Graziella Cosimini – Piazza del Comune – barganews.com v 3.0

Graziella Cosimini – Piazza del Comune

Piazza del Comune è un lembo di cielo fra i profili dei tetti; è un irregolare selciato di pietra circoscritto da case e palazzi le cui porte e finestre occhieggiano, aperte, in ogni ora del giorno, curiose ed accoglienti. Da sempre è il cuore della cittadina, il centro della vita civile di Barga. Lo attesta la scala d’ingresso del palazzo comunale, levigata dal passaggio di generazioni e generazioni.

Lo si intuisce immediatamente dalla sua struttura, stratificata, ferma nel tempo, divenuta paesaggio naturale su cui sorge e tramonta il sole come l’alzarsi e il calare di un sipario.
Piazza del Comune come un teatro, una ribalta di palcoscenico su cui ogni giorno si rappresenta e si replica la vita.

Personaggi fissi e personaggi straordinari vi si incontrano, si scontrano e si alternano: alcuni reggono la parte meglio di altri e per un tempo più lungo; altri si limitano a fugaci e saltuarie apparizioni.

Il fondale non cambia e gli elementi di scena sono sempre gli stessi: la loggia coperta del Caffè Capretz, in ombra, riservata e silenziosa, proiettata verso le montagne azzurre; e i tavoli rustici, addossati al muro dell’Aristo.

Un elemento essenziale è la panchina di legno, verde, quasi secolare, inamovibile dal suo posto. Lì da sempre ad offrire a chiunque l’attimo di sosta ed il fluire libero dei pensieri.

Nel sole del mattino le vetrine dei negozi specchiano angoli e portali in un rimando di giochi e prospettive per cui interni ed esterni si confondono come in un grande caleidoscopio.

Su tutto vigila, sornione, il leone del Marzocco. Intorno gli sfrecciano le rondini, come ombre veloci e improvvise, guizzi radenti i muri.

Il popolo delle pratiche burocratiche si muove nella piazza: sono impiegati comunali frettolosi, con le mani ingombre di fogli; professionisti in faccende, il cellulare all’orecchio e le cartelle rigonfie di progetti; cittadini alle prese con la carta da bollo. Entrano ed escono dagli uffici, fumano nell’attesa del proprio turno, si scambiano impressioni che hanno  a che fare per lo più con il tempo e il governo.

Spesso qualcuno irrompe in piazza con fare concitato, sull’onda di un torto subito, in cerca di chi i torti li raddrizza. Mentre si guarda intorno una voce lo toglie dall’imbarazzo: l’ufficio dei vigili urbani è da quella parte, gli dice e il portone del palazzo civico lo inghiotte. Quando ripassa è ancora alterato, ma tiene a precisare che ha detto le sue ragioni a chi di dovere.

Gli avventori dell’Aristo lo ascoltano e commentano.

Sono essi i principali attori della piazza, attori in pianta stabile, a tempo indeterminato. Costituiscono un gruppo eterogeneo aperto che ingloba ed amalgama gli elementi più vari e diversi: non c’è differenza di cultura o di lingua che tenga una volta seduti allo stesso tavolo, l’artista – fotografo o il giornalista americano, di ritorno dall’ultimo viaggio lontano, si intende perfettamente con il Natalino della Fornacetta, uno degli ultimi rappresentanti degli avventori della vecchia guardia, di quanto era l’Aristodemo a misurare il vino nei bicchieri. Tempi non molto lontani, di gran bevitori di vino, un po’ rissosi, giocatori accaniti di carte.

Che cosa può avere da spartite il Natale con tali personaggi?

Il racconto di una vita, la sua, come a dire una lezione di storia che parla di affrancamento dalla fatica e dalla miseria.

Anche i segreti della natura e della terra carpiti sotto la spinta della necessità quando il montanaro o il contadino erano i depositari del sapere e della conoscenza.

Il mondo è cambiato, rimpiccolito. Veramente, oggi, nel tempo di internet e del turismo di massa, dall’Aristo, in piazza del Comune, passa il mondo intero. Forse anche perché vi si parla il linguaggio universale della musica e ci si può esprimere, ognuno, con il proprio strumento: con il lamento della cornamusa scozzese o con la dolcezza del mandolino italiano. Con le note fonde del sassofono o il pizzicato delle chitarre.

Anche i bicchieri toccati da un cucchiaino rendono ritmo e musica sotto le mani esperte dell’Aristodemo. Se poi lui si siede alla pianola, allora è concerto: inarrestabile flusso di melodie antiche di canzonette che escono dal chiuso a inondare la piazza e coinvolgere chiunque si trovi a passare.

