A leggere quello che afferma l’assessore regionale alla sanità, Luigi Marroni sulle ipotesi in vista per l’ospedale unico, viene da mangiarsi le mani. Soprattutto da ricordare ai sindaci della Garfagnana, che hanno voluto votare la localizzazione in fretta e furia, che il sindaco di Barga, Marco Bonini, aveva ragione a richiedere più tempo e ad affermare che andava eccome tenuta in considerazione la relazione della commissione sanitaria che indicava due tipologie a seconda del luogo dove si fosse scelto di costruire il nuovo ospedale.
Lo aveva già anticipato a Lucca nell’incontro che avvenne il giorno dopo la sciagurata votazione dei sindaci, l’assessore Marroni e adesso lo ha messo nero su bianco, potremmo dire, rispondendo ieri in consiglio regionale all’interrogazione presentata dal presidente del gruppo UDC Giuseppe del Carlo sulla questione “ospedale unico in valle del Serchio”.
Marroni non si assolutamente discostato da quello che già aveva previsto la commissione sanitaria e che era stato presentato ai sindaci lo scorso 20 dicembre a Castelnuovo, parlando chiaramente di due possibili ipotesi di ospedale per la Valle del Serchio, con due distinte tipologie.
Insomma proprio quelle indicate dalla relazione sanitaria: una ipotesi A per un un nuovo ospedale che risponda alla domanda locale e che recuperi la mobilità passiva per un totale di circa 130/150 posti letto; una ipotesi B, per un ospedale che risponda alla domanda locale di base e attenui lo svantaggio territoriale. Parliamo di circa 75 posti letto in questo caso.
Diversa anche la qualità dei servizi visto che nella prima ipotesi le specialità sarebbero molto più complete e si prevedrebbe anche la riabilitazione, oltre alla possibilità di mantenere un punto nascita purché si superino i 500 parti l’anno. Nella seconda ipotesi si avrebbero servizi di molto inferiori, con una chirurgia limitata a day surgery e poco più, un pronto soccorso ed una medicina generale in linea di massima.
L’ipotesi A prevede un presidio simile ad un ospedale che viene classificato in termini tecnici di tipologia “B”, rivolto quindi ad un bacino di utenza di 80-150.000 abitanti. L’ipotesi B, prevede invece un ospedale che viene classificato di tipologia “A” in termini tecnici, destinato alle zone più disagiate, ma quindi non in grado di attrarre un grosso bacino di utenza.
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Secondo Marroni le due ipotesi si differenziano significativamente per i costi di investimento e di gestione ed è giusto che ci sia una grande responsabilità nel valutare l’importanza di una spesa del genere. Visti anche i tempi che corrono insomma, bisogna scongiurare il rischio di un sottoutilizzo di quest’opera. Marroni ha fornito in proposito anche alcune cifre che riguardano l’attività ospedaliera in valle del Serchio. Nel 2011, 59.368 cittadini della valle del Serchio hanno avuto necessità di 9.547 ricoveri, ma solo il 53 % dei casi si sono rivolti a presidi ospedalieri zonali. Dei ricoveri effettuati altrove almeno 1000 potevano essere erogati in zona senza alcun svantaggio qualitativo.
E’ abbastanza chiaro a questo punto che la scelta dei sindaci per l’ipotesi di localizzazione al Piano Pieve parte già con il piede sbagliato e che lassù non possa essere realizzato certo un ospedale di 150 posti letto. Lo avevamo già sostenuto dal 20 dicembre scorso e lo hanno sempre sostenuto i sindaci della Media Valle, sindaco Marco Bonini in testa. Era stato ribadito anche nell’assemblea popolare svoltasi lo scorso 21 gennaio e nella stessa occasione così si era espresso anche il senatore Marcucci. Ma significative adesso sono anche le parole dello stesso consigliere regionale Del Carlo che in risposta alle parole di Marroni afferma che a questo punto non è possibile mettere in discussione il tipo di ospedale da realizzare, che deve essere necessariamente di dimensioni più grandi.
