Si è tenuto giovedì 12 gennaio al teatro dei Differenti lo spettacolo di Giuseppe Battiston e Gian Maria Testa tratto dal poemetto “Italy” di Giovanni Pascoli.
La serata è stato il secondo evento in programma per il Centenario pascoliano, il primo che si è tenuto a Barga, ed è stata una serata di grande spessore, introdotta dalle parole del sindaco Marco Bonini e poi magnificamente condotta da Giuseppe Battiston e dalla musica di Gianmaria Testa, che hanno saputo davvero emozionare la platea.
Scritto nel 1904, ispirato alla storia di Isabella Caproni, il poemetto narra del ritorno di una famiglia di contadini della Garfagnana, emigrati da anni nel lontano Ohio, al paese di origine per trovare aria buona e cure per la piccola Maria-Molly, malata di tisi. Da questa situazione iniziale si snoda la trama: la guarigione, nella terra dei padri, della piccola Molly, il ritorno della famiglia in America, e la morte della vecchia nonna che si affeziona alla bambina sino a morire, simbolicamente, in sua vece, portata via da quella tosse che si inizia a manifestare a primavera con l’apparizione delle rondini.
Immagine a cui ricorrerà per esprimere il pensiero secondo cui l’Italia dovrà richiamare tutte le sue genti “dalle terre lontane dove lavorano in schiavitù, dalle miniere, dai ponti delle navi”, per “la sfolgorante alba che viene”.
Appare qui già chiaro il processo che porta il poeta dall’ideologia del nido a quelle nazionalistiche. Nell’opera viene rappresentato il prezzo del dolore dell’emigrazione di quegli umili che “sbarcati dagli ignoti mari, scorrean le terre ignote con un grido straniero in bocca”. Una grande fatica con lo scopo di ritornare con un bel gruzzoletto, alla terra natia, per farsi “un campettino da vangare, un nido da riposare”.
Pascoli, che da anni viveva sul colle di Caprona, infatti, aveva osservato il fenomeno migratorio che interessava in quegli anni la Valle: “tutte queste buone genti, senza chieder nulla a nessuno, fanno la spola attraverso l’Oceano, vengono e vanno tra i due mondi, portano fuori la loro ingegnosa attività, riportandone qua di che comprare qualche campetto che vangarono da mezzaioli e che ora vangheranno da padroni”.
Spiega il professor Umberto Sereni che sull’argomento ha scritto pagine illuminanti: “La sua ossessione che scomparisse la terra “saturnia madre di biade e di eroi” era placata dal fenomeno migratorio valligiano che con la sua circolarità modificatrice aveva dato vita a una nuova formazione economico-sociale della quale era perno e sostanza la piccola proprietà coltivatrice. In questo vedeva quel radicamento alla terra che l’avrebbe salvata l’umanità dal precipitare nella più fosca barbarie ”.
Inizia con “Italy”, quindi, una forte presa di posizione di quel Pascoli che si definiva “profondamente socialista, ma socialista dell’umanità, non d’una classe” e che sposta sostanzialmente i termini dell’analisi marxista dai rapporti di forza fra le classi sociali alla lotta fra le nazioni: poiché l’Italia è la nazione povera che ha fatto sempre arricchire gli altri (il nido da cui le rondini si allontanano perché “non c’è più cibo”), non le si disdice un riscatto attraverso le conquiste coloniali, che renda finalmente giustizia al “popolo più faticante e industrioso e parco del mondo” e metta fine alle miserie dell’emigrazione. Un socialismo patriottico che avrà la sua apoteosi nel Discorso del Teatro dei Differenti del 1911.