Un eroe solo. Così la sorella di Giovanni Falcone, Maria, ha ricordato il fratello in un’intervista alla Radio Vaticana nel ventennale della morte. ”Giovanni fu contrastato, combattuto, visto come un nemico numero uno da combattere. E questo, anche se e’ doloroso dirlo, anche da parte della magistratura stessa che vedeva in lui l’eccezione. Ai magistrati ha lasciato un metodo di lavoro e… un modo per combattere la mafia. Ha fatto abbattere il segreto bancario, introdotto il concetto di scientificità dell’indagine e quello del coordinamento, della veduta d’insieme, delle singole indagini. Ai giovani lascia la sua “religione del dovere”, l’insegnamento che ognuno deve fare la propria parte, costi quel che costi, affrontando qualsiasi sacrificio”.
Secondo la sorella, Giovanni , è stato un eroe “solo” perché “fortissima era la resistenza a difendere un sistema che nessuno voleva toccare. Era un sistema, ritenuto intoccabile, che non significava solamente “mafia” ma includeva connubi particolari tra pezzi della società e la criminalità organizzata. I processi contro i mafiosi, spesso, o quasi sempre, finivano per assoluzione per insufficienza di prove. Giovanni inventò un “metodo” di indagine, che ha preso il suo nome, che non era altro che la scrupolosa raccolta di tutti le prove che potevano incastrare i criminali. Una metodologia apprezzata e imitata oltreoceano dagli agenti statunitensi della Fbi”.
Infatti l’ente investigativo di polizia federale ha dedicato sul suo sito ufficiale un tributo al giudice, definendolo “un coraggioso avversario della Mafia e uno dei primi sostenitori della cooperazione internazionale nella lotta al crimine organizzato”.
Nel corso di una cerimonia, il direttore dell’Fbi Robert Mueller ha sottolineato come “molto prima che la parola ‘globalizzazione’ divenisse un termine diffuso, il giudice Falcone capì che nessun dipartimento o Paese può combattere il crimine da solo e fece infatti di tutto per coltivare rapporti forti, amicizie, qui negli Stati Uniti e altrove nel mondo”. Alla cerimonia era presente anche il procuratore Liliana Ferraro, amica e collega di Falcone che ha preso il suo posto dopo il suo assassinio, e che ha detto: “La polizia italiana e l’FBI continuano a lavorare a stretto contatto insieme contro nemici comuni. E per combattere la criminalità organizzata insieme, si utilizzano ancora molti insegnamenti di Falcone, come ad esempio l’importanza della cooperazione internazionale e la protezione dei testimoni chiave”.
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Il giudice è stato ricordato in tutte le parti d’Italia. A Lucca si è tenuta una fiaccolata per dire “no a tutte le mafie e si alla legalità”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a Palermo, durante il suo discorso commemorativo ha sottolineato come Falcone debba essere un esempio per tutti e appellandosi ai giovani si è commosso. Il premier Monti ha sottolineato che “non bisogna mai stancarsi di cercare la verità sulle morti di Falcone e Borsellino”.
In varie città d’Italia alle 17. 58 si è osservato un minuto di silenzio. Il 23 maggio 1992, un sabato, a quell’ora, invece, si udì soltanto un tremendo boato di un’esplosione innescata da oltre mezza tonnellata di tritolo sotto l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, all’altezza del piccolo comune di Capaci, distrusse l’auto del giudice Falcone con lui morirono la moglie Francesca Morvillo, e i tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
Aveva voglia di guidare quel giorno il giudice e così appena sceso all’aeroporto di Punta Raisi si era messo al volante della Croma Bianca. Era sovrappensiero il giudice e si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Un gesto inconsapevole che però non lo distolse dal suo tragico destino. Le ferite del giudice, infatti, ritenute inizialmente non gravi, durante il trasporto in ospedale si rilevarono mortali.
La sua condanna a morte era già stata emessa. Ne era, da tempo, consapevole ma, testardo e orgoglioso, andava avanti nella sua battaglia.
“La mafia – sosteneva – non è affatto invincibile. E’ un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha avuto un inizio, e avrà anche una sua fine. Bisogna però rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e grave, e che va combattuto non pretendendo l’eroismo di inermi cittadini, ma coinvolgendo nella lotta le forze migliori delle istituzioni”.
Già per lottare per una società migliore, bastava – non si stancava di dire – che ognuno facesse, semplicemente, il proprio dovere. Quel dovere che è alla base di tutta “la moralità umana” come aveva detto il presidente Kennedy di cui il giudice, si racconta, conservasse gelosamemnte una frase appuntata nel portafoglio: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.