[…] Nei precedenti articoli ci siamo fatti un’idea della spiritualità che animò il nostro Beato Michele, ma ora – pubblicando proprio nella ricorrenza della sua morte, 30 aprile – cerchiamo di addentrarci un poco nel concreto della sua opera evangelizzante per capire a cosa mirasse e soprattutto da cosa muovesse.
Il sec. XV in cui visse e operò il Beato Michele può essere definito difficilissimo per la vita della Chiesa, divisa e in costante perdita di attendibilità a tutti i livelli. In una tale situazione si può ben capire che occorsero persone e religiosi particolarmente dediti alla rinascita della fede, tra questi eccelsero i francescani, che si prodigarono tenacemente, secondo i fini dell’Ordine, nell’apostolato della strada: tra la gente e per la gente.
Quando negli anni trenta del Quattrocento il Beato Ercolano da Piegaro iniziò a fondare nella nostra Valle i primi Ritiri degli Osservanti a Borgo, Barga e Pieve Fosciana, anche qui le cose erano simili al resto d’Italia. Ovvio rilevare che l’idea di far penetrare tra noi il messaggio di S. Francesco fosse diretta all’evangelizzazione dei nostri progenitori, confusi e in preda ai mali in cui si agitava la divisa Chiesa, o meglio, all’indirizzamento della loro fede verso quei canoni che trovavano nello stesso S. Francesco il maggiore interprete, specialmente condivisi da coloro che strettamente avevano scelto di vivere la Regola da Lui dettata, cioè, i Frati Minori Osservanti. Questi si distinguevano dai confratelli Conventuali proprio per la rigida applicazione della Regola.
La storia ci dice che il principale discepolo del Beato Ercolano fu proprio il Beato Michele da Barga, alla morte del Maestro avvenuta nel 1451, prendendone sulle spalle tutta la sua eredità spirituale e materiale. Fra Michele, sia pure animato da un carattere molto adatto a comunicare con gli altri, fu seguendo l’insegnamento di fra Ercolano che raggiunse grandi risultati di notevole spessore spirituale i quali, sorretti da una vita edificante in santità, scientemente contribuirono a risollevare il tono della Chiesa di Barga e della Valle.
Per capire un poco quale sia stata l’importanza dell’azione del Beato Michele e degli Osservanti in genere nel Quattrocento Barghigiano, Garfagnana e Lucchesia, bisogna spendere qualche parola rispetto a quanto si è accennato poc’anzi, cioè, sulla particolarità di quel secolo in Italia dal punto di vista religioso.
Nei fatti, con lo scisma d’occidente (1378-1449), si accentua drammaticamente la già latente crisi d’identità della Chiesa, producendo tre obbedienze, con alterne fortune, che contrapposero papi ad antipapi. Questo stato delle cose generò abusi, deficienze e corruzioni dei costumi già condannati da Pier Damiani, Bernardo e Francesco d’Assisi e che non poterono essere arginati nei concili di Costanza (1414) e Basilea (1431).
Si creò a tutti i livelli un pericoloso lassismo, sempre più sfociante nella degenerazione che portò la chiesa cattolica allo sbando generale. Sui papi gravava l’accusa di simonia e nepotismo. Solo le occasioni di difesa della cristianità dal Turco avranno gli effetti, se c’è permesso dirlo, di un positivo coagulo.
Nella nostra Valle, alla fondazione dei Ritiri francescani, la qualità del clero non brillava e si era persa l’attività caritativa che era svolta nei luoghi di ospitalità. (L. Angelini)
Nel caso di Barga, come in genere, quest’assenza o latenza spirituale fu coperta sempre più dall’autorità laica del Comune, non solo economicamente ma anche con energie e idee, tanto da indicare quasi le vie della fede. Per esempio era prerogativa del Comune la nomina dei pievani, dei cappellani e dei rettori delle varie chiese ancora funzionanti nel territorio di Barga.
Nei fatti, i rappresentanti del Comune s’impegnavano a conferire con il vescovo di Lucca – in quel tempo Barga era parte di quella Diocesi – poi, convocati a Parlamento i capifamiglia, unitamente al Consiglio della Terra, autonomamente eleggevano il nuovo pievano, mentre il solo Consiglio eleggeva i cappellani e i rettori. Questa particolarità elettiva sembra provenisse dalla singolare storia di Barga, comunque ponendovi in questo secolo un certo rimedio. Su quest’ultimo argomento vedi il libro: Il Duomo di Barga, Arte e Spiritualità nei primi tre secoli dopo il Mille, AA.VV. – Polisportiva Valdilago Barga, 2010.
