The latest exhibition by Keane, 9 paintings in lacquered oil mounted in the MURF – Museo Rocche e Fortificazioni in Barga Vecchia, is an eloquent study in the suggestive complexity of simple objects. Their immediate subject is the “vanga,” the traditional spade used by Tuscan peasants since time immemorial to turn their soil.
Viewed from a variety of perspectives, Keane’s vanghe are as unprepossessing as the men and women who once used them in every Garfagnana field. They are rusted with age and use, no longer attached to the wooden bastone that served to guide and lever their downward thrust, encrusted with pits and fissures in the paintings’ lacquer.
It is in these very details that the exhibition’s larger meaning unfolds, the longer a visitor regards them. Weathered, half abandoned, the vanghe speak of age and the passage time, of the harshness of peasant life and also its intrinsic dignity. Its nobility. They are windows into the waning of traditions that reach back to the ancient past of the Serchio Valley, to farmers who wielded implements just like these several millennia before Rome was founded — you can see them in the remarkable museums of San Pellegrino in Alpe and Pontremoli — and to their direct descendants, the parents and grandparents of today’s Barghigiana. The vanga was an essential prop in their lives just a generation or two ago.
Now, like so much of the material culture that survived from prehistory to the dawn of the Internet, they are fading into what remains of our collective memory.
The vagaries of memory, the subtle dialogue of tradition and change, are chronic obsessions for Keane, and with each new sortie into their undercurrents his work has assumed its own increasingly subtle depths. I asked him about the his choice of media in the vanga portraits. In my view, initially, the glare of the exhibition’s overhead lighting, reflected in the lacquered surfaces, was troubling. To fully appreciate the heft of these implements, and the immense effort required in their use, the usual art mostra walk-by won’t do. It takes an effort of its own, a kind of dance around each vanga to sidestep and shift the glare.
“That’s precisely the point,” Keane responded. “We’re looking at a vanishing world, all but lost in the glare of what has replaced it.” But “vanishing” is not the same as “vanished.” The old world, suggestive and timeless, courses below the surface of our virtual times, speaking softly to those who are willing to listen. La vanga ha la punta d’oro, a venerable Tuscan proverb declaims. “The vanga has a golden tip.”
Quanto a tesori, un’altra se ne narra.
C’era una volta un vecchio contadino
che aveva un suo campetto e la sua marra
e tre figlioli. Giunto al lumicino
volle i suoi tre figlioli accanto al letto:
“Ragazzi” disse “vado al mio destino ;
ma vi lascio un tesoro, è nel campetto…” .
E non potè più dir altro, o non volle.
A mente i figli tennero il suo detto.
Quando fu morto, quelli il piano e il colle
vangano, vangano, vangano, invano );
voltano al sole e tritano le zolle:
nulla! Ma pel raccolto, quando il grano
vinse i granai, lo videro, il tesoro
che aveva detto il vecchio: era in lor mano:
era la vanga dalla punta d’oro.Giovanni Pascoli
Article by staff reporter of barganews, Frank Viviano, a journalist nominated 8 times for the Pulitzer Prize and bestselling author. All of Frank Viviano’s articles on barganews can be viewed here.
La più recente esposizione di Keane, composta da 9 dipinti ad olio laccato montati presso il MURF – Museo Rocche e Fortificazioni di Barga Vecchia, è uno studio eloquente sulla complessità suggestiva degli oggetti semplici. Il loro soggetto immediato è la “vanga,” la tradizionale zappa utilizzata dai contadini toscani fin dai tempi immemorabili per rivoltare la terra.
Viste da diverse prospettive, le vanghe di Keane sono altrettanto semplici quanto gli uomini e le donne che un tempo le utilizzavano in ogni campo della Garfagnana. Sono arrugginite per l’età e l’uso, non più attaccate al bastone di legno che serviva a guidarle e a levarne il peso, incrostate di buchi e fessure nella lacca dei dipinti.
È proprio in questi dettagli che si svela il significato più ampio della mostra, quanto più a lungo il visitatore le osserva. Invecchiate, in parte abbandonate, le vanghe parlano dell’età e del trascorrere del tempo, della durezza della vita contadina e anche della sua intrinseca dignità. Della sua nobiltà. Sono finestre sul declino delle tradizioni che risalgono al passato antico della Valle del Serchio, agli agricoltori che maneggiavano strumenti simili parecchi millenni prima della fondazione di Roma: è possibile vederli nei notevoli musei di San Pellegrino in Alpe e Pontremoli. Sono anche legati ai loro discendenti diretti, i genitori e i nonni degli abitanti di oggi della Barghigiana. La vanga era un elemento essenziale nella loro vita solo una o due generazioni fa.
Ora, come gran parte della cultura materiale che è sopravvissuta dalla preistoria all’era dell’Internet, stanno svanendo nella memoria collettiva.
I capricci della memoria, il sottile dialogo tra tradizione e cambiamento, sono ossessioni costanti per Keane, e con ogni nuova incursione nei loro sottotoni, il suo lavoro ha assunto profondità sempre più sottili. Gli ho chiesto del suo scelta di supporto per i ritratti delle vanghe. A mio parere, inizialmente, il bagliore delle luci sovrastanti della mostra, riflessi sulle superfici laccate, era fastidioso. Per apprezzare appieno il peso di questi strumenti e l’immensa fatica richiesta per il loro utilizzo, non basta una rapida passeggiata per la mostra d’arte. Richiede uno sforzo proprio, una sorta di danza attorno a ciascuna vanga per evitare il bagliore.
“È proprio questo il punto”, ha risposto Keane. “Stiamo guardando a un mondo che sta scomparendo, quasi perso nella luce di ciò che lo ha sostituito.” Ma “scomparire” non è la stessa cosa che “scomparso”. Il vecchio mondo, suggestivo e senza tempo, scorre sotto la superficie dei nostri tempi virtuali, parlando dolcemente a coloro che sono disposti ad ascoltare. “La vanga ha la punta d’oro”, proclama un venerabile proverbio toscano.
Quanto a tesori, un’altra se ne narra.
C’era una volta un vecchio contadino
che aveva un suo campetto e la sua marra
e tre figlioli. Giunto al lumicino
volle i suoi tre figlioli accanto al letto:
“Ragazzi” disse “vado al mio destino ;
ma vi lascio un tesoro, è nel campetto…” .
E non potè più dir altro, o non volle.
A mente i figli tennero il suo detto.
Quando fu morto, quelli il piano e il colle
vangano, vangano, vangano, invano );
voltano al sole e tritano le zolle:
nulla! Ma pel raccolto, quando il grano
vinse i granai, lo videro, il tesoro
che aveva detto il vecchio: era in lor mano:
era la vanga dalla punta d’oro.Giovanni Pascoli
Articolo dello staff del reporter di barganews, Frank Viviano, un giornalista nominato 8 volte per il Premio Pulitzer e autore di bestseller. Tutti gli articoli di Frank Viviano su barganews possono essere visualizzati qui.