Lo dico subito: inizierò (e proseguirò) in modo inusuale. E’ inevitabile quando si deve tirare in ballo la propria infanzia.
Ero alla scuola elementare, così si chiamava all’epoca, quando andammo in gita al Castello di Nozzano. La prima e ultima volta che ho messo i piedi nel cuore del castello. Pulito, ordinato, al centro di un paesino da favola in cui regna un ordine antico, tipicamente lucchese. Ci spiegarono di guerre antiche tra Lucca e Pisa e ci indicarono delle strane mura seminascoste nei boschi sulle colline di fronte a noi. Era la Rocca di Ripafratta, quella dei pisani.
Sono passati anni prima che mettessi piede in quella fortezza, a suo modo “pisana” nel carattere: imponente ma un po’ (troppo) trascurata, magnifica ma in abbandono, solida e grande ma un po’ “sporca”. Molto diversa da quel castello pulito, lindo e ordinato che fu (ed è) dei lucchesi e proprio per questo più affascinante. Ricordo che la prima volta che ci ho messo piede c’era un ponteggio metallico attorno alla torre che campeggia al centro della Rocca. Era nuovo e sembrava presagire importanti interventi di restauro.
Non ho idea di quanto tempo sia trascorso ma oggi quel ponteggio è ancora lì, arrugginito e pericolante, ben più pericoloso di quelle antiche strutture che dovevano essere messe in sicurezza col suo uso.
Il fascino della Rocca è indiscusso e fortissimo, il suo oblio pure. Da qualche anno vi transito di tanto in tanto accompagnando turisti. Ci avviciniamo senza entrare per quel giusto compromesso che deve esserci tra godimento del nostro straordinario patrimonio storico-architettonico e sicurezza. Ogni volta, fino allo scorso settembre, mi sono trovato a spiegare l’occasione mancata racchiusa dalle mura della Rocca. Quale occasione? L’opportunità di avere una ricaduta positiva sul reddito di chi vive nella zona se la Rocca diventasse un’area archeologica visitabile. Ogni volta dovevo constatare che non c’erano iniziative per invertire quella tendenza all’oblio che era ben sintetizzata dalla possibilità di arrivare all’ingresso della fortezza senza accorgersene, per quanto era sprofondata nel verde di una flora spontanea che la stava occultando e demolendo.
L’otto settembre dello scorso anno qualcosa è cambiato: la Rocca era vistosamente oggetto di interventi di pulizia dalla flora infestante e alla stazione ferroviaria di Ripafratta campeggiava la locandina di una giornata dedicata al recupero della Rocca di Ripafratta.
In linea col destino della Rocca, ho atteso mesi prima di contattare un referente del coordinamento di associazioni denominato “Salviamo la Rocca di Ripafratta” per saperne di più.
“Ripafratta è un piccolo paese di origine medievale, poi invaso dall’asfalto, dalle auto e in buona parte dall’abbandono“, mi ha scritto in una mail. “I suoi abitanti” – prosegue – “per secoli hanno convissuto con l’imponente fortezza che li sovrastava, trovandoci rifugio, identificandosi con essa, fino a farne il loro simbolo. Amato, rimpianto, accudito.”
Anni fa c’è stato un tentativo di recupero, mi racconta, che proprio quando sembrava andare a segno è andato a monte per quei futili motivi (questo lo dico io) che maltrattano l’Italia intera: difficoltà nel reperire fondi e un difficile rapporto tra interessi collettivi e interessi privati.
Come spesso accade, toccare il fondo è uno stimolo per trovare il coraggio necessario per risalire la china e nel settembre 2011 è nato “Salviamo la Rocca di Ripafratta”. Si tratta del coordinamento delle associazioni e dei cittadini del territorio che promuove la conservazione, il recupero ed il riutilizzo dell’antica fortezza. Al movimento hanno aderito, per la prima volta tutte insieme, le associazioni del territorio: il “Comitato per Ripafratta”, la parrocchia, la sezione della Pubblica Assistenza, l’Ente Danielli-Stefanini, il circolo ARCI, il circolo ACLI, la Filarmonica Sangiulianese. Hanno aderito anche gli esercizi commerciali, che vedono nel progetto della Rocca il rilancio di un’economia che si sta lentamente spegnendo, costringendo un negozio dopo l’altro ad abbassare la saracinesca.
