Non ne ha parlato per 50 anni, la signora Mirella Stanzione ed ancora, farlo, è una fatica grandissima. Ricordare l’internamento nel campo di lavoro femminile di Ravensbruck, subito come prigioniera politica dal luglio 1944 all’ottobre 1945, è tanto doloroso che a volte serve una pausa, prima di continuare a raccontare.
La signora Stanzione questa mattina era a Barga ed ha incontrato i ragazzi dell’ISI nell’ambito di un’iniziativa dedicata alla giornata della memoria che, come ogni anno, è stata organizzata da Andrea Giannasi con il patrocinio del comune di Barga.
Ancora un’occasione, dopo gli incontri con Gilberto Salmoni e Piero Terracina, per rievocare e fissare nella memoria quale furono le atrocità dei campi di lavoro; di cosa significò e cosa può significare ancora una dittatura, l’odio raziale, la paura del “diverso”.
L’incontro, al quale era presente anche la figlia della signora Stanzione, è stato presieduto dalla dirigente scolastica Giovanna Mannelli, dal sindaco Marco Bonini e dall’assessore alla cultura Giovanna Stefani e guidato dallo stesso Andrea Giannasi che ha introdotto con numeri e fatti raccapriccianti il campo di Ravensbruck (nell’audio) prima di cedere la parola a Mirella Stanzione.
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Una ottantasettenne di grande tempra ma ancora turbata dal ricordare la sua vita nel campo, condivisa con la madre e con altri “numeri” come loro; durante l’incontro la signora Mirella ha a lungo parlato dell’opera di disumanizzazione che veniva sistematicamente messa in atto per privare le prigioniere dell’identità, anche per mezzo di lavori logoranti e senza senso, o per mezzo di umiliazioni fisiche e turni di lavoro massacranti. Fino a non potersi più permettere di avere sentimenti verso se stessi o gli altri, dimostrando quanto il sistema di annientamento messo in atto dai tedeschi aveva funzionato.
L’aula Magna è rimasta immobile e in silenzio di fronte alla testimonianza della signora Stanzione, comprensibilmente basita di fronte alla drammatica testimonianza raccontata e ai fatti per il nostro presente incomprensibili, inammissibili, quasi impossibili.
Invece quanto raccontato da Mirella Stanzione è accaduto davvero, e non deve perdersene memoria; nell’audio, dopo l’intervento di Giannasi, le parole di Mirella Stanzione, utili più di qualsiasi scritto a trasmettere il senso delle atrocità da lei vissute.
Aveva 16 anni quando il 2 luglio del 1944 le SS entrarono nella sua casa cercando il fratello partigiano. Mirella fu presa con la madre e condotta al carcere di La Spezia e poi a Genova. Da lì, considerate nemiche, furono portate al campo di concentramento di Bolzano; poi la loro destinazione fu Ravensbrück, un campo di internamento a 90 km da Berlino i cui lavori iniziarono il 25 novembre 1938 su ordine di Himmler. Dovevano accogliere solo donne e fornire manodopera per le industrie. L’apertura ufficiale avvenne il 15 maggio 1939 e dal 1942 fu anche luogo di sterminio.
«Arrivammo là dopo un viaggio di sei giorni e sei notti. Noi ed altre sessanta compagne fummo trasportate su un carro bestiame sigillato; eravamo in condizioni pietose, senza nemmeno il vaso per i nostri bisogni personali».
«La memoria – continua Mirella Stanzione – induce una selezione dei fatti, scarta, cancella: per questo chiedo aiuto alle mie compagne di sventura, anche se in fondo per me dimenticare è stato un bene».
La prima scena che vide scendendo dal treno fu tremenda: «Vidi molte figure in colonna, magre, affaticate, sporche e rasate: a tutto somigliavano fuorché a donne».
Queste indossavano le divise del campo, con il loro numero; presto anche Mirella Stanzione per le SS divenne solo un segno (il triangolo rosso dei deportati politici) ed un numero, 77415. «La cosa più urgente – racconta – era imparare il suono del mio nuovo “nome” in tedesco, per evitare botte e ritorsioni; lo feci, ma mi sono sempre rifiutata di imparare la lingua».
Iniziò un lungo percorso fatto di umiliazioni, privazioni, negazione. Il campo di sterminio è soprattutto campo di cancellazione dell’identità. Per questo le donne vengono private dei capelli, degli oggetti personali, dei vestiti e esposte nude a torture e sevizie di ogni genere.
Si stima che tra il 1939 e il 1945 il campo di Ravensbrück abbia ospitato circa 130.000 deportati, dei quali 110.000 donne. I documenti sopravvissuti alla distruzione da parte delle autorità del campo indicano circa 92.000 vittime.
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