo zio che vuole conoscerti perché dice sei discendente del cartografo Domenico Cecchi.
Da allora siamo diventati amici e collaboratori nelle ricerche sui Cecchi. Caro Samuele, ancora una volta desidero dirti grazie per tutto quanto hai voluto e saputo fare. Percepivo da certi ricordi di fanciullo, dai racconti uditi di mio padre Elfo, che c’era qualcosa d’ importante nella storia della mia famiglia, ma senza di te sarei sempre lì ad averne il desiderio di conoscerla.
Poi ci sono state le mostre, il concorso per le scuole, il libro, e frequentando Mariano Verdigi, ricorrendo a Don Angelini e soprattutto collaborando con Samuele, col quale ho passato ore e ore nell’ archivio parrocchiale di Castiglione, ho potuto studiare, capire il personaggio e ritessere la storia della mia famiglia.
Da Castiglione oggi siamo a Villa Collemandina. Il tratto è naturalmente breve e ci resta incredibile pensare che tra i due Paesi passasse un confine di Stato e che si rendesse necessaria la mappa aggiornata e riveduta del confine. Al tempo del Cecchi era così e chissà quanta difficoltà ebbero quei nostri antenati a farsene una convincente ragione,
8th March 2008