Al Teatro Accademico di Bagni di Lucca, si è tenuto un concerto tributo a Fabrizio De André complesso “Kinnara”. Un evento è promosso dal comune di Bagni di Lucca, in collaborazione con la fondazione Miche de Montaigne e la fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
Faber (come lo chiamavano i suoi fan) il prossimo 18 febbraio compirebbe 73 anni; era infatti nato a Genova nel 1940 in una ricca famiglia. Giovane irrequieto, aveva scelto la Genova dei carrugi, la Città vecchi “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”.
De André è sempre stato vicino e attratto dagli ultimi divenendone il cantore: dalle puttane di Via del Campo, agli indiani d’America, dai rom delle moderne periferie ai povericristi di ogni tempo.
La sua prima canzone raccontava del Michè che si era impiccato in carcere perché “non poteva restare vent’anni in prigione lontano da te.”
La morte è sempre stata molto presente nelle sue canzoni.
Come quella di Piero che in un giorno di primavera viene ucciso da un uomo “con la divisa di un altro colore”, o come quella dell’amico Luigi Tenco a cui dedicherà “La Ballata degli impiccati”, o Marinella, “volata in cielo su una stella”. Proprio grazie alla fortunata interpretazione di questa canzone da parte di Mina, De André ebbe, finalmente, visibilità nazionale.
Iniziò lì il suo successo, alle spalle aveva già alcuni album dai risultati poco incoraggianti. Faber divenne un mito, un simbolo in quegli anni così particolari.
Non credeva nel Dio delle Chiese ma credeva nel “più grande rivoluzionario di tutti i tempi” : Gesù di Nazareth (e non è un caso se chiamerà il suo primo figlio, oggi-anche lui- cantante, Cristiano). Realizzerà in pieno sessantotto un opera spiazzante come la “Buona Novella” ispirata ai vangeli apocrifi. Un opera di profonda poesia, in cui racconta per lo più la storia vista dal punto di vista di Maria cacciata dal tempio all’età di tredici anni a causa delle mestruazioni che davanti al Figlio che muore in un verso di atroce poesia, dirà: “Non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio”.
Quasi una bestemmia. O una preghiera disperata e “smisurata”. Come il Testamento che Tito (uno dei due ladroni che muoiono con Cristo) griderà dalla croce.
E che sembra riecheggiare nelle vite gli umili morti di provincia di Spoon River. dell’album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”, ispirato all’opera di Edgar Lee Masters, tradotta da Fernanda Pivano.
Durante il tour con la Premiata Forneria Marconi nel 1979 fu rapito dall’Anonima sarda insieme alla moglie Dori Ghezzi. Quando fu rilasciato ebbe parole di comprensione verso i suoi rapitori, da questa esperienza nacque la struggente “Hotel Supramonte” e un album sui nativi d’ America e il loro sterminio, come quello del Fiume Sand Creek.
Seguì uno disco “coraggioso” come “Crueza De Ma” interamente in genovese. Nel corso degli anni ottanta le sue apparizioni si fecero sempre più rare. Se ne sta all’Agnata a fare l’agricoltore e decide di apparire in pubblico solo quando ha qualcosa da dire, sempre con parole calibrate, precise taglienti.
De André, come scrisse in un bellissimo ritratto per la repubblica Michele Serra, “aveva un bellissimo viso da signore, ancora ben intuibile dietro gli sfregi lividi dell’alcol, come in un ritratto di Bacon. E aveva un bellissimo cuore, il cuore dei grandi poeti, aperto al cielo, alle nuvole, alle donne che amano, ai soldati che muoiono, ai potenti che comprano, ai delinquenti che pagano”.
Negli ultimi due album “Le Nuvole” e “Anime Salve” cantò la solitudine e l’alienamento contemporaneo.
Nell’ultimo periodo della sua vita, dopo anni tormentati, aveva ritrovato la serenità e un giorno, in cui le rocce e il mare si tingevano di rosa, davanti al mare, aveva confessato, all’amico Vincenzo Mollica, la voglia di rivedere quel padre con cui aveva avuto un rapporto complicato e che gli aveva fatto giurare, sul letto di morte, di smettere di bere, salvandolo dall’alcolismo. Avrebbe voluto parlargli, rivederlo. Più di ogni altra cosa.
Il pescatore si è assopito l’11 gennaio 1999 in un giorno grigio, con il cielo basso. Una folla immensa assistette ai suoi funerali nella Basilica di Santa Maria in Carignano.
Scrisse Ranieri Polese: “Era difficile non piangere. Solo gli ipocriti, i sepolcri imbiancati, i filistei bigotti e senza cuore potevano trattenere la commozione. Ma grazie a Dio ieri, alla messa per il nostro fratello Fabrizio che ci lasciava, “gli stolti e gli sciocchi” non erano venuti.
Anche i politici e le celebrità che affollavano la chiesa di Santa Maria dell’Assunta in Carignano, confusi fra le persone comuni, parevano spogliati dei loro titoli ed emblemi. Erano lì anche loro a piangere una persona cara, un grande amico, costretti come tutti a interrogarsi sul perché della sua morte. L’ha riconosciuto nella sua breve omelia anche don Antonio Balletto che dall’altar maggiore ha chiesto a Dio padre di avviare il fratello Fabrizio verso i pascoli del cielo. A lui, ha detto don Balletto, il cielo aveva dato un dono raro: quello di toccare i cuori, di scorgere i fiori là dove gli altri vedono solo disperazione. De André, insomma, come Cristo: Entrambi hanno saputo vedere cuori stupendi dove gli altri vedono fango”.
Mentre veniva portato, per sempre, su in Collina, davanti alla chiesa di Carignano, al balcone dell’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù e Maria era stato uno striscione bianco con scritto “Grazie Fabrizio”. E lo gonfiava la tramontana.
Un bello spettacolo quello di ieri sera a Bagni di Lucca, anche se era come mancasse qualcosa… la voce di Faber. Quella voce inconfondibile e inimitabile. Levigata da centinaia di sigarette. Quella voce profonda, sofferente, dolce. Coerente a ciò che diceva.
httpv://www.youtube.com/watch?v=0l_eCjETnHg