Sunday, March 27, 2005

Trees in Barga

An email arrived in the offices of barganews this morning from a certain "Beppe di Frullino" and dated July 2010 ....

Barga, luglio 2010

Era dal 1998 che non tornavo a Barga.
Uscii al casello di Barga Sud della Lucca-Modena ma sul momento non riuscii a capire con precisione dove mi trovassi: c'era un gran traffico, anche pesante, e la strada era larga, diritta e fiancheggiata da grandi capannoni, alcuni dei quali provvisti di ciminiere vomitanti fumi di ogni tipo. Il cartello 'Zona Industriale Frascone' mi permise un primo orientamento: stavo guidando dove, un tempo, si stendeva un grande pascolo fiancheggiante il fiume Serchio, punteggiato qua e là da vigneti, pecore e alcune piccole case di pietra.
Mi incolonnai così assieme a una gran varietà di pullman turistici, stupendomi di come fosse diventata agevole la strada che mi doveva condurre fino al grande cedro del Giardino: appena superati i primi tornanti, il panorama si apriva e l'occhio poteva spaziare fino al Duomo, in quanto i numerosi alberi (platani secolari, ippocastani e quant'altro) che la fiancheggiavano non c'erano più: erano stati sostituiti con degli alberelli stenti, magri e bassi, che sicuramente non potevano nuocere alle grandi sagome multicolori dei bus a due piani. Il sole rammolliva impietosamente l'asfalto come in certi film ambientati nei deserti americani.



Ad un certo punto giunsi ad una rotatoria, al cui centro c'era una graziosa aiuola, e faticai non poco a rendermi conto che si stendeva dove un tempo si ergeva il grande cedro.
Girai verso destra, in direzione del parcheggio che era stato ricavato dal vecchio Parco Bruno Buozzi. Come Dio volle trovai posto, e mi accinsi al compito che mi ero proposto, cioè una visita ai luoghi nei quali avevo passato buona parte della mia esistenza.
Mi incamminai così lungo il viale del parcheggio, dove ormai non c'erano più alberi, ad eccezione di qualche piccolo e triste arbusto con la chioma acconciata a cilindro, o a cono, a seconda dei casi: solo marciapiedi pavimentati di materiale rosaceo, panchine di ferro stile liberty, e turisti di ogni nazionalità.
Arrivato al vecchio ponte di pietra, notai subito il grande cartello con la dicitura 'Barga città più verde d'Italia': era affisso sul muraglione che sosteneva le prime case, costruito per fronteggiare la tendenza a franare del pendio, emersa dopo l'abbattimento totale di tutti gli alberi .



Più in alto, si ergeva la mole maestosa del ponte più grande, quello di cemento armato: i tre grandi alberi situati tra i due ponti non c'erano più. Ricordai per alcuni minuti le sensazioni piacevoli che si potevano sperimentare al loro cospetto, in ogni stagione; qualcuno, a suo tempo, mi aveva anche narrato che avevano salvato la vita a due persone che, scivolate giù, si erano aggrappate alle loro generose chiome, attutendo in qualche modo la caduta.
Proseguii imboccando il vialetto che conduceva verso l'antico acquedotto, costeggiando il parco giochi con la grande fontana, spesso ghiacciata in inverno. Ebbi modo di ammirare nuovamente la stessa pavimentazione rosacea del parcheggio nel grazioso vialetto che scorreva tra piccole aiuole: se non fossi stato sicuro dei miei ricordi, avrei potuto anche pensare che gli alberi secolari e lo stretto viottolo che ricordavo non fossero mai esistiti se non nella mia fantasia.
Cominciavo a sudare a causa del sole, ed ero tormentato da numerosi insetti. Pregustavo la buona acqua della fontanella, ma dovetti rinunciarvi, dato che il rubinetto era stato tolto, e un cartello recava la dicitura 'acqua non potabile'.
Passato l'acquedotto, superai la salita e girai a destra verso Porta Macchiaia, con l'intenzione di ristorarmi alla vista dei grandi alberi che si stendevano in direzione dell'ex Istituto Alberghiero, dimora di scoiattoli e uccelli di ogni tipo. Trovai un posto libero al muretto, tra le numerose persone che scattavano fotografie, oppure si ristoravano bevendo dalle loro bottigliette di acqua minerale, e alzai gli occhi: gli alberi non c'erano più, al loro posto c'era un altro muraglione, in cima al quale svettava la vecchia scuola ora trasformata in residence. Proprio al centro della parete di calcestuzzo campeggiava un altro grande cartello che diceva 'Barga città più bella tra le piccole città d'Italia'.



