Secondo una recente ricerca di un team di studiosi statunitensi tra i nomi più “cliccati” del web il podio spetta a Gesù Cristo. Al secondo posto troviamo Napoleone Bonaparte, “l’imperatore dei francesi”, l’uomo che da soldato arrivò a comandare un regno che andava dal “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno” e che, precisamente duecento anni fa, arrivava all’isola d’Elba. Era il 4 maggio 1814.
Per l’occasione, sull’isola toscana e non solo, sono stati organizzati una serie di eventi, mentre l’Europa si prepara a un altra importante ricorrenza: quella del 2015, a duecento anni dalla battaglia di Waterloo e dall’esilio a Sant’Elena.
Intanto, è uscito un importante volume edito da Gangemi: Napoleone. Imperatore, imprenditore e direttore dei lavori all’isola d’Elba, frutto di dieci anni di lavori e ricerche che le autrici, Roberta Martinelli e Velia Gini Bartoli, hanno compiuto sulle residenze napoleoniche a Palazzo dei Mulini di Porto Ferraio e non solo.
L’intento, era arduo e all’apparenza presuntuoso: correggere due secoli di errori e di leggende riguardanti le residenze di Napoleone sull’isola. Ma le autrici sembrano esserci riuscite brillantemente a compiere la loro missione, con scoperte estremamente interessanti.
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Lo testimoniano l’autorevole saggio introduttivo di Bernard Chevallier (uno dei maggiori esperti mondiali di storia napoleonica ed ex presidente della Fondation Napoléon di Parigi) e l’altrettanto autorevole prefazione di Luigi Mascilli Migliorini (il più importante storico italiano dell’epoca napoleonica e membro dell’Accademia dei Lincei).
Dalle ricerche effettuate viene fuori che quello di Napoleone all’Elba non fu un dorato esilio e che le strutture in cui abitò non corrispondono a quelle che abbiamo visto sin ora. Per capire meglio cosa è venuto fuori da queste ricerche abbiamo incontrato le due autrici.
Roberta Martinelli, direttrice del museo nazionale delle residenze di Napoleone all’Elba dal 1998 al 2013 ci ha spiegato: «Il libro abbiamo deciso di farlo per dare testimonianza delle nostre scoperte frutto di un grosso lavoro di ricerca storica e iconografica a tutto tondo. Abbiamo voluto poi chiarire qualche luogo comune. Ad esempio, la prima cosa da partite, può apparire banale, ma in pochi la conoscono: nella vulgata comune spesso si confonde l’esilio toscano con quello di Sant’Elena e si immagina il grande militare come un borghese in vacanza o un prigioniero, afflitto e sconfitto. Così non fu. Napoleone detenne il titolo di Imperatore, certo di una piccola isola, ma doveva seguire un protocollo ben preciso. Ad esempio, Napoleone arrivò in rada il 3 maggio ma aspettò il giorno dopo per scendere perché prima di lui doveva arrivare la bandiera bianca divisa diagonalmente da una striscia rossa con tre api. Insomma, Bonaparte arriva da Imperatore e da Imperatore si comporta, dall’inizio alla fine».
Gli fa eco Velia Gini Bartoli, storica dell’architettura formatasi alla scuola di Saverio Muratori: «Il nostro lavoro è stato la correzione di un tiro sbagliato dall’inizio sin da quando i musei sono passati allo Stato, nel 1927, c’è stato subito un approccio sbagliato. Napoleone aveva concepito il comparto in cui viveva come una reggia, un sistema fortificato autonomo, fatto da una residenza e da Forte Stella e Forte Falcone, aveva occupato un quinto di porto ferraio. L’errore è quello in cui ancora oggi anche la cartellonistica cade, di definire la residenza dell’imperatore una “casa”. Napoleone non aveva una “casa”, ha adattato il complesso urbanistico, alle sue esigenze, con un sistema molto complicato di assistenza e di servizio che era quello della Maison de l’Empereur. Napoleone non si muoveva mai prima di tutto senza avere ben chiaro dove andava e anche chi gli serviva. Confrontandoci con dei colleghi francesi abbiamo notato che in Francia la Maison era composta da 120 persone all’Elba da 60. Insomma, occupò l’isola da imperatore».
E così, attraverso una ricerca storica, critica e iconografica le due studiose sono riuscite a ricostruire la vera Reggia.
«Alla fine non è stato molto complicato- spiegano-: Napoleone aveva 47 case sparse in Europa, sistemate tutte allo stesso modo: c’era una gerarchia degli spazi, ad esempio doveva avere almeno tre camere da letto e una scala da cui passava lui solo, da cui nessuno doveva passare per la sua sicurezza: non si doveva mai sapere dove dormiva l’imperatore. Rifacendosi alla struttura degli altri edifici, abbiamo ridato un’identità e un senso alla gerarchia degli spazi della struttura che ora è sicuramente molto più simile all’originale. Ma la nostra intenzione è quella di riportare la Reggia, totalmente, a quello che era: sappiamo infatti quali erano i colori, i tessuti, gli arredi che sicuramente vi erano. Tutte queste scoperte se realizzate e applicate avrebbero una valenza turistica eccezionale. Il ministero potrebbe investendo poco avere un grande ritorno e passare da 200 mila a 500mila».