Alla vigilia della Guerra di secessione, nel profondo e razzista sud degli USA, il dottor King Schulz, forbito odontoiatra riciclatosi cacciatore di taglie (Christoph Waltz) libera lo schiavo nero Django (Jamie Foxx) perché questi lo aiuti a scovare i Brittle Brothers, sanguinari sorveglianti di piantagioni. Anni prima i Brittle avevano separato Django dalla moglie Broomhilda (Kerry Washington): da quel momento lo schiavo si è prefisso come obbiettivi la vendetta e la ricerca dell’amata; accetta pertanto di seguire il dottor Schulz nel suo mestiere, in cambio di aiuto a ritrovare la moglie. Dopo varie peripezie, i due giungono sotto mentite spoglie nell’immensa tenuta di Candyland per strappare Broomhilda alla prigionia; dovranno però vedersela con il sadico proprietario (Leonardo Di Caprio) e col suo tirapiedi di colore (Samuel L. Jackson).
Dopo averci condotto nella Francia occupata dai nazisti, Tarantino si sposta in una delle pagine più oscure della storia americana: quella di un Sud che del razzismo fa la propria cifra esistenziale e dell’assenza di regole la propria legge. Tuttavia, al contrario di quanto si possa immaginare, il regista non pare realmente a proprio agio nella sua terra natia: il film è sì sostanzialmente una summa di tutta la sua produzione precedente, ma vi si appiattisce sin troppo. Il cinema di Tarantino ha da sempre come fondamenti la pura evasione, l’eccesso e l’originalità, che si esplicano in un’alternanza di momenti particolarmente cruenti e di dialoghi estremamente curati. Anche qui infatti non vi è nulla da obiettare su quanto riguarda la sceneggiatura, che è ricercata e limata ed alterna con intelligenza i vari registri; per quanto riguarda il resto, si può accusare la pellicola di una scarsa riuscita rispetto al passato.
Come sempre, c’è un protagonista in cerca di vendetta, come sempre il suo scopo riguarda la cerchia degli affetti familiari, come sempre sono tanti i cattivi da sconfiggere, come sempre i blocchi narrativi si susseguono senza coerenza tra scene pulp e divagazioni filosofiche. Tuttavia in questo caso le trovate grottesche si assottigliano e diventano prevedibili; completamente slegate dal contesto storico (che invece sembrava tanto coerente in “Bastardi senza gloria”), mancano nettamente dello smalto cui eravamo abituati. A salvare la situazione è la finezza della sceneggiatura, appoggiata da una direzione degli attori che è sempre ottima e che vede in Leonardo Di Caprio un interprete dal carisma e dalla versatilità eccezionali; stranamente offuscato invece Christoph Waltz. Altro punto di forza è la temperie storica spaventosa entro cui si muove la narrazione: nettamente opposta all’inventiva del film precedente, mostra pur facendole rimanere in secondo piano la mostruosità e l’efferatezza dello schiavismo che tanta vergogna ha provocato e provoca alla nazione americana.
Un punto di vista decisamente diverso sull’argomento:
http://www.carmillaonline.com/archives/2013/01/004601.html