 Quattro storie si dipanano nei giorni immediatamente precedenti la morte di Eluana Englaro. Un senatore ex socialista passato al PDL (Toni Servillo) è richiamato a Roma per votare la legge voluta dal governo Berlusconi che impedirebbe la sospensione dell’alimentazione della donna. Il senatore si trova diviso tra l’imposizione del partito di esprimesi a favore del decreto, e la propria coscienza che lo spinge a rispettare la scelta dei familiari e ricordare quanto vissuto, in circostanze analoghe, con la moglie moribonda. La figlia del senatore (Alba Rohrwacher), cattolica ortodossa, si reca ad Udine per vegliare e pregare davanti la clinica in cui Eluana è ricoverata; qui si innamora di un ragazzo che manifesta sul versante opposto (Michele Riondino). Una tossica (Maya Sansa) cerca in tutti i modi l’autodistruzione, fin quando è soccorsa da un medico di nome Pallido (Piergiorgio Bellocchio). Una grande attrice (Isabelle Huppert) si è ritirata dalle scene per assistere, ventiquattro ore su ventiquattro, la figlia in coma; questa veglia ininterrotta l’ha condotta non solo a rinunciare alla carriera ma anche ad annullare i rapporti col marito (Gianmarco Tognazzi) e con l’altro figlio (Brenno Placido).
Quattro storie si dipanano nei giorni immediatamente precedenti la morte di Eluana Englaro. Un senatore ex socialista passato al PDL (Toni Servillo) è richiamato a Roma per votare la legge voluta dal governo Berlusconi che impedirebbe la sospensione dell’alimentazione della donna. Il senatore si trova diviso tra l’imposizione del partito di esprimesi a favore del decreto, e la propria coscienza che lo spinge a rispettare la scelta dei familiari e ricordare quanto vissuto, in circostanze analoghe, con la moglie moribonda. La figlia del senatore (Alba Rohrwacher), cattolica ortodossa, si reca ad Udine per vegliare e pregare davanti la clinica in cui Eluana è ricoverata; qui si innamora di un ragazzo che manifesta sul versante opposto (Michele Riondino). Una tossica (Maya Sansa) cerca in tutti i modi l’autodistruzione, fin quando è soccorsa da un medico di nome Pallido (Piergiorgio Bellocchio). Una grande attrice (Isabelle Huppert) si è ritirata dalle scene per assistere, ventiquattro ore su ventiquattro, la figlia in coma; questa veglia ininterrotta l’ha condotta non solo a rinunciare alla carriera ma anche ad annullare i rapporti col marito (Gianmarco Tognazzi) e con l’altro figlio (Brenno Placido).
Marco Bellocchio, da sempre regista introspettivo e grande conoscitore dei meccanismi psicologici, non fa un film su Eluana Englaro, bensì intorno ad Eluana; una sorta di macabro girotondo che si svolge attorno a lei, bella addormentata silenziosa e passiva. La prima abilità del regista è stata quella di lasciare realmente sullo sfondo la vicenda della ragazza, rievocata solamente attraverso le immagini di repertorio che si snodano tra notiziari, telegiornali, dichiarazioni politiche e il tremendo dibattito che coinvolse il Senato. In secondo luogo, Bellocchio non prende una parte rispetto ad un’altra: il suo scopo è di mostrare le diverse posizioni, o meglio, le diverse reazioni sorte in quei giorni; lo fa appunto tessendo quattro fili narrativi, con protagoniste persone che non sono coinvolte direttamente nella vicenda di Eluana, ma che, date le loro esperienze (sentimentali, lavorative, ideologiche, familiari) si sentono in qualche modo chiamata in causa da quanto avviene ad Udine.
La storia più efficace è senza dubbio quella del senatore, con un eccellente comprimario quale Roberto Herlitzka. Appare come i palazzi della politica vivano con sostanziale indifferenza e ipocrisia la vicenda della ragazza in coma (basti vedere la scena in una, speriamo, inesistente sauna del Senato), tra dichiarazioni inopportune per non dire indecenti e la volontà monolitica di un voto che non è altro che un paravento ai conflitti di potere. Il senatore, in primis, è un laico che sente di dover rispondere alla propria coscienza, ed è un padre. Il prevedibile fallimento della sua parabola politica, morale, paterna sembra consumarsi nel giro di pochi giorni in un crollo verticale senza speranza, dal quale non sarà possibile risorgere se non sconfiggendo i fantasmi causati dalla scomparsa della moglie, da lui aiutata a morire.
La figlia del senatore, umana e fragile, nei giorni di Udine inizia a comprendere l’enorme, meraviglioso arazzo della vita, in cui dalla sofferenza può scaturire l’amore, dalla morte la vita, dalla forza la debolezza. Il suo incontro col ragazzo amato, che mostra come la divisione ideologica si annulli davanti al sentimento, palesa la bellezza e la caducità dei rapporti umani, che con un semplice gesto o uno sguardo rischiano di essere fraintesi o sospesi.
Le altre due storie sono meno direttamente coinvolte nella vicenda di Eluana. Il rapporto che si viene a creare tra il medico e la tossica disperata si risolve in scene statiche e verbose, con un solo guizzo che si innesca in una spirale di finali aperti. È la narrazione più border line, assieme a quella della grande attrice ripiegata sul dolore della figlia in coma. Un dolore che nutre e distrugge. Le giornate si consumano nella fredda casa, chiusa a qualsiasi agente esterno, in un macabro rito delle ore, scandite da preghiere, cure mediche, piccole attenzioni: l’attrice vive, nel suo dramma, cui non sembra poter rinunciare, una personale teologia del dolore, una fede a tratti sincera, a tratti esaltata, a tratti senza speranza.
Le storie ritratte da Bellocchio, così lontane e così vicine, rendono comunque evidente che, a tre anni di distanza, la vicenda di Eluana Englaro riapra ferite mai sopite, da ciascuno di noi vissute in prima persona. Ciò che Bellocchio ha voluto esprimere con questo lavoro è che quanto avvenuto, al di là di una scelta di campo o di una posizione ideologica, accomuna tutti noi in un’unica, immensa sensazione di sofferenza.