L’assessore Marroni, lo scorso 8 gennaio a Lucca, aveva garantito ai sindaci la presentazione di un approfondimento sulla scelta portata avanti proprio per decidere meglio sulla tipologia del nuovo ospedale. Saranno dunque in grado i sindaci, dopo gli approfondimenti che ci saranno, speriamo presto, di trovare una scelta condivisa e soprattutto veramente responsabile? Saranno in grado di rivedere la localizzazione in base alle tipologie diverse prospettate, che ora sono state confermate? Perché è chiaro che quei sindaci che voteranno per un’area che genererà un ospedaletto da campo, poi se ne dovranno assumere una volta per tutte la responsabilità a questo punto. E ne dovranno rispondere anche alla loro gente. Ma forse è sempre stata questa la loro strategia. Votare per una soluzione che alla fine è talmente assurda e riduttiva che non se ne farà di nulla e sperare che nel frattempo la riorganizzazione ospedaliera sposti i principali reparti sul “Santa Croce” di Castelnuovo. A questo punto, poco importerebbe, per alcuni, che si facesse il nuovo ospedale.
Sulla possibilità che dell’ospedale unico non se ne faccia di nulla se le cose vengono tirate troppo delle lunghe ne è convinto anche lo stesso Giuseppe Del Carlo che ci ha dichiarato: “se i sindaci non saranno in grado di trovare una scelta condivisa e veloce soprattutto, il rischio è quello di non farne di nulla. Anche in quello che ha dichiarato l’assessore Marroni – ha affermato – si legge chiaramente che a seguito delle nuove disposizioni nazionali in termini di parametri sanitari ed ospedalieri e delle difficoltà economiche e di risorse sempre maggiori che ci sono c’è la possibilità che i tempi per la realizzazione del nuovo ospedale unico si dilatino così a lungo che potrebbero mettere a rischio l’intero progetto. La Regione a questo punto si deve fare carico di sostenere una mediazione tra i sindaci per accompagnarli ad una scelte il più possibile condivisa e veloce”.
La risposta di Marroni all’interrogazione
Decidere se costruire un nuovo ospedale, e come farlo, è una grande responsabilità perché richiede di ben valutare il valore che un’operazione del genere è in grado di generare, a fronte di una spesa significativa, prima per l’investimento, poi per la gestione.
Il valore di un ospedale si esprime in due dimensioni: l’equità d’accesso e la qualità delle prestazioni.
Tutti i cittadini devono poter avere le stesse possibilità di ricevere “buone cure” indipendentemente da dove vivono, così come hanno diritto a una risposta sanitaria appropriata e pertinente, erogata con professionalità nei luoghi e con i modi che possano garantirla al meglio.
Il disvalore di un ospedale, invece, è determinato dal rischio di un suo possibile sottoutilizzo. Ciò determinerebbe un costo sociale ingiusto che affliggerebbe le presenti e future generazioni di cittadini.
Nel prendere in considerazione l’ipotesi progettuale di un nuovo presidio ospedaliero di riferimento, per la zona distretto della Val di Serchio (21 comuni), è indispensabile considerare i vincoli riferibili alle norme e agli atti di programmazione regionale e nazionale.
Considerando che, nel 2011, i 59.368 cittadini della zona della Val di Serchio hanno avuto la necessità di 9.547 ricoveri, ma che solo nel 53% dei casi (5032) i cittadini si sono rivolti ai presidi ospedalieri zonali, considerando inoltre che dei ricoveri effettuati altrove, almeno 1000 potrebbero essere stati erogati in zona senza alcun svantaggio sul piano qualitativo, si può ipotizzare un ospedale in grado di produrre poco più di 6000 ricoveri per anno.
I ricoveri in futuro sono destinati a ridursi, in funzione della deospedalizzazione tendenziale determinata dall’innovazione medica, come osservabile ormai da un ventennio.
Tenendo conto quindi del quadro normativo istituzionale, di quanto contenuto nello “Studio di fattibilità preliminare – Ospedale Unico della Valle del Serchio” 2011, e dei dati epidemiologici riportati nella recente relazione della Commissione
tecnica nominata dalla Conferenza dei Sindaci, si configura come un’azione responsabile di buon governo prendere in considerazione sostanzialmente due ipotesi di fattibilità:
Ipotesi A: Un nuovo ospedale dotato di caratteristiche in grado di rispondere alla domanda locale e recuperare la mobilità passiva.
