Venerdì Antonio Possenti ha compiuto ottanta anni. Un traguardo importante per quello che è- senza dubbio, al momento- il più noto e quotato pittore lucchese. Un pittore vero, degno di tale nome. Un artista di quelli con la A maiuscola. Quotato e venduto, la sua, in effetti, dal punto di vista meramente commerciale e di mercato è una storia di successo: piace (ai più) e vende (molto e bene).
Amico da sempre di Barga, quest’estate ha realizzato il manifesto del “Tra le righe di Barga” mentre nel 2005 aveva realizzato un’interessante mostra sulle bestie di Giovanni Pascoli.
Nato a Lucca, fino a dieci anni, però, ha vissuto a Livorno, un luogo che ha lasciato sicuramente in lui il segno. Il mare, il porto, i quartieri. Ricorda che spesso faceva a sassate con gli altri bambini.
Poi Lucca e gli studi. L’adolescenza e il rapporto, tutto particolare, con quel nonno così illustre: Augusto Mancini.
Laureato in giurisprudenza, insegnate di diritto per trent’anni, ha coltivato, sempre, la pittura. Ha confessato a Paola Coppola: “Quando ero bambino e mi chiedevano cosa volevo fare da grande, dicevo subito il pittore. Ero abile nella pittura. Poi ho fatto anche tanti altri lavori, per vivere. Ma il mio obbiettivo è sempre rimasto quello di fare il pittore a tempo pieno e il fatto di esserci riuscito è una gran cosa”.
Agli inizi, oltre alle ricerche pittoriche, si era fatto un nome come disegnatore satirico grazie a Mino Maccari che gli aveva richiesto delle illustrazioni per Il Mondo. Fondamentale fu l’incontro con il pittore russo Marc Chagall, nella- già allora rinomata- Costa Azzurra, in una calda estate del 1958.
“Non si ha difficoltà a trovare citazioni e suggestioni di noti pittori e artisti da cui egli attinge con molta discrezione, in modo che non ci se ne accorge” faceva notare, giustamente Dino Buzzati che lo definì “pittore fantastico e aristocratico”.
L’autore de “Il deserto dei Tartari” fu solo uno dei tanti nomi (veramente) importanti che, nel corso degli anni, hanno scritto di Possenti. L’elenco è da capogiro: Piero Chiara, Pier Carlo Santini, Fortunato Bellonzi, Aldo Busi, Massimo Duranti, Giovanni Faccenda, Alfondo Gatto, Paolo Levi, Nicola Micieli. Per dirne solo alcuni.
Vittorio Sgarbi che lo definì “coltissimo pittore dell’Altrove”, nel 1998, ha scritto: “Possenti è un uomo e un pittore fuori dall’ordinario: dolcissimo, pieno di idee e impareggiabile inventore per sé e per gli altri. Possenti è delicato poeta di un surrealismo fin qui ignorato. Egli vive in un mondo incorrotto e inattingibile, in una dimensione “metafisica” quotidiana e affettuosa. Uno dei compiti dell’arte – in particolare di quella surrealista – è di rappresentare non ciò che è fuori, ma ciò che della realtà è sepolto dentro di noi. Possenti l’ha svelato. Vedo in lui un Goya festoso, se non felice, con lo stesso tocco impalpabile e liquido, ma senza il dramma e le angosce, senza le ragioni di una storia così urgente e provveduto invece di una più tranquilla inclinazione alla favola, come un territorio sicuro, di fuga ma senza troppe illusioni. Non il sogno, in Possenti, ma l’invenzione del sogno: ciò che lo fa appartato e naturalmente nuovo rispetto ai maestri cui egli ha più guardato”.
Giorgio Saviane, nel 1994, aveva invece scritto: “Su Antonio Possenti è stato detto di tutto, perché è tutto: un pittore che non suscita parole è come un mago che non fa miracoli, mentre è proprio questo seguire l’impossibile, la dote suprema di Possenti, che non si ferma davanti a nulla per inventare, e l’invenzione è sempre miracolo e un po’ di pazzia. Qual è l’artista che non sia anche matto? Perfino Toulouse Lautrec lo era pur nell’esattezza del segno. A Possenti non piace ritrarre, pare che il segno gli esca dall’anima già composto a spiattellare l’ironia, la tragedia, la stupefazione, il ridicolo, l’estasi. Nei suoi mari in una stanza il mare è penetrato, ha sconvolto e se n’è andato lasciando però il suo sapore: il sentimento in Possenti urla o non c’è, quasi a sdegnarlo perché il colore non sia sentimento, ma comunicazione, arte, tono, chiamata, luce, qualche volta sogghigno, perfino tenerezza, sentimento mai”.
Parole importanti, giuste, meritate. Per un pittore colto, (a suo modo) raffinato, (a volte) criptico. Sempre ironico. Sempre con una certa misericordia come ha confessato lui stesso. Ha anche ammesso: “nonostante gli anni il mio sguardo sulle cose è abbastanza innocente”.
E così, continua a disegnare, dipingere, raccontare nel suo studio in Piazza Anfiteatro. Un paio di stanze di un vecchio Palazzo che si raggiungono dopo una serie di ripidi gradini.
