Il Misantropo – Molière traduzione di Mario Perrotta regia di Mario Perrotta con Marco Toloni, Lorenzo Ansaloni, Mario Perrotta, Paola Roscioli, Donatella Allegro, Giovanni Dispenza, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano.
L’allestimento, particolare perché guarda all’attualità citando i protagonisti della nostra cronaca, è quello per la regia di Mario Perrotta (sua anche la traduzione) con Marco Toloni, Lorenzo Ansaloni, lo stesso Mario Perrotta, Paola Roscioli, Donatella Allegro, Giovanni Dispenza, Alessandro Mor, Maria Grazia Solano
La storia del “Misantropo” moleriano sembra infatti perfetta per descrivere i nostri tempi.
Una scena quadrato (ring), otto sgabelli precari, costumi coloratissimi con attori che non escono mai di scena, tutti con uno specchio simbolico in mano: stupida e vuota estetica, ma anche il mezzo per vedersi nelle fattezze, nei difetti dell’altro, rinnegandolo, bloccandone l’arrivo nel proprio spazio vitale come la paletta della polizia stradale, come un divieto di transito.
E l’ingiustizia urlata da Moliere per i malaffari ed i personaggi viscidi e sordidi del proprio tempo diventa in Perrotta non una violenta presa di posizione, ma un continuo e leggero dileggio nei confronti di icone che nel nostro deturpato Bel Paese fanno tendenza e moda e creano seguiti, a tratti anche infarcendosi la bocca con parole sacre come “cultura” e “politica”.
In questo paniere stanno le rime dal sapore goliardico, stilettate sobrie, che tirano in ballo la Carfagna e il Vecchio Cavaliere, “i tacchi non danno la statura per governare un Paese”, come Maria De Filippi, Ignazio La Russa e l’“equilibrista” Casini, Alba Parietti “sembra che sia in calore in tutte le stagioni”, D’Alema, il Tartufo-Vespa “il cortigiano che bussa a Porta a Porta”.
Il rigetto che accomuna l’autore francese e Perrotta è un vomito contro le veline e il berlusconismo, i figli di papà, le falsità, l’ipocrisia, la malizia, la compiacenza, l’imbroglio, la frode, la corruzione, morale e materiale, la furbizia, gli adulatori, i leccapiedi dalle lodi sperticate, un mondo dove “è un vanto non aver mai letto un libro”.
La beffa è che poi ognuno di noi, in teoria, è d’accordo nel condannare questo sistema di disvalori, poi, nel nostro piccolo, possiamo cedere, magari acconsentire, chinare la testa o voltarla da un’altra parte
“C’è memoria del teatro del primo Mario Perrotta negli otto personaggi che egli dissemina su sgabelli nel vuoto. C’è la politica, c’è sana denuncia. E c’è ritmo e senso.”
Rodolfo Di Giammarco – La Repubblica
“Perrotta mette da parte, con coraggio, il successo degli assoli e passa a un Molière corale per otto attori. Traducendo, aggiornando al contemporaneo i riferimenti nel testo, lavorando all’attualità politica di un Misantropo che si fa “militante dell’etica”.”
Rossella Battisti – L’Unità
E’ nello scontro tra Alceste (il misantropo) e Oronte (l’uomo di potere) che ravviso una possibile chiave di lettura del testo. E’ lì che esplode il massimo abuso, dando segno di una società talmente malata di potere e di rapporti di interesse, da giustificare, al limite, la misantropia del protagonista, liberandolo dall’etichetta classica di “caso clinico”.
Ma non solo Alceste e Oronte: tutti i rapporti tra i personaggi di questa farsa tragica sono schiacciati verso il basso dagli obblighi sociali e da un aleggiante timore della ritorsione (la denuncia, il processo, l’esclusione dalla “corte”), salvo poi deflagrare violentemente nel finale. Alceste diviene così un militante dell’etica, un “resistente” in un mondo talmente lontano dalle sue istanze da condannarlo irrimediabilmente alla sconfitta.
Rapporti di potere e col potere: niente di più vicino a noi. Sembra paradossale, ma la società del Re Sole, asfittica e autoreferenziale, riguarda strettamente la nostra società globalizzata. Un’indagine sul potere, sulle sue malattie. Un’indagine sull’amore: amore che diviene impossibile quando assume, anch’esso, la smorfia terribile di un esercizio di potere.
Il Misantropo è la prima parte della Trilogia sull’individuo sociale. “Individuo sociale” è una contraddizione in termini: un’utopia, una condizione limite a cui tendere. E’ sufficiente l’incontro/scontro con l’altro per mettere in crisi i confini della nostra individualità – e questo lo sappiamo bene tutti. Ed è questa lacerazione tra le proprie istanze e quelle dell’altro che ci governa continuamente, nel nostro agire quotidiano e nella nostra evoluzione di razza umana. Eppure tutti vorremmo essere animali sociali, tutti vorremmo vedere il trionfo definitivo della giustizia, dell’equità e della solidarietà.
Il vero guaio è che ognuno – ogni individuo – ha un concetto tutto suo di giustizia, di equità e di solidarietà. E siamo di nuovo al muro contro muro: individuo contro individuo.
La trilogia verterà su tre testi: Il misantropo di Molière, I cavalieri di Aristofane, Bouvard e Pécuchet di Flaubert, tre farse violente – o grottesche tragedie – per rispondere ad un interrogativo: siamo per natura individualisti o animali sociali? – Mario Perrotta