Questa prima ipotesi configura un presidio ospedaliero di base, dotato di sede di Pronto soccorso, Medicina Interna, Chirurgia Generale, Ortopedia, Anestesia e servizi di supporto in rete di guardia attiva o in regime di pronta disponibilità H24 di radiologia, laboratorio, emoteca e dotato di letti di “osservazione breve intensiva”.
Nel presidio possono essere previsti anche i letti per riabilitazione post-acuzie, già presenti nella zona.
Per quanto riguarda il Punto Nascita il suo mantenimento, in considerazione della specificità delle aree geografiche interessate, è un’ipotesi possibile purché mantenga un numero di parti/anno non inferiore ai 500/anno e sia orientato essenzialmente al parto fisiologico.
Un presidio con queste finalità dovrebbe avere circa 120 – 150 posti letto.
Ipotesi B: Un nuovo ospedale progettato per rispondere alla domanda locale di base e attenuare gli svantaggi territoriali.
Scenario che prefigura un Presidio ospedaliero in cui siano garantite le attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto, con posti letto di medicina e chirurgia generale ridotta , cioè predisposto per ricoveri prevalentemente in Day Hospital o in week surgery programmati.
Il pronto soccorso sarebbe presidiato da un organico medico dedicato all’emergenza – urgenza, inquadrato nella disciplina specifica, e da un punto di vista organizzativo, integrato alla struttura complessa del DEA di riferimento.
Le indagini radiologiche per questa tipologia di presidio sono previste con trasmissione d’immagine collegata al centro hub o spoke più vicino. Nel presidio possono essere anche previsti i letti per riabilitazione post-acuzie, già presenti nella zona.
I posti letto necessari non supererebbero, secondo questa ipotesi, il numero di 75.
E’ opportuno sottolineare come l’ipotesi A preveda sostanzialmente un ospedale simile a quello che nel Piano Sanitario è definito di tipo B, che nella bozza di regolamento ministeriale è quello di riferimento per una popolazione di 80.000 – 150.000 abitanti ed è simile a quello proposto nello studio di fattibilità preliminare.
L’ipotesi B prevede invece un ospedale diverso da quanto indicato nello studio di fattibilità, sostanzialmente con le caratteristiche della tipologia A indicata nel Piano Sanitario e dell’ospedale destinato alle zone disagiate, di cui si tratta nella bozza di regolamento ministeriale.
E’ evidente come le due ipotesi si differenzino significativamente sia per i costi d’investimento che per quelli di gestione.
Per garantire un buon risultato di costo/beneficio, nel caso dell’ipotesi A l’ospedale dovrà essere ben organizzato per rispondere pienamente anche alla domanda della parte bassa della valle, che in questo momento costituisce l’entità numericamente più importante di mobilità sanitaria.
Nel caso dell’ipotesi B, l’ospedale avrà prevalentemente la vocazione di soddisfare la domanda di una zona geograficamente più svantaggiata.
E’ pur vero che il modello organizzativo e il dimensionamento del presidio ospedaliero unico, come descritto nello studio di fattibilità 2011, è stato recepito dal documento preliminare d’intesa tra Regione Toscana e Comuni della Provincia di Lucca (sottoscritto da tutti i sindaci, ad eccezione del sindaco di Capannori e di quello di Montecarlo) il 5 aprile 2012, ma è altrettanto vero che da allora sono mutate nel paese le condizioni e si sono ridotte, almeno nel medio periodo, le disponibilità per poter procedere a finanziare opere pubbliche.
Questo nuovo contesto economico impone di riconsiderare decisioni precedenti, alla luce dei cambiamenti sopravvenuti, con lo scopo di individuare come soddisfare al meglio i bisogni e garantire i diritti dei cittadini residenti, in modo sostenibile.
Prendendo atto che la sede per l’insediamento del nuovo presidio ospedaliero è stata determinata con votazione della Conferenza Zonale dei Sindaci, si ritiene opportuno procedere a un ulteriore e definitivo approfondimento tecnico-sanitario per la scelta della tipologia e il dimensionamento dell’ospedale nonché della rete correlata di servizi sanitari finibili dalla popolazione e interconnessi con quelli ospedalieri, con l’impegno di individuare e condividere con l’Azienda sanitaria territoriale e le comunità locali una tipologia di organizzazione ospedaliera efficace ed efficiente, coerente con la programmazione sanitaria di Area Vasta e soprattutto realmente utile e come tale apprezzabile dai cittadini.
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