“La mobilitazione per la Rocca” – mi spiegano – “riguarda sempre più tutti i cittadini, che percepiscono l’ingiustizia, lo spreco, e al tempo stesso i vantaggi che tutti potrebbero trarre dal recupero del bene storico. Un tessuto sociale che tornerebbe a vivere, in perfetta simbiosi con l’ambiente di quell’ultima propaggine del Monte Pisano: sentieri, torri, eremi, un territorio unico e ancora poco conosciuto”. Non posso che concordare: è lì che come guida ambientale accompagno turisti alla scoperta di una Toscana insolita, sconosciuta e sorprendente.
“Con un evento organizzato l’11 settembre 2011, una maratona no-stop di un’intera giornata, associazioni e cittadini hanno rilanciato il tema del recupero del bene storico” – prosegue il mio interlocutore. “Un convegno, una visita guidata, una mostra, un aperitivo, una sagra e perfino un concerto rock in piazza. Una giornata storica per il paese, e non solo“, conclude.
E ora? Ora è giunto il tempo di osare di più, di mettere insieme sempre più persone, associazioni, studiosi per rendere possibile il salvataggio della Rocca e di tutto quello che significa per il territorio circostante e chi lo abita. Proprio per questo motivo “Salviamo la Rocca di Ripafratta” potrebbe costituirsi in associazione. Anche di questo si discuterà nell’incontro che si svolgerà sabato 18 febbraio alle ore ore 11 presso l’ex-Asilo Ripafratta Villa Danielli Stefanini. L’incontro è aperto a tutti.
Chiudo con una curiosità: quando ho chiesto se potevo citare il nome della persona che mi ha dato le informazioni per scrivere questo articolo mi è stato risposto “direi che puoi tralasciare il mio nome… è la squadra che conta”. Ecco perché in questo lungo scritto non emerge il nome del referente del coordinamento “Salviamo la Rocca di Ripafratta” che mi ha aiutato. E non mi pare poco!
Per saperne di più: www.salviamolarocca.it e info@salviamolarocca.it.
L’idea della salvaguardia di un patrimonio storico come la Rocca di Ripafratta è delle migliori. Fate bene a sollevare il problema e vi auguro un buon risultato in nome di quella storia che il Serchio bagna e unisce.
Come non rilevare che fa grande tristezza vedere sul colle quella Rocca ricca di memorie storiche ridotta all’abbandono.
Poi con Barga si lega quella Rocca, perché nel 1505, al tempo delle lotte intestine tra Firenze e Pisa, fu teatro di una battaglia che vide in campo la Banda di Barga, 300 uomini al comando del capitano Baricchio Baricchi, al quale fu comandato da Firenze di stanziarsi all’interno della riconquistata e importante fortezza che i pisani volevano a sé.
Nel 1505 Pisa inviò i suoi soldati uniti a quelli dello spagnolo Consalvo, ma i Barghigiani ressero l’assalto per 12 giorni; poi Baricchio Baricchi dette luogo alla sortita dalla Rocca mettendo in fuga le soldatesche pisane e del Consalvo inseguendole sino alle mura di Pisa.
La storia è più lunga, ma questo penso basti per dire che Barga non può far altro che sperare che quella Rocca torni ai suoi antichi splendori.
Apprendo con piacere che l’incontro di ieri ha dato ottimi frutti: il coordinamento di associazioni darà vita ad un’Associazione col fine di “prendere in mano le redini della questione. Ma anche promuovere eventi, esplorare ogni possibilità progettuali, organizzare convegni, feste, incontri, dibattiti, mantenere viva l’attenzione su questa grande risorsa ancora tutta da scoprire”.
Per maggiori dettagli: http://www.salviamolarocca.it/?p=302