“Lo stare senza fare nulla, per necessario riposo o per pigrizia”: è così che trovo definito l’ozio in un dizionario on-line. Ed è un po’ di tempo che rifletto e combatto con l’idea che di questo termine mi è stata trasmessa fin da quando ero bambino. Un’idea non proprio positiva: l’ozio padre di tutti i vizi, solo i fannulloni oziano e cose del genere. Devo ammettere che questa declinazione del termine mi ha convinto fino a qualche anno fa, poi sono andato in crisi. A minare una convinzione consolidata dai racconti di nonni e genitori è stata l’esperienza con i bambini, sia quelli che incontro nelle scuole in cui vado per lavoro, sia i miei figli.
Partiamo dai primi. Quando vado nelle scuole per le attività di educazione ambientale quasi sempre bastano pochi minuti per comprendere che ciò che proprio non alberga nei bagaglio di competenze dei bambini è la pazienza, cioè la “qualità di chi sopporta serenamente avversità, molestie, indugi” oppure “calma, costanza”. Ogni volta che hanno la possibilità di fare qualcosa, che sia smuovere una palettata di terra o calarsi nel ruolo di un animale, ci si trova di fronte ad un dramma frutto dell’incapacità di attendere il proprio turno, dell’insolenza verso il compagno che sta operando e il totale disorientamento quando il singolo bambino ha già svolto il proprio compito e ancora non sa quale sarà la sua prossima missione in attesa che altri facciano ciò che lui ha già fatto. Non esagero a dire dramma perché alcuni bambini manifestano comportamenti prossimi a quelli di chi è preso dal panico. In ogni caso, la maggior parte dei bambini non sa gestire le attese e, temo, nemmeno riesce ad apprezzare il momento in cui finalmente fa qualcosa perché già sente la mancanza di un impegno per il tempo che verrà.
Le prime volte proprio non capivo perché i bambini avessero questo comportamento e, non lo nascondo, qualche insegnante mi deve aver messo sulla strada sbagliata dicendomi che il bambino che estremizzava questo comportamento aveva problemi a mantenere l’attenzione. Col passare del tempo, invece, mi sono reso conto che quegli stessi bambini sanno stare attenti quando sono protagonisti, magari insieme agli altri in un attività di gruppo, poi cambiano comportamento in modo repentino quando inizia l’attesa. Così ho cominciato a riflettere su questa sorta di “panico da attesa”.
La nascita della mia prima figlia mi ha svelato qualcosa che non avevo ben percepito: i bambini di oggi vivono spesso una vita estremamente veloce, iperprogrammata e pianificata in cui ad attendere sono gli altri. Mamme, papà e nonni li scarrozzano da una parte all’altra (piscina, palestra, danza, scuola, ecc.) e sono loro ad aspettare. Quando non c’è qualcosa da fare arriva l’elettronica: televisione, playstation e periferiche varie offrono l’opportunità di fare qualcosa evitando disturbi a noi adulti. Alla fine crollano dal sonno e dormono. La mattina seguente si riparte per questa vita in formula multitasking (multiprocessualità), cioè in cui si fanno talmente tante cose che alla fine se ne fanno più di una in contemporanea.
E’ qui che nasce la mia riflessione, forse una vera e propria ribellione.
Ripenso alla mia infanzia e scopro infiniti pomeriggi fatti di nulla ma straordinariamente pieni di esperienze. Fatti di nulla perché non c’era un impegno programmato, pieni di esperienze perché fuori c’erano altri bambini con cui ci inventavamo di tutto. Il “capannello” nel vicino pioppeto dove qualcuno si inventava esploratore e qualcun’altro cuoco, la riparazione di una bicicletta forata, il recupero di una misteriosa pietra in un fosso, costruire un carretto con cui trasportare la pietra, salire in bicicletta e andare a scoprire il mondo e molto altro. In pratica non temevamo il non avere niente da fare perché era un momento di creatività in cui ci si inventava qualcosa da fare. Tutto questo in un’epoca in cui la televisione aveva tre o quattro canali e i giochi da tavolo erano quattro o cinque, mentre le carte da gioco non mancavano mai nei giorni di pioggia.
I bambini e i ragazzi di oggi, invece, hanno sempre qualcosa da fare, hanno la vita organizzata e la domenica sanno già cosa faranno il venerdì di due settimane dopo. Come sappiamo bene noi adulti, quando è tutto programmato la cosa peggiore è che salti il programma predefinito. Aspettare è, per i nostri bambini, l’equivalente di un imprevisto cambio di programma, un bug nel sistema che prevede un impegno dietro l’altro fino ad operare in multitasking. Andare in difficoltà di fronte ad un imprevisto è naturale, ciò che proprio non mi sembra naturale è che un po’ di tempo libero o la necessità di aspettare possa essere un imprevisto.
Allora l’ozio, più che il padre di ogni vizio, può diventare una risorsa e possiamo dare nuovo valore almeno al “lo stare senza fare nulla, per necessario riposo”. Un necessario riposo che possa restituire ai bambini l’utilità di momenti vuoti nella programmazione della propria vita (vogliamo forse che la nostra/loro vita abbia un palinsesto?), momenti nei quali utilizzare la propria creatività per inventare un gioco, scovare nascosto da qualche parte un passatempo, apprezzare di nuovo la bellezza di un ragionevole “mi è venuto in mente e l’ho fatto” sfuggendo agli schemi imposti da questa vita frenetica e dai troppi device elettronici che pretendono di riempire col vuoto programmato i nostri momenti di ozio.
Io, almeno per ora, la penso così. E cerco di fare in modo di convincere più genitori possibile che il mondo là fuori non è così male per oziarvi in modo creativo!
Thoughtful advice Emilio and here is a pertinent article I also enjoyed along the same lines for we adults who are multitasking too much. http://www.nytimes.com/2012/12/16/opinion/sunday/the-power-of-concentration.html?src=me&ref=general&_r=0
Thank you for the comment and for the link. I will read it!
Finalmente un articolo intelligente!!!
Che si avvicini la fine del mondo??? 🙂
Devo preoccuparmi? 🙂 Non ti sono piaciuti gli altri articoli? In ogni caso, la fine del mondo è rimandata e potrò scrivere altro!
Nel senso che negli articoli di questo giornale l’intelligenza scarseggi?