Molto spesso si sente parlare di “ictus”, ma pochi sanno con precisione di cosa si tratti, a meno che si abbia avuto la sfortuna di aver assistito un familiare o un conoscente con questa patologia o, ancora peggio, di averlo subito personalmente.
La parola ictus deriva dal latino e significa “colpo”: non potevano trovare un termine più esplicito di questo. Più precisamente è un evento vascolare cerebrale patologico che provoca un’alterazione della funzionalità dell’encefalo. Ciò può essere dovuto all’interruzione dell’irrorazione sanguigna, oppure dallo stravaso di sangue dovuto alla rottura, spesso spontanea di un grosso vaso: nel primo caso si parla di “ictus ischemico”, nel secondo, di “ictus emorragico”.
E’ grazie al nostro cervello se ci muoviamo, parliamo, comprendiamo, sentiamo e ci relazioniamo con il resto del mondo. Ogni area controlla una funzione ben specifica, quindi una lesione, seppur piccola, in una qualsiasi di queste aree può provocare una riduzione di sensibilità o del movimento, spesso dell’intero emilato del corpo, ed in questo caso si parla di Emiplegia. Un ictus che colpisca l’emisfero cerebrale dominante, in genere il sinistro, può alterare il linguaggio e la parola. Le conseguenze possono essere sfumate, a volte devastanti.
Sono sedici anni che lavoro come fisioterapista, gli ultimi dieci passati nel reparto di Riabilitazione e Rieducazione Funzionale dell’Ospedale di Barga e posso dire che di storie ne ho sentite e viste tante, nessuna uguale all’altra.
L’obiettivo è sempre lo stesso, ripartire, in un modo o nell’altro, perché ciò che è comune per tutti è il cambiamento, è l’essere costretti a “riprogrammare” la propria vita, a rimettersi in gioco in tutto e per tutto, ad imparare a camminare di nuovo, a parlare, a vestirsi, a lavarsi, a mangiare. A tutte le età: sì, perché l’ictus viene all’improvviso, non guarda in faccia nessuno e non fa sconti. E’ un’esperienza individuale, anche il faticoso cammino di recupero è diverso. Non si sa quanto tempo ci vorrà e cosa succederà dopo. Ma tanti ce la fanno ed ogni piccolo progresso è un successo.
In questi giorni mi è capitato di osservare una partita a carte molto speciale tra due persone che si sono conosciute in reparto a causa della loro malattia. Sì, osservare è la parola giusta, perché non c’è stato bisogno di spiegare niente, si erano già “organizzati” e “reinventati” un modo di giocare che ha permesso loro di utilizzare la loro mano sana: quella sinistra, perché la sorte ha voluto che si fosse fermata proprio la destra, quella che erano abituati ad usare.
Sono rimasta affascinata del loro modo di mescolare le carte, in “sinergia” come si usa dire in termine medico, che letteralmente significa “la reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente”. Con una sola mano le hanno distribuite e messe su un’astina di legno che gli ha permesso di tenerle aperte e così hanno giocato la loro partita.
Ho sorriso quando ho visto vincere Roberto, ma ho pensato immediatamente che in realtà avevano già vinto tutti e due e non c’è bisogno di spiegare il perché.
httpv://youtu.be/EiDJ6FL6GLg
brava valeria!!!!!! molto dolce e carino