Sotto l’incantesimo di parolette leggere, ritrovate chissà come nella memoria, i nodi aggrovigliati dei pensieri si sciolgono. La vita celebra allora la sua gioia liberata, si fa sorriso e canto prima di tornare a frantumarsi di nuovo in mille aridi rivoli.

Scritto da Graziella Cosimini


Clicca sul link qui sopra per ascoltare Graziella leggere le sue parole sulla Piazza del Comune.

 
  

  
 

Piazza del Comune is a patch of sky nestled between the outlines of rooftops; an irregular stone pavement enclosed by houses and buildings, whose doors and windows peek out, open, at every hour of the day, curious and welcoming. It has always been the heart of the city, the centre of Barga’s civic life. This is evident in the entrance steps to the town hall, worn smooth by the passage of generations.

You sense it immediately in the layered structure of the place, unmoving through time, transformed into a natural stage where the sun rises and sets like a curtain lifting and falling.

Piazza del Comune is like a theatre, a stage where life is performed and repeated every single day.

Permanent characters and passing figures meet, clash, and take turns here: some play their parts better and longer than others; some appear only briefly and sporadically.

The backdrop never changes and the set pieces remain the same: the covered loggia of Caffè Capretz, shaded, reserved, and quiet, looking out toward the blue mountains; and the rustic tables lined up against the wall of the Aristo.

One essential element is the wooden bench, green and nearly a century old, immovable from its place. It has always been there, offering anyone a moment of pause and the free flow of thought.

In the morning sun, shop windows reflect corners and doorways, creating a play of perspectives where indoors and outdoors blend together like a giant kaleidoscope.

Overseeing everything, lazily, is the lion of Marzocco. Around him, swallows dart by like swift, sudden shadows, skimming close to the walls.

The people of bureaucracy move across the square: hurried municipal employees with their hands full of papers; professionals on the go, mobile phones at their ears and folders stuffed with projects; citizens grappling with revenue stamps. They go in and out of offices, smoke while waiting their turn, exchange remarks mostly about the weather and the government.

Often someone bursts into the square, agitated, riding a wave of perceived injustice, looking for someone to right a wrong. As they look around, a voice relieves their uncertainty: “The municipal police office is that way,” it says, and the doorway of the civic building swallows them up. When they return, they are still agitated, but make a point of saying they’ve had their say with the proper authorities.

The regulars at the Aristo listen and comment.

They are the main players in the square, permanent cast members with indefinite contracts. They form a diverse, open group that blends together the most varied individuals: once seated at the same table, culture and language no longer divide. The artist-photographer or the American journalist just back from a distant trip finds perfect understanding with Natalino from the Fornacetta—one of the last of the old-school regulars from when Aristodemo used to measure the wine into glasses. Not so long ago: a time of heavy wine drinkers, a bit quarrelsome, avid card players.

What could Natale possibly have in common with such characters?

The telling of his life story—his own personal history lesson of rising up from hardship and poverty.

Also, the secrets of nature and the land learned out of necessity, when the mountaineer or farmer was the keeper of wisdom and knowledge.

The world has changed, shrunk. Today, in the age of the internet and mass tourism, the whole world passes through the Aristo in Piazza del Comune. Perhaps it’s also because a universal language is spoken here: music. And everyone can express themselves through their own instrument—be it the lament of the Scottish bagpipe or the sweetness of the Italian mandolin. The deep notes of the saxophone or the plucked rhythm of guitars.

Even glasses, touched with a spoon, make rhythm and music in the skilled hands of Aristodemo. And if he sits at the keyboard, then it’s a concert—an unstoppable flow of old melodies and little songs that spill out into the square, embracing everyone who happens to pass by.

Under the spell of light-hearted little words—recalled who knows how from memory—the tangled knots of thought unwind. Life then celebrates its released joy, becoming smile and song before once again breaking into a thousand dry rivulets.

Written by Graziella Cosimini

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2 Responses

  1. Beautifully observed, movingly written. Only one essential element in this brilliant word portrait is missing: Graziella herself, our piazza's tranquil and elegant muse.

  2. Come lettore, ringrazio Graziella per il bel quadretto: ricco di sostanza e leggero nella forma.
    Come avventore, ringrazio Marino per tenere aperta la piccola oasi di piazza del Comune anche ora che l'Aristo si vede raramente: nel tempo di internet e del turismo di massa c'è ancora più bisogno del sapere e della conoscenza del montanaro o del contadino. Così come in questi tempi di musica liquida e compressa c'è ancora più bisogno di persone vere che suonano strumenti reali.

    mato 15 years ago

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