Oggi pomeriggio ha inaugurato la prima edizione del “Tra le righe winter festival”, lo scrittore toscano Marco Malvaldi che ci ha presentato il suo ultimo libro “Milioni di Milioni”. Ricevuto nella sala consiliare dal sindaco Marco Bonini e dall’assessore alla cultura, Giovanna Stefani, è stato intervistato dal giornalista ed editore Andrea Giannasi, organizzatore del festival e di questo incontro (con la collaborazione di Libreria Ubik e Liberia Poli) ed al pubblico presente ha raccontato la sua storia e quella dei suoi libri di successo.
Noi vogliamo presentarlo con questo scritto del nostro collaboratore Nazareno Giusti, con un po’ di foto e con l’intervista audio che potete ascoltare a conclusione di questo servizio.
Lo chiamano “Il Camilleri della Toscana”. Lui, Marco Malvaldi, sorride con l’espressione da ragazzino che contrasta con i capelli prematuramente grigi. In pochi anni è diventato uno dei più noti e venduti giallisti italiani. Pubblicato da Sellerio.
La serie di gialli del BarLume ha venduto centinaia di migliaia di copie e l’ultimo giallo, “Milioni di milioni”, è in vetta a tutte le classifiche.
Pisano, classe 1974, cantante lirico per diletto. Anche se di professione è chimico (ricercatore presso il Dipartimento di Chimica Biorganica dell’Università di Pisa). Due attività che – anche se può apparire strano – secondo Malvaldi non sono agli antipodi.
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Anzi: “in primo luogo, perché qualsiasi chimico deve scrivere i risultati delle sue ricerche in articoli che sono, alla fin fine, il reale prodotto del suo lavoro. Quindi, per essere utili, devono essere intelligibili e concisi. Lo scrivere un articolo scientifico ti allena efficacemente ad essere chiaro, conciso ed a scegliere con cura estrema le parole, perché termini che sono sinonimi nella lingua parlata non lo sono affatto da un punto di vista scientifico. (Per esempio, quando sento la parola “teorema” applicata in ambito giudiziario, intesa come “presunzione di colpevolezza da parte del magistrato”, inorridisco. Quello non è un teorema, è una congettura. Un teorema è qualcosa di dimostrato in modo inoppugnabile). In secondo luogo, il lavoro chimico ha un sacco di tempi morti, e questi sono utilissimi per fantasticare e per inventare storie. Prova ne sia il fatto che c’è un certo numero di persone che, dalla chimica, sono passate alla scrittura. Primo Levi, Isaac Asimov, Sherwood Anderson… mica nomi da poco”.
Stupito del suo successo, sa però a cosa è dovuto: “quello che ha ‘preso’ dei miei romanzi sono i personaggi, l’umorismo che ne viene fuori”.
Ironico e umorista è anche il suo occhio sulla realtà “Mi sembra che la situazione sia molto simile all’epoca della caduta dell’impero romano: decadenza, orge, e i cosiddetti barbari alle porte. Temo che l’invasione non sia lontana, e non sono sicuro che sarebbe un male. Avrei solo una richiesta: preferirei essere invaso dai cinesi che dagli arabi, cucinano meglio!”.
Un umorismo efficace, mai banale o volgare. “A volte ridevo da solo a leggere le cose che avevo scritto io…”
Un buon risultato dovuto anche all’uso del dialetto.
“Credo che il dialetto sia un valore aggiunto, ma ho anche la fortuna di aver avuto un battistrada come Camilleri, che ha sdoganato questo genere di scrittura nel mondo contemporaneo, altrimenti non so come sarebbe andata. Per questo, credo che un ingrediente indispensabile del successo sia stato l’aver pubblicato per Sellerio. È una casa che pubblica poco, ma con estrema selettività, e raramente dà delle fregature al lettore”.
Non a caso rimase un po’ stupito quando la Sellerio lo contattò per la pubblicazione del volume. Lui l’aveva inviato a 15 editori. “Beh, il primo l’ho mandato a quindici case editrici. Mi ha risposto solo Sellerio. Ho quasi il sospetto che le altre non lo abbiano nemmeno letto…” confessa.
Oltre alla pubblicazione e al mero aspetto economico (che conta non poco, perché sono un essere fondamentalmente avido) la cosa gli ha fatto più piacere è stato sentirsi dire: “Ho letto il tuo libro in un periodo di merda, e mi ha fatto passare due ore spensierate”. “Per un libro pensato come puro intrattenimento, credo sia il complimento più bello che si possa ricevere”.
Le sue storie nascono dall’osservazione di un evento casuale, che gli dà lo spunto per diventare la possibile chiave di volta della storia.
“Il classico indizio che non significa nulla per nessuno, tranne che per l’investigatore. Da lì incomincio a discutere la storia con mia moglie, andando a cena fuori, di solito. In capo a qualche mese la trama è fatta, e poi c’è solo da far parlare i personaggi. Finora, tra l’altro, la parte debole dei miei gialletti è stata effettivamente la trama: sotto quest’aspetto devo migliorare parecchio”.
Anche lui parla solo di ciò che sa. Di idee gliene vengono molte: “Quando inizio a ossessionarmi, ne parlo con mia moglie. A me, di solito, tutte le idee che vengono sembrano eccezionali; in realtà un buon settanta per cento sono delle vaccate. In questo, il giudizio di un’altra persona è fondamentale. Quando a Samantha piace, mi sento rassicurato e posso mettermi a scrivere”.
La storia è già lì prima di iniziare anche se molti cambiamenti vengono fuori scrivendo. “Sì, infatti nelle storie ciò che mi interessa è la ricostruzione della vicenda. L’indagine procede a partire dalla scoperta di un incoerenza. C’è sempre qualcosa che non torna, che cozza con la realtà dei fatti e che è una possibile scintilla di partenza per l’indagine su cui si tenta di costruire la verità attraverso una deduzione logica”.
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