L’impressione dei funerali di Antonio Mordini, per Pascoli, fu pessima. Ricordava, anche a molti anni di distanza, con dolore e straordinaria forza evocativa “l’arrivo del povero morto tra il sole accecante, la polvere bianca, i visi e gli occhi rossi, le carrozze polverose, le persone disfatte, i fiori appassiti e gualciti”. Sul tardi, ma sempre sotto il sole abbagliante, il feretro fu trasportato ad Albiano, “senza nemmeno un cenno di campana” precisava il poeta. In quel giorno non c’erano preti perchè “sul feretro posero la camicia rossa fiammeggiante”. La ferita della Breccia di Porta Pia era ancora aperta e il Concordato di là da venire.
“Giornata tristissima” scriveva alla sera all’amico Alfredo Caselli.
“La commozione mi parve poca o punta, salvo in qualche barghigiano o qualche vecchio famigliare del morto e in qualche amico della famiglia. Il divieto dei discorsi, della musica, di tutto, se ottenne maggior affetto alle anime profonde raffreddò invece le anime a fior di pelle”.
“Il poeta – sosteneva- perchè pensi alla patria e alla società, bisogna proprio che sia un momento che intorno a lui tutti ci pensino”. In queste parole stava il significato più profondo del rammarico che si portò dietro da quella giornata canicolare.
Probabilmente si sarebbe aspettato maggiore partecipazione emotiva: la cerimonia era stata priva di quel coinvolgimento emozionale che il grande patriota sapeva dare e avrebbe meritato. Era mancato il pathos.
Che non mancò, invece, tre anni dopo, una domenica mattina di fine agosto quando piazzale Vittorio Emanuele e il “Fosso” si radunarono migliaia di persone (si parlò, poi, di seimila intervenuti) per l’inaugurazione del monumento a Antonio Mordini. L’opera, recentemente restaurata, fu realizzata da Raffaello Romanelli. Collocato su un a base di granito dove erano raffigurati episodi del Risorgimento. Il testo dell’epigrafe era stato dettato da Pascoli: “Senatore/ XIV volte rappresentante del popolo/una volta di Garibaldi dittatore/ nell’anno in cui combatterono i Mille/ fu dei più eloquenti a suscitare/ L’Italia nuova dalla memoria dell’antica/uditelo o cittadini/ che dal bronzo perenne pronunzia sempre/ io vi dico di serrare le file”.
E fu proprio Pascoli l’oratore ufficiale di quella giornata, presentato dal sindaco Giuliani e accolto da uno“scroscio interminabile di applausi”.
Parlò dal palco sotto il cedro secolare. Di lato, su un altro palco le autorità tra cui ministro Gismondo Morelli- Gualtierotti in rappresentanza del governo. Anche se l’amministrazione barghigiana si sarebbe aspettata la salita in Valle del Presidente del Consiglio Alessandro Fortis, amico di Mordini, che accampò scuse si salute e impegni precedentemente presi, scuse. Aveva in realtà timore che la sua presenza avrebbe sicuramente co mportato contestazioni per via della questione ferroviaria. E in realtà le proteste vi furono, a opera di alcuni gallicanesi, ma furono garbate e rispettose. Come l’accenno che Pascoli fece nel suo discorso ricordando che la ferrovia era stato il “voto supremo di Mordini”.
Che il poeta richiamò dalla morte: “Vieni e siici d’esempio”.
Poi elevò Barga a modello per tutta la nazione: il modello della cittadina medicea dove regnava “la pace sociale e l’amor di patria” doveva essere portato in tutta l’Italia dove, invece, succedevano “cose di gran vergogna”. Un modello di società coesa e solidale ispirata al culto della Patria insegnato da Mordini, il cui sguardo avrebbe scrutato, per i secoli avvenire, il futuro della Valle.
“Tu Antonio Mordini a me, a chiunque vorrà interrogrami, risponderai… lo scultore ti ha fatto parlante… risponderai mostrando al cittadino e all’ospite la tua bella valle dove è la pace sociale e l’amor di patria, donde partivi per collaborare con il grande eroe e col gran Re e ritornavi a dar consigli al tuo contadino; e checchè tu fossi nel mondo, ministro o esule, condannato o prodittatore, qua eri fratello e padre”.