Ripresi il mio cammino, con l'intenzione di seguire i numerosi gruppi turistici che affrontavano la ripida salita verso il Duomo, guidati da una babele di spiegazioni in tutte le lingue, ma ebbi la sensazione che, alla mia destra, mancasse qualcosa, così deviai.
Mi diressi verso l'incrocio con Via della Fontana, e scoprii così che l'antico e maestoso cedro non c'era più: ma proprio più, neanche il ceppo. Incredulo, avanzai, e scoprii che non c'era più neanche il noce: al loro posto c'era un ameno giardinetto lastricato, inondato spietatamente dal sole e arredato con pezzetti di tronco svuotati ed usati a mo' di vasi contenenti ogni sorta di fiorellini colorati.
Poiché mi pareva che anche più in su, verso la Piazzetta Verzani, mancasse qualcosa, salii gli ampi e bassi scalini di Via della Misericordia. Quando giunsi nella piazza, constatai che erano sopravvissuti solo alcuni cipressi, presumo perché più 'turistici' delle foreste tipiche della nostra zona. La cosa più incredibile, però, era che non c'erano più i pini! Quei grandi pini centenari e ombrosi erano spariti, e al loro posto c'era una linda piazzetta con l'immancabile pavimentazione rosacea e i vasini di fiori. Due tisici arbusti sorretti da stecchi tentavano di fare ombra come potevano, ma era impresa troppo gravosa per le loro forze.
Nonostante il grande caldo, e gli insetti che mi pungevano, decisi di proseguire verso il Duomo.



Quando arrivai in cima ero senza fiato, ma non per il caldo: il cedro che fiancheggiava il Duomo era sparito anche lui, e al suo posto c'era una struttura di alluminio e vetro; incuriosito, mi avvicinai e tentai di farmi largo tra una gran quantità di orientali in calzoni corti muniti di mostruose macchine fotografiche. Quando giunsi in prossimità delle lastre trasparenti, scoprii che dentro c'era un plastico: rappresentava, con dovizia di particolari, la città di Barga, ma com'era stata fino a pochi anni prima, immersa nel verde e circondata dai suoi bellissimi alberi; addirittura, si vedevano anche i due enormi platani che proteggevano Porta Reale, dei quali non c'era più traccia in quanto erano state rimosse anche le radici e l'intera zona era stata asfaltata, come se gli autori stessi si fossero resi conto dell'enormità del loro gesto e avessero tentato di farne scomparire il ricordo. Davanti alla struttura c'era una graziosa scritta eseguita con i fiorellini, che recitava 'Com'eravamo'.



Solo a questo punto mi accorsi della presenza di un ascensore pubblico, che utilizzai per arrivare al livello di Piazza Angelio. Percorsi la galleria fortemente illuminata che portava nella Piazza, immaginando che almeno lì, nel cuore di Barga Vecchia, fosse rimasto qualcosa di bello.
La prima cosa che mi colpi, oltre alla folla, è che non c'erano più le auto dei residenti. Osservando le targhe alle porte, che indicavano uffici di vario tipo e affittacamere, capii che erano spariti anche i residenti (ad eccezione di quelli di lusso), e Barga si avviava a diventare un museo, come tutte le città che perdono gli abitanti e, con essi, la vita.

Un certo trambusto a un lato della piazza attirò la mia curiosità; mi avvicinai, e vidi un individuo male in arnese, con i capelli biondi a spazzola e la pelle chiarissima, visibilmente ubriaco. Stava vomitando improperi in inglese all'indirizzo di un folto gruppo di turisti cinesi; con la mano destra brandiva un boccale di birra scheggiato, che ondeggiava con fare minaccioso. I turisti non parevano per niente impressionati, anzi: ridevano tra loro, scattavano all'uomo una gran quantità di fotografie e lo riprendevano con le loro telecamere portatili. Si girò verso di me, ed ebbi l'impressione di averlo conosciuto, a suo tempo; mi guardò per un attimo sotto le palpebre semichiuse, poi agitò in modo incerto il boccale rotto nella mia direzione. Mi affrettai ad allontanarmi.
Arrivai così alla fine del mio viaggio: tanti anni prima, io avevo abitato lì, e molti ricordi piacevoli mi stavano tornando alla memoria. Ero fiducioso che almeno la mia vecchia casa non avesse subito troppi mutamenti.
Mi affacciai nel vicolo, ma al posto delle vecchie cantine con le porte di castagno c'erano tanti piccoli negozietti: non capivo bene che cosa vendessero, le insegne recavano scritte come 'Casa dell'Arte' 'Il Vecchio Stile' 'L'Antico Pastore', o cose simili.



Alzai gli occhi verso il tetto: era stato completamente rifatto, e i nidi delle rondini non c'erano più. Ricordai con rimpianto le numerose famiglie di rondini che ogni anno tornavano a pochi metri dalle mie finestre: con il tempo, avevano imparato a non temermi, e avevo passato molto del mio tempo libero osservando il loro agitarsi ed ascoltando i loro concerti, tutte in fila sul cordino per stendere i panni.
Solo ora mi accorsi che nel cielo non c'erano le rondini, e neppure nessun altro tipo di uccello.
Neppure uno.

Beppe di Frullino

 

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