“A Roma la radioattività è più alta di Chernobyl. Ciò è dovuto al Th (torio) contenuto nei sampietrini, ma non c’è nessun rischio per la salute degli abitanti. Se dovesse arrivare una nube radioattiva sull’Italia, i romani sarebbero già vaccinati. Vivendo in una zona radioattiva, infatti, il loro corpo è abituato”. Lo ha dichiarato il segretario del Comitato Italiano Rilancio Nucleare (Cirn), Giorgio Prinzi, ingegnere esperto nel campo del nucleare. Prinzi, confermando quanto dichiarato dal ministro della Salute Fazio, fornisce un dato che risulta sorprendente ai non addetti ai lavori. “A Roma, dove ci sono i sampietrini – afferma – la quantità di radioattività è superiore a quella presente nella zona rossa di Chernobyl. Se a Chernobyl la zona rossa registra un valore di 500 mrem (millirem, la misura della dose di radiazioni necessaria a produrre un effetto biologicamente dannoso), in tutti i lastricati di Roma messi insieme si raggiungono gli 800 mrem, a causa dei sampietrini che contengono Th (torio)”.
Ci può fare qualche esempio?
“Nelle catacombe di Priscilla, a Roma, si arriva a 4800 mrem – dice Prinzi – mentre la Stazione di New York, che è stata costruita quando ancora non erano stati studiati i fenomeni della radioattività, ha 1000 mrem, cioè il doppio di Chernobyl”.
Cosa può dirci del fenomeno dell’ormesi cioè della capacità di resistenza a radiazioni ad intensità anomale?
“Questo livello di radiazioni a Roma non rappresenta un problema per la salute. Non ci sono incidenze anomale, rispetto alle medie, di neoplasie o mali. Anzi. C’è un fenomeno che si chiama proprio ‘ormesi’: è un po’ la storia di Mitridate, quel re che si premuniva contro il veleno assumendone piccole dosi. Qui funziona alla stessa maniera. Se L’Italia venisse investita da una nube dal Giappone, insomma, i romani sarebbero ‘vaccinati’, avendo familiarità con livelli più alti della media che migliorano la specifica resistenza immunitaria dell’organismo”.
Secondo Prinzi “non arriverà mai la nube dal Giappone. “I rilasci – afferma – sono stati a bassa altezza quindi la ricaduta è vicina al reattore e coinvolge un’area più ristretta. Fortunatamente i venti spirano verso l’oceano”. “In ogni caso – continua – è meglio non mangiare pesce che arriva dal Giappone. Anche se è ancora presto per capire i rischi da questo punto di vista, bisogna sempre prendere tutto con le molle. Intanto da un’Ansa si è appreso che in Giappone sono stati vietati la commercializzazione ed il consumo di latte e spinaci prodotti nelle immediate vicinanze della centrale nucleare questo conferna la mia ipotesi sul fatto che la ricaduta della radioattività sia avvenuta su un’area ristretta”. Inoltre “Sono pari allo zero le importazioni in Italia di latte e spinaci provenienti dal Giappone dove sono stati riscontrati livelli di radioattività superiori alla norma nei pressi della centrale nucleare di Fukushima. Lo rende noto la Coldiretti dopo l’annuncio del portavoce del governo giapponese, Yukio Edano, nel sottolineare che sono peraltro nulle anche le importazioni di derivati del latte come formaggi e latticini e degli altri vegetali a foglia larga particolarmente sensibili alla radioattività. Nessun rischio quindi per gli italiani mentre si aggrava la situazione in Giappone che – sottolinea la Coldiretti – è già costretto ad importare oltre il 60 per cento del proprio fabbisogno di generi alimentari e che ha esportato in Italia prodotti agroalimentari per appena 13 milioni di euro (soprattutto fiori e piante). “La radioattività presente nel latte – precisa la Coldiretti – conferma l’allarme per la contaminazione della catena alimentare a partire dall’alimentazione degli animali”. Una catastrofe che coinvolge direttamente i 3 milioni di agricoltori del Giappone ai quali il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, ha espresso solidarietà e vicinanza attraverso il presidente della potente organizzazione agricola giapponese Ja Zanchu Moteki Mamoru che era stato ospite esattamente due anni fa al ‘G8 Farmers Meeting’.
(a cura di Roberta Valeriani)