Sembra il luogo giusto per la creazione delle sue opere, difficile immaginarlo in altro contesto. Difficile immaginarlo in un’altra città, eppure, soprattutto negli anni settanta le proposte e le richieste di trasferirsi in metropoli per favorire anche i contatti con galleristi e esperti del settore, non sono state poche. Ma lui, è, sempre, quasi testardamente, rimasto a Lucca dove, dice, “si ostina a vivere”.
La Città, al contrario di quello che ha fatto con molti altri suoi pittori, lo ha sempre considerato. Consacrandolo nel 2004 con un imponente mostra a Palazzo Ducale dal titolo suggestivo e quanto mai azzeccato: “Vademecum per il viaggiatore visionario”. 11.500 visitatori in meno di due mesi. Cifre impressionanti per la “provinciale” Lucca.
Nel 2011 presso la Fondazione Banca del Monte di Lucca ha realizzato la curiosa mostra “Zoo Possenti” ideata e curata da Marco Palmidessi.
Negli ultimi anni accanto a mostre nelle grandi capitali europee (vedi Bruxelles, Madrid o Stoccolma) e non solo ha affiancato una serie di esposizioni dedicate a personaggi della letteratura come Rimbaud, Carducci, D’Annunzio, Pascoli, Proust, Poe e Tobino ma anche su personaggi storici come il nazionalpopolare Garibaldi eroe amato da Possenti di cui è, appassionato, collezionista di oggetti che lo riguardano siano essi dipinti, statue o scatole di prodotti che portano il nome del glorioso condottiero italico come quelle dei biscotti che andarono a ruba dopo la sua visita a Londra.
Una scelta, quella di raccontare dei personaggi famosi, magari discutibile e limitante che però è sempre riuscito a portare a fondo con originalità e ironia.
Un’ironia che rende possibile accettare anche ciò che è spiacevole o magari drammatico.
Lui, come ha ammesso quest’estate in una bella intervista a Valeria Caldelli, si definisce “infante vegliardo”. Il titolo di una prossima mostra che vorrebbe realizzare a Lucca.
Definizione azzeccata. Perfetta. Un anziano che vede il mondo con gli stessi occhi di quando la madre lo portava al mare, sul molo, a Livorno. Ricorda: “ mia madre aveva diverse fissazioni tra cui quella di portarmi al mare tutti i giorni. Così guardando la linea dell’orizzonte immaginavo tante cose. Dove vanno quelle navi che si vedono in lontananza? Arriveranno a destinazione? Cosa c’è al di là dell’orizzonte?”
Suggestioni, quesiti, ansiose curiosità che sembrano poi essersi riversate nelle sue opere che risentono della sua passione per l’ignoto, il viaggio, l’avventura.
Non a caso il suo romanzo preferito è stato Moby Dick (che ha letto almeno venti volte e, dice, di non vedere l’ora di rileggere) e non è un caso se ha realizzato una serie di (riuscitissime) opere su vecchie carte nautiche e che i suoi quadri siano pieni di creature mitologiche, animali esotici, curiosi volatili, esploratori perduti, vecchi sognanti, marinai interamente tatuati e donne inquietanti.
“E’ l’universo di chi ha visto e preso tutto senza viaggiare” spiega Adolfo Lippi che lo ha accomunato a Emilio Salgari, anche lui viaggiatore “senza valigia” che era stato in tutto il mondo, senza spostarsi dal suo tavolo di scrittura. Un paragone che non penso dispiaccia a Possenti che speriamo di vedere presto al lavoro sul padre di Sandokan. Ne verrebbe fuori, sicuramente, qualcosa di divertente e affascinante: una gioia per occhi e mente grazie a quelle sue visioni che, si badi bene, sono sempre immaginate a occhi aperti. Confessa, infatti: “sogno ogni volta che dormo ma non trasferisco mai niente di ciò nei miei quadri”.
Quindi i suoi occhi (aperti) vedono altro e oltre. Dall’occhio, al cuore, fino alla mano, anzi, alla matita che non è altro, sostiene lui, che il prolungamento dell’arto.
Più emotivo che razionale, odia coloro che si lamentano sempre e, confessa, di non ha paura della morte che ritiene una cosa naturale. Non attribuisce alla vecchiaia un aspetto negativo, anzi: “ci sono aspetti favorevoli: ad esempio, per quanto mi riguarda, ritengo utilissima la mia assoluta mancanza di memoria: se certe cose uno dovesse ricordarle con la stessa intensità con cui le ha vissute sarebbe una tragedia”.
È convinto che “l’arte non è la scienza che parte da zero ed arriva al bosone”.
Spiega: “L’arte, dai graffiti sulle caverne ai tagli di Fontana non ha vissuto, non vive, l’evoluzione alla Darwin. L’arte, in ogni tempo (nei tempi che mutano) non proviene da quella “di prima”. Certo, vi sono conquiste progressive, vedi la prospettiva, vedi il modo di fare i colori. Ma l’astrattismo non è il processo evolutivo dell’impressionismo. Gli artisti stanno ognuno, nel loro tempo, compiuti”.
Come lui, Antonio Possenti artista lucchese del secolo XXI che a ottanta anni riesce ancora a stupirci e a regalarci emozioni, ad arricchirci e a farci crescere. Cose che ogni artista dovrebbe fare, ma che in pochi (pochissimi) fanno.
Grazie Maestro.
Auguri!