La Valle del Serchio e la Garfagnana conoscono bene l’epopea dell’energia idroelettrica, quella che ha condotto alla realizzazione di grandi dighe, di opere di captazione, di condotte e centrali. Il paesaggio è mutato, interi villaggi sono scomparsi per ricomparire decenni dopo in occasione dello svuotamento dei laghi. Si, al posto di verdi vallate e di jare sono comparsi specchi d’acqua che per Enel sono semplici bacini idroelettrici mentre per le comunità locali sono divenuti “laghi”, cioè elementi del paesaggio proiettati nel patrimonio culturale ed ambientale di chi vive sulle loro sponde. Un’appropriazione culturale così forte che la variazione dei loro livello diventa un fatto di grande rilevanza pubbblica: a Vagli si auspica lo svuotamento del lago per riportare alla luce il paese fantasma mentre a Pontecosi la gente si arrabbia per lo svuotamento del lago in occasione della festa estiva.
Non è di questi laghi, però, che voglio parlarvi. Vi accompagno idealmente al di là del crinale, verso l’Appennino Reggiano, dove la Centrale Idroelettrica di Ligonchio fa bella mostra di sè. L’edificio che la ospita è in stile Art Nouveau (così mi dicono, io ne capisco davvero poco) e testimonia lo sforzo di un’epoca in cui gli opifici ancora esprimevano il gusto per il bello, un bello che sapeva essere funzionale. Dentro quell’edificio ci accompagna un addetto dell’Enel. Ci muoviamo tra gigantesche turbine e alternatori che durante il giorno, soprattutto nei giorni feriali, trasformano la folle corsa in caduta dell’acqua in quella preziosa energia elettrica che fa funzionare il PC con cui sto scrivendo, il macchinario per la TAC che domani “ispezionerà” un vecchio amico e le industrie che daranno lavoro a molti di noi.
Quando arriviamo nella “stanza dei bottoni”, la sala di comando della centrale, l’addetto dell’Enel ci indica un dispositivo su un pannello. “Quello lì è stato protagonista di una rivoluzione”, ci dice. Il nostro sguardo segue la linea immaginaria che prosegue oltre il suo indice e rimane incredulo di fronte a qualcosa che è nulla rispetto alla tecnologia dei nostro smartphone. “Ha sostituito quaranta famiglie”, prosegue con un tono di voce in sospeso tra l’orgoglio di aver vissuto il progresso tecnologico e l’amarezza di aver visto spopolare la centrale. “Prima eravamo quasi cinquanta a lavorare qui, ora siamo rimasti in otto” – aggiunge – “e molte cose vengono controllate da una centrale che sta in Veneto… ne controlla ben centodiciotto e noi siamo la più piccola”.
Ci spostiamo verso un tavolo schierandoci attorno ad una fotografia aerea. “Questa è la presa alta, da qui prendiamo una parte dell’acqua che alimenta la centrale, altra acqua arriva dalla presa bassa, sempre lungo il Rio Ozola”. Le parole quasi ci attraversano mentre seguiamo l’indice della mano destra dell’addetto dell’Enel. “Qui sfruttiamo il primo salto, poi l’acqua ne fa un altro verso la centrale di Predare” – si gira verso le pareti finestrate che ci consentono di intravvedere il bacino che raccoglie l’acqua in uscita, poi riprende a parlare- “da lì i privati la sfruttano per un terzo salto”.
La centrale è piccola ma ci troviamo in un luogo importante, forse strategico. Da qui, infatti, la corrente si sposta verso la rete elettrica nazionale in più direzioni. Un’importante direttrice è quella che passa per il Passo di Pradarena tornando in Toscana, verso le centrali della Garfagnana. Quel passo che fu tanto ostile a Matilde di Canossa, qui ricordata ovunque, oggi è un punto di collegamento tra la rete elettrica nel nord Italia e quella del centro-sud. Già, a volte i passi uniscono, molto spesso vi transitano cose importanti. Un tempo pellegrini, pastori e greggi. Oggi i turisti, qualche escursionista, pochi pendolari e svariati megawattora di energia elettrica.
Anche noi, come la corrente elettrica che nasce dal movimento delle turbine Pelton e Francis, torniamo indietro. Non riusciamo, però, ad evitare di leggere quella scritta, quasi un proclama, una rivendicazione di importanza: una novantina di anni fa Ligonghio aveva una turbina di cui esistevano due esemplari al mondo. L’altro si trovava a Chicago, nei lontanissimi Stati Uniti, quell’America verso cui si migrava e si sarebbe migrati.
La gioia negli occhi dei miei bambini che incontro all’uscita dagli impianti mi dice che anche dei locali dismessi della centrale c’è qualcosa di emozionante. Nell’Atelier dell’acqua e dell’energia , uno spazio in cui si fa educazione ambientale dentro la centrale, si impara divertendosi. Così, mentre torniamo a casa, parliamo di magneti, di energia e di come i fiumi sopravvivano al prelievo di acqua necessario per produrre l’energia che noi tutti utilizziamo. Un display presso la diga di Ligonchio ci ha informati in merito ai rilasci d’acqua per garantire il deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua. Questo ci proietta decisamente nel futuro.