Se rapportiamo all’oggi questo modo di agire resta facile intuire quanto di spirituale potesse avere avuto una siffatta nomina e quale importante ruolo avessero esercitato le famiglie più facoltose del Castello, dove in seno ad esse c’era spesso un figlio prete da sistemare.
L’azione benefica e caritativa degli Osservanti Francescani di Barga, guidati nello spirito dall’esempio del compagno fra Michele, ossequiato dal popolo come un santo, un poco alla volta sortì i suoi frutti. Infatti, secondo le linee dettate dall’impegno propagandistico di fra Alberto da Sarteano, ripresero vigore gli ospedali di S. Croce e S. Lucia; a questi, secondo quanto recita l’Estimo del Comune del 1477, si era unito un terzo ospedale di chiara matrice francescana, quello di S. Antonio.
Nei frequenti casi di peste, i frati di Barga e della Valle, sospinti dall’energica presenza di fra Michele, indossando l’abito ferale del monatto, risposero eroicamente ai drammatici appelli delle popolazioni eccellendo per sacrificio e soccorso spirituale; un’azione caritatevole dal duplice effetto: carità e speranza, così riuscendo vieppiù a incidere sulla vita religiosa del popolo.
L’Anonimo autore del codice 140 della Biblioteca Landau-Finaly e più volte ricordato nei precedenti articoli (testo interamente pubblicato nel libro Il Culto del Beato Michele da Barga di Pier Giuliano Cecchi, Barga, 2000) ecco cosa ci dice in merito di fra Michele:
Ne anchora non perdonò alla vita propria mettendo quella appericolo et repentaglio perché molte anime non si perdessino.
Et questo fu che venendo una grande peste et mortalità di homini per tutta la Carfagniana, frate Michele cor uno compagnio andava visitando questi infermi, ora in questo castello, ora in quell’altro, confortandoli dell’anima et del corpo, ascoltava quelli in confessione, ministrava loro la sacra comunione et dava loro la exstrema untione quando era a tempo et se poteva racomandava l’anima et ultimata morte portava li loro corpi alla sepoltura et colle sua mani, insieme al compagnio, li seppelliva, et fu tenuto il conto dal compagno che in decta peste circha a di septecento corpi con le loro mani dectono la sepoltura.
Et perché frate Michele circha alle ordinatione del divino culto era molto cerimonioso, pochi furono alli quali non celebrassi li consueti offitii come usano li frati nelle sepolture de morti, coll’acqua benedecta, crocie et incenso, non essendo più che loro due frati.
Et partendosi un giorno frate Michele da Barga per andare a Gallicano, era in decta via uno hoste fiorentino el quale già tutti li figlioli et la famiglia sua haveva sotterrato per decta peste et ultimamente essendo infirmata la sua donna che era gravida di septe mesi venne a morte: per la qual cosa decto hoste era in grandissima afflictione.
Et udendo tal cosa frate Michele, confortò decto hoste quanto poté et di poi udì la decta donna in confessione, la quale haveva nome Catherina. Et dopo la confessione agravando la decta donna nel male et già allo stremo della vita, molto di doleva frate Michele con el suo compagnio dell’anima che si perdeva di quella creatura della quale era gravida decta Catherina.
Et finalmente dixe: preghiamo Dio per questa anima acciocché non si perda: l’anima compagnio mio, è grande cosa et fu ricomprato grande et pretioso prezzo. Et decto questo si possono ambedua alla oratione, meglio che poteva a chiamare et dare ad intendere con grande suo affanno che aveva parturito la creatura. Et correndo l’oste et li frati al lecto trovarono quella havere parturito uno figliolo mastio: el quale pigliando frate Michele nel nome del padre et del figliolo et dello spirito sancto lo battizzò: et nanzi che si partisse di casa frate Michele portò la madre con el figliolino in fra le braccia alla sepoltura.
L’impegno di fra Michele e degli Osservanti fu diretto anche a rinnovare la vita della Chiesa di Barga, sempre più nelle mani laiche del Comune che ben volentieri si sostituiva alla scarsa incisività del clero in crisi d’identità e umanamente latente. Così assistiamo nel 1470 al diretto intervento di fra Michele nell’elezione del nuovo pievano, come fu richiesto il suo parere nella scelta del nuovo cappellano dell’altare del SS. Crocefisso, ma di queste due cose, testimonianti la venerazione che Barga nutriva per il suo fra Michele, ne riparleremo nella prossima puntata. (continua)