Pietro MAGRI


UNA GITA ALLA TANA

  di

  CASCALTENDINE


  nel


  MONTE DI GRAGNO


   BARGA

   Il Cartolibraio s.n.c.

  1998



Sono venuto in possesso di alcuni scritti antichi riguardanti personaggi vicende e luoghi della nostra Barga.

  Della loro lettura io mi sono molto dilettato e penso possa essere un piacere anche per altri che si appassionano a queste cose.

  Ho pensato, allora, di farne una piccola serie da mettere a disposizione di tutti.

  Poiché, però, non sarà possibile produrne tante copie, dovrò necessariamente farli da me, e mi scuso fin d'ora per la loro veste modesta, spero che supplisca il loro contenuto.

  Anticipatamente ringrazio per l'accoglienza che verrà loro riservata.

  Questo libretto riguarda una gita fatta il 27 settembre 1880 alla Tana di Cascaltendine nel Monte di Gragno da illustri personaggi Barghigiani.

  Buona lettura.         

                                       Ivo Moriconi

                                             








L'egregio nostro concittadino Francesco Bertacchi nel secolo decorso ispezionò quella meravigliosa Grotta sotterranea detta la Tana di Cascaltendine, che è situata, per chi si trova a Barga, sull'estrema sini-stra della vetta del Monte di Gragno, e ne lasciò una descrizione manoscritta, della quale io mi valgo in parte.

     Quel monte che termina così bruscamente in una altissima rupe a picco, si presenta da Barga, sebbene si veda solamente di fianco, come un monte che abbia sofferto un cataclisma ed un pezzo di esso si sia staccato improvvisamente precipitando nella Turritecava.

     Appiè di questa rupe si apre la spaziosa Caverna di cui voglio tener parola.

     Fa quasi meraviglia che questa grotta visitata da molti, ma poco o punto conosciuta, in questi tempi di alpinismo non sia stata descritta come tante altre grotte di minor pregio, che pure hanno fermato l'attenzione di severi scrutatori della natura e svegliate le armoniose cetre dei poeti. Ma pure è così, questa che per fare bella mostra di sé non avrebbe bisogno di artifizi retorici, è rimasta lì perché non ha anche trovato uno che se ne occupi particolarmente.

     Queste riflessioni si facevano in un crocchio di amici in Barga radunati al caffè la sera del 26 settembre del corrente anno.

     Eppure, dicevamo, bisognerebbe andarci... bisognerebbe descriverla... Sta bene, replicavo io, ma manca una cosa soltanto,  ed è precisamente quella di doverci andare. Orsù, soggiunse subito uno degli amici, avete il coraggio di seguirmi ? Si, rispondemmo tutti. Allora non occorre altro, a rivederci a domattina alle quattro.

     Così fissato, gli amici si augurarono la felice notte e credo che avranno dormito tranquillamente, ma io, cui dettero l'incarico di farene la descrizione, non ci fu verso che potessi chiudere un occhio, sicché mi levai e mi misi a scrivere, quasi come preparazione alla gita da effettuarsi, le seguenti notizie intorno alla Grotta detta Tana.

     Chi avesse proposto di visitare la Tana nei tempi passati alla bassa gente dei nostri paesi, sarebbe stato il caso di sentirsi chiamar matto da legare ; talmente stravaganti erano le cose che si raccontavano. Gl'immensi pericoli che vi s'incontravano, le grandi acque che col loro eterno rumore rendevano suoni cupi e spaventosi, gl'inestricabili laberinti che conducono sull'orlo di precipizi orrendi, le frane che si aprono sotto i piedi, i venti che spengono i lumi, le streghe etc. venivano magnificate in modo che facevano rabbrividire. E per giunta c'erano anche di quelli che imbevuti di queste idee, per le quali certamente non si sarebbero accostati a cotesta grotta per tutto l'oro del mondo, nondimeno per mostrarsi di animo superiore agli altri, asserivano tutte queste cose come vedute dai propri occhi spacciandole per altrettante verità sacrosante. Le nostre mamme parte credendoci in buona fede, e parte per allontanare i loro figli dalla curiosità di visitare la terribile spelonca, contribuivano mirabilmente a far sussitere siffatte sciocche superstizioni. Additavano ai loro figliuoletti quelle buche come asilo delle Fate, delle Orche, delle Streghe e le descrivevano quasi fossero tante vecchiaccie grinzute, con due zanne davanti e con dita unghiate colle quali strozzavano, strangolavano e buttavano giù negli abissi senza fine tutti quelli che odiavano, se pure trasformandosi in vampiri, in grossi formicoloni ed anche in bestie feroci non si divertivano ad abbeverarsi del loro sangue e pascersi delle loro carni.

     Ma lasciando il passato, oggi è un fatto che l'internarsi negli antri e nelle caverne, l'esaminare gli scherzosi parti della natura, gli stallattiti, i colaticci di svariatissime forme, il ricercare se questi maravigliosi e al tempo stesso orribilissimi antri fossero stati in qualche tempo abitati dagli uomini, o avessero servito loro di rifugio in momenti pericolosi, non sono più ridicole stranezze né idee mitologiche, ma sono il vastissimo campo delle odierne esplorazione dei dotti, i quali coi loro